venerdì 4 dicembre 2009

Palla tonda e palla ovale

Gauss

Se il football e il rugby sono così simili eppure così differenti non è solo per la forma della palla, né per una questione di regole, che nel rugby consentono di maneggiarla, nel football solo di calciarla.
E non si pensi che siano sport nel senso di diporto, di attività fisico-agonistica esercitata per svagare la mente, dietro questi due giochi c’è invece molto che ha a che vedere con la mente, due storie, due culture, due mondi.

Sono entrambi giochi di simulazione, riproduzioni fedeli di antiche pratiche di guerra che hanno lasciato tracce indelebili nella storia dei popoli, riti guerreschi celebrati a scopo esorcistico. La guerra finta scongiura quella vera, e l’esorcismo è tanto più efficace quanto più la finzione è credibile, cioè cruenta e coinvolgente come la realtà che vuole tenere lontana. Talvolta non basta, la guerra vera prende il posto del gioco della guerra, e da quel momento non c’è più ragione di giocare.

La vicenda di vita o di morte che si rivive nella partita di rugby è la battaglia campale, in quella di football l’assedio.
Se il goal del football è la rete, quella del rugby è la meta. Sta tutta qui la differenza, quella che determina la popolarità dell’uno o dell’altro gioco.

Nel rugby, la palla portata oltre la linea di meta simboleggia l’annientamento delle difese del nemico, l’invasione del suo territorio e la sua sottomissione. Il rugby è la rievocazione sofferta delle guerre di supremazia continentale, delle campagne napoleoniche, degli scontri fra le nazioni, delle annessioni coloniali, Maratona, Canne, Hastings, Austerlitz e Waterloo, Gettysburg, la Marna.

Nel football, la palla che sfonda la porta della città assediata va a saccheggiare case e chiese, abbattere torri e troni, prendere donne, consumare vendette. Rivivono nel football le rivalità fra città-stato, le contrapposizioni religiose, i conflitti campanilistici, Troia, Siracusa, Gerusalemme, Costantinopoli, La Rochelle, Sarajevo.

Gianni Brera, che associava l’epos all’etnos, avrebbe detto che si nasce figli del football o del rugby. Perché nella battaglia campale contano la forza, la possanza fisica, il coraggio, il furore agonistico, la disciplina, lo spirito di corpo. Nell'assedio valgono l'astuzia, la malizia, la tenacia, la destrezza, l'estro e il valore individuale. La distrazione (spesso il tradimento) di una sentinella può valere in un assedio più di una carica di cavalleria in un confronto in campo aperto. Dopo dieci anni di sanguinose battaglie sulle rive dello Scamandro, nella piana fra le mura e il mare, c'è voluto il trucco del cavallo per portare a termine l'assedio di Troia. Alla fine, ha vinto il genio colto e fantasioso di Ulisse, non la furia devastante di Achille.

Gente da rugby (nella variante Usa, che chiamano football) sono gli americani i quali, anche gli immigrati recenti, fanno presto ad assorbire l’epopea del West, a riconoscersi nel mito della nuova frontiera.

Va da sè che noi italiani siamo gente da football come nessun’altra. E’ dalla disgregazione del Sacro Romano Impero che la nostra è una storia di comuni e di città rivali, tanto più ostili quanto più vicine, che si sono confrontate in interminabili guerre, raramente combattute in campo aperto, guerre di fortificazione e di assedio, di sortite, imboscate, scorrerie, tradimenti. A combatterle, come negli stadi di oggi, milizie di professione, di sofisticata perizia nel martoriare le popolazioni con le armi della sete, della fame e dell’epidemia, ma che piuttosto di esporsi esse stesse allo scontro campale preferiscono passare dall’altra parte.

Ultima considerazione, né il football né il rugby sono giochi da donne, che le guerre non le hanno mai fatte, semmai provocate.


Riproduzioni di:

- La battaglia di Gettysburg (Curier e Ives)

- L'assedio di Costantinopoli (Chartier)

- Il cavallo di Troia (Tiepolo)

5 commenti:

Barbara Cerquetti ha detto...

Ciao ragazzi,
per prima cosa vorrei scusarmi per la lunga latitanza, ma nella mia vita reale è stato un periodo un pochino iperattivo e non sono riuscita a dedicare tempo alla vita on line.
Niente di trascendentale, solo lavoro (e ringraziamo il cielo che ce n'è) e figli (tossi, bronchitelle, mocci al naso nonchè l'odiatissimo vaccino esavalente)e una serata col marito a sentire un concerto di musica classica (stavano per aprirsi i cieli, dividersi le acque e spaccarsi i continenti, da quasi un anno non uscivamo)

Come state tutti quanti?
Che fate di bello?

Riguardo al post: l'ho letto tutto d'un fiato e l'ho trovato molto interessante ed illuminante.
Mi ha aiutato a capire delle cose che avevo colto solo a livello intuitivo ma che non ero in grado di spiegare.

Spesso io e Franti guardiamo Ettorello e scherzando diciamo:
"Ciccio è proprio un tipo da rugby".
Oh, sia chiaro, non è che siamo di quei genitori che pianificano lo sport che faranno i figli fin da quando sono in fasce. Se Ciccio viene a dirmi che lui vuole mettersi a giocare a bocce oppure a ruzzola per me problemi non ce ne sono (salvo forse procurare la forma di cacio).
Però sapete, a volte capita di andare avanti con la testa, di provare ad immaginarselo tra qualche anno, e così ci scappa quella frase. Non sapevo dire però il perchè.
Poi ho letto questa tua bella ricostruzione e questo passaggio:

"Perché nella battaglia campale contano la forza, la possanza fisica, il coraggio, il furore agonistico, la disciplina, lo spirito di corpo."

Allora ho capito che c'avevamo azzeccato.
Ettore è piccolino, ma è proprio così. Un tipo da rugby.

p.s. Beh, forse dobbiamo ancora lavorare un pochetto sulla disciplina, ma vabbè.

Solimano ha detto...

Barbara, ben ritrovata (però c'eravamo già rivisti col Pinocchio in Abbracci e pop corn).
Pensavo proprio a te in questi giorni perché fra poco tempo metterò un post large size che più marchigiano non si può (non racconterò un'esperienza mia).
Che Ettorello sia un tipo da rugby ci avrei giurato anch'io, conoscendolo solo indirettamente da quello che racconti tu.
Il rugbista, non è detto che sia massiccio e forzuto, servono anche i veloci e scattanti, in certi ruoli. Ma è la compattezza fisica e morale della squadra quello che conta di più.
I libri si vendono? Ottima cosa per la cultura, ma soprattutto per Lilli, Franti e famiglia.
Gauss, faccio l'acribico, poi scendo coi piedi per terra. Il cavallo di Troia che hai messo nelle immagini è opera del Tiepolo figlio (Giandomenico) che è un po' messo in ombra dal padre (Giambattista) ma è un pittore a cui sono molto affezionato soprattutto per gli affreschi a Villa Valmarana, vicino a Vicenza.
Condiviso del tutto la tua interpretazione del calcio e del rugby come ritualizzazione di tipi diversi di aggressività. Come spiegare altrimenti che, malgrado la forte immigrazione italiana, il calcio non è mai decollato negli USA se non come eravamo di immigrati latini?
Il rugby ha solo un difetto: è bellissimo solo se giocato da grandi squadre (come nel Cinque Nazioni), mentre nel calcio ti puoi divertire anche assistendo ad una partita di serie D. Come spettatore, io sono cresciuto a basket visto la domenica nel Palasport di Bologna. Allora, il Palasport era un posto di coppie di morosi, il tifo vero, anche grossolano, nacque poi.
E come spettatore TV, il grande tennis di Borg e McEnroe, anche qui si potrebbe fare un ragionamento assimilabile al tuo (perché quei due, erano due eroi del tutto diversi).

grazie e saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Dopo un post così potrei anche essere disposta a guardare una partita di calcio o di rugby giusto per capire quale battaglia o quale invasione, o comunque pezzo di storia si sta consumando sotto ai miei occhi. Io non sopporto il calcio e non conosco il rugby, anche se il gioco e lo sport in genere mi piacciono molto. Purtroppo la guerriglia tra tifoserie o con le forze dell'ordine che segue le partite di calcio, non ha nulla da invidiare alle battaglie vere, l'odio pare identico, la ferocia pure e la violenza accompagna spesso tutte le tattiche di attacco e di invasione.
Se questi due giochi hanno avuto origine dalla simulazione della battaglia, e dalle tattiche di guerra, purtroppo ora servono da capro espiatorio per menar le mani e fare del male. Peccato, perchè così si ammazza ogni valenza ludica, ricreativa, sportiva e di rigore, che accompagna ogni gioco che si rispetti.

Gauss ha detto...

Barbara, attenta però a non sottovalutare i tipi da football, che sono tutto fuorchè mezze cartucce. Sai, è gente che un piede lo usa per calciare, e che quindi deve stare in assetto, imprimere forza, e contrastare l'avversario su un piede solo. Roba da acrobati che, anche se non sembrerebbe, ci vuole un fisico bestiale (bello l'anacoluto?), e anche una intelligenza eccezionale (intelligenza da football, si intende, ma è di questo che stiamo parlando).
Dà tempo al tempo, se Ettorello è tosto, te lo potresti ritrovare centravanti di sfondamento.

Solimano, confesso di non aver badato a chi dei due Tiepolo fosse l'autore. Anzi, per la verità ero andato alla ricerca (vana) di un'immagine del cavallo del film Troy, che mi era sembrato terribile e credibile, costruito com'era con le centine annerite delle navi che i greci stessi avevano incendiato. Ho trovato invece questo dipinto di Tiepolo figlio, che mi è parso altrettanto convincente, seppur per altra ragione. Come avrebbero potuto i Troiani desistere dal portarsi a casa questa meraviglia di cavallo?

Silvia, con te il discorso si fa più complicato. Che un gioco che simula la guerra preveda l'agonismo mi pare un'ovvietà. Sul campo, l'agonismo si sfoga nell'azione di gioco, e se talvolta traborda, ci pensa l'arbitro a riportare il confronto polemico nei limiti canonici.
Fuori dal campo, il ruolo del popolo dovrebbe essere quello di assistere e trepidare, senza partecipare. Del resto, fino all'era moderna, la guerra era un'arte specialistica per truppe mercenarie altamente addestrate, spesso straniere, proprio come i giocatori di football di oggi; il popolo era imbelle e affidava il suo destino al valore e alla lealtà dei suoi difensori. Vittoria o sconfitta, inno o lamento, interamente nelle mani dei signori della guerra.
Poi, c'è stata la rivoluzione francese, ed è cambiato tutto, moti di indipendenza, stati nazionali, coscrizione obbligatoria, guerre di massa, insurrezioni popolari.
Nel bene e nel male, tutto questo ci riguarda da vicino, è la nostra storia di oggi ed è ancora troppo recente per diventare un gioco.
Però, vaglielo a spiegare, al popolo degli stadi, che sarebbe sì buono per una guerra vera, ma per quella finta deve rispettare le convenzioni e limitarsi ad applaudire o a fischiare i suoi campioni.

Gauss

mazapegul ha detto...

Gauss, da ex-giocatore (ad infimo livello) di rugby devo darti ragione. Il rugby (noiosissimo da vedere ai livelli non eccelsi, ha ragione Solimano) è bellissimo da giocare a ogni livello in virtù della sua fisicità. Della battaglia campale ha anche l'ethos. Vi sono momenti di massimo rispetto all'inizio e alla fine (ci sono saluti formali, si applaude la squadra avversaria, ci si abbraccia con gli avversari), ma in mezzo tutto è permesso, se l'arbitro non vede.
Il calcio, per cui non ho mai avuto i numeri (troppo lento di riflessi, troppo goffo, per niente astuto, del tutto scoordinato) è un gioco completamente dissimile. Le astuzie del rugby sono poche, codificate, utilizzabili solo un paio di volte a partita, e mai decisive.
Ciao e grazie,
Maz