sabato 28 marzo 2009

In memoria di R.

mazapegul

R. è morta l'altro ieri, l'ho saputo al mio rientro da Barcellona, e oggi ci sono stati i funerali a Prato, sua città natale, con partenza da Imola, dove abitava da tempo e dove sono nate le sue due figlie.
Mi sembrava indiscreto scriverlo qui, sia per R. che per voi amici che leggete, ma ho poi pensato che, avendovi già parlato della malattia di R. in un'altra occasione, quando ancora c'erano speranze di guarigione, sarebbe stata indiscrezione maggiore tacere.
Stamattina, prima di un incontro in federazione, sono andato alla cameria mortuaria, dove ho incontrato P., il suo compagno, diversi custodi della facoltà e un altro docente, una delle figlie, alcuni suoi amici di Romagna e i famigliari di Prato. Il dolore di chi perde un genitore è tremendo, ma sta nelle leggi di natura, anche quando il genitore è ancora giovane, e sembra ancor più giovane di quanto non dica l'anagrafe. Più orrendo è il dolore di chi perde la figlia, eventualità a scongiurare la quale non solo gli uomini, ma persino gran parte degli animali, persino i più umili, s'attrezzano con delicatezza e con ferocia, a seconda del pericolo che minaccia la prole.
Stupefatto era anche il dolore di P., che pure era il più preparato, e non aveva mai fatto sfoggio di ottimismo, ma si era curato di R. e della famiglia con assiduità materna. Stupore di un uomo che ancor oggi stava organizzando le cose, e la trasferta, e il ricevimento dei visitatori; ma con il dubbio di che faccia avrà il giorno dopo, e la settimana prossima, e un mese da oggi...
E persino io, che R. la conoscevo poco, ma che avevo approfittato spesso della sua vitalità rafforzata dall'accento toscano per virare al giallo una giornata altrimenti incolore, ho capito che un importante frammento d'universo veniva meno anche per me; non solo per i famigliari e per gli amici più stretti.
L'estate scorsa, prima della malattia, R. m'aveva detto del progetto suo e di P.: di ottenere quel posto di custodi per una villa-fattoria di proprietà della facoltà d'agraria; un edificio nella prima collina, con annessa una stalla per una quarantina di vacche. C'era il problema di convincere le figlie, meno inclini della madre e del compagno a lasciare le strade affollate della città per una vita arcadica, ma meno ricca di opportunità. Non sapevo, quel giorno, che non l'avrei più rivista.
Ho saputo oggi che le figlie s'erano infine lasciate convincere, ma che il posto era andato ad altri.
R. è stata cremata nel pomeriggio e le ceneri sono state seppellite in un piccolo cimitero di collina, con una larga vista -m'ha detto P.- sulle valli circostanti.

9 commenti:

Roby ha detto...

Caro dolcissimo unico Maz, leggerti mi ha fatto tornare indietro -nemmeno di tanto- a stanze scure rischiarate solo da candele, a profumo intenso di fiori morti, a parole bisbigliate con voce rotta, ad abbracci tristi...
Mi dispiace davvero tanto per R., per P., e per la fattoria con le mucche che non avranno mai.
Ma sono contenta di sapere che da quel piccolo cimitero in collina si goda una così bella vista.

Un abbraccio

Roby

Solimano ha detto...

Màz, hai fatto bene, a scrivere questo post. Ricordavo il tuo post precedente in cui parlavi di R., della sua personalità, dei suoi problemi di salute e di come P. l'accudiva.
Ed è vero il dolore dei figli qundo muoiono i genitori e quello, ancor più terribile, dei genitori quando muore un figlio. Su questo argomento scelgo di non dire altro.

Mi è capitata una cosa strana in Abbracci e pop corn: Mi sono accorto, a un certo punto, di quanto fosse presente il tema della morte nei film. Non l'ho detto a nessuno, ma ho introdotto una Vista logica: la morte nel cinema, che in poco tempo è cresciuta così, senza cercare di farla crescere. Ad oggi ci sono 23 post, che trovate qui.
Poi mi sono accorto che un grande regista, Peter Bogdanovich, ha inserito nei suoi tre film più importanti tre funerali: in Paper Moon all'inizio, in L'ultimo spettacolo a metà, in Daisy Miller alla fine. Sono tre fra i momenti più belli nei film e questo ritorno sul tema da parte di un regista noto e vitale come Bogdanovich è significativo. Solo che mi sembra che quasi nessuno dei critici se ne sia accorto. Tanta è ancora la rimozione su questo tema vero.

grazie Màz e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Doveva essere una bella persona se era in grado di "virare al giallo una giornata altrimenti incolore". Non è davvero di tutti. Noi bandiamo troppo spesso la morte dai nostri discorsi e oggi so che è sbagliato. Primo perchè esiste e, quando vuole, interrompe progetti, secondo perchè parlarne vuol dire dare spazio nella vita anche a chi non c'è fisicamente, ma continua a esserci nei nostri pensieri, nei nostri affetti.
Quindi hai fatto molto bene a parlarne, caro Maz, un abbraccio,
Giulia

Ermione ha detto...

Parlare della morte, confrontarsi con essa è difficile; tu, Maz, l'hai fatto con delicatezza e, direi, grazia. Mi piace pensare a quel cimiterino di campagna, con la vista aperta sulle valli; mi dà un senso di serenità, e non di dolore.

sabrinamanca ha detto...

Qualche anno fa ho frequentato la morte davvero troppo spesso: uno zio-amico morto improvvisamente a 43 anni, e mia nonna, sua madre, un mese dopo, poi mio padre e nello stesso anno mio zio e mia zia, sua moglie.
Le sensazioni che hai descritto nel post mi sembra di riconoscerle tutte e soprattutto il "dolore stupefatto" del compagno.

Anonimo ha detto...

Sento le cose che ha scritto Elena.
E mi fermo, perchè ci sono ferite troppo recenti e vive.
zena

Silvia ha detto...

Io invece Maz ti chiedo di abbracciarlo per me. Perchè il giorno dopo, e quello dopo ancora e le settimane e i mesi, gli anni, hanno ancora da venire e dio solo sa quanto farà fatica a percepire ancora una giornata tinta di giallo.
Anche le figlie naturalmente.

annarita ha detto...

Non ci sono altre parole da aggiungere, hai già detto tutto. Però sono vicina a P. e alle sue figlie, per quel poco che possa servire. Un abbraccio, Annarita.

mazapegul ha detto...

Scusate, amici, per il ritardo con cui rispondo. Mi ha sorpreso la vostra partecipazione alla vicenda di una persona che non conoscevate, e che anche io conoscevo poco, dopotutto. Sorpreso positivamente.

Non ho molto da aggiungere, se non la considerazione critica con cui guardo alla mia giovinezza; quando ero filosoficamente assai piu' convinto dell'unicita' delle persone, e del loro dolore in particolare (sulla felicita' c'era poco da filosofare); e quando ero -nei fatti- assai piu' distante. Tanta unicita' e tanto dolore, arrivati al dunque, mi risultavano intollerabilmente pesanti, cosi' volgevo lo sguardo altrove, o dimenticavo.
Adesso ho delle idee meno trancianti, esigo meno da me stesso, e magari riesco a fare (e dare) qualcosina in piu'.

Maz