Giuliano
Il famoso "principio di Peter" dice che in ogni gerarchia un impiegato tende a fare carriera sino al proprio livello di incompetenza. Sembra uno scherzo, e di sicuro almeno in parte lo è; ma è uno di quegli scherzi che restano impressi, e che fanno pensare.
Laurence Peter (Peter è il cognome) era uno psicologo americano, o forse canadese: io ne appresi l'esistenza leggendo la notizia della sua morte sui giornali, qualche anno fa. Le sue idee sono esposte in un libro pubblicato in Italia da Garzanti più o meno 30 anni fa. Quell'articolo mi era rimasto impresso, perché avevo ormai una certa esperienza lavorativa, e le mie osservazioni private coincidevano con il "principio di Peter".
Provando a continuare il ragionamento, ecco cosa può succedere in una fabbrica: un uomo viene assunto come manovale; siccome è bravo viene promosso a un grado superiore, e da lì magari a capoturno. E fin qui tutto bene: ma la promozione successiva potrebbe essere a supervisore, o a caporeparto: e qui il nostro uomo potrebbe mostrare seri limiti, perché la sua preparazione o la sua mentalità possono non essere adeguate ai compiti richiesti. Ma ormai il nostro uomo, operaio o impiegato che sia, è a quel posto e ci rimane: ha raggiunto il livello della sua incompetenza. Non farà più carriera, ma difficilmente verrà rimosso o sostituito, anche perché a quel punto sarà diventato persona di fiducia di qualcuno più in alto di lui, eccetera. Il principio di Peter ha come postulato, e come ovvia conseguenza, che è molto facile trovare un incompetente in un posto di responsabilità...
E' chiaro a tutti che non stiamo parlando solo di operai e di impiegati, ma anche di quadri e dirigenti e magari di qualcuno più in su ancora. Un detto d'ambiente militare recita che "i generali non possono essere gran cosa, perché li fanno partendo dai colonnelli"; ma, al di là delle battute scherzose, e aggiornando un poco il libro di Peter che all'epoca veniva considerato come un attacco alla burocrazia soprattutto statale, ognuno di noi può guardarsi in giro e verificare la verità di questo principio.
E tutto questo va ben oltre i luoghi comuni: l'industria privata, da questo punto di vista, non è meglio di quella statale; nell'industria privata prosperano (da sempre) le promozioni dovute al nepotismo, al privilegiare chi dice sempre di sì al capo, e così via. Non mi dilungo perché sono cose risapute; preferisco chiudere e lo faccio con un'altra frase famosa di Peter: Great minds discuss ideas, average minds discuss events, small minds discuss people. (le grandi menti discutono le idee, le menti normali discutono gli eventi, le piccole menti discutono le persone...)
sabato 10 gennaio 2009
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3 commenti:
Così, di primo acchito, mi sono ricordato del manager Telecom e della vittoria di Waterloo.
Un uomo(?) che deve essere d'esempio a tutti noi :-)
Ciao!
Non sono molto d'accordo con alcune affermazioni di Peter.
Sulla base della mia esperienza di lavoro, io non dico che il capo è un male necessario, dico che è necessario, semplicemente.
Poi si tratta di vedere se riesce a muoversi bene fra due aspetti che deve avere: autorità ed autorevolezza. Sono necessari entrambi: un capo con grande autorevolezza ma senza autorità prima o poi va a sbattere contro il rompiglione o il lavativo di turno, e non va bene.
Di capi con autorità ma privi di autorevolezza è inutile parlarne: ne incontriamo tutti i giorni specie nella pubblica amministrazione e nella politica.
Rovescierei la conclusione di Peter: un capo, per prima cosa deve saper gestire le persone, come seconda cosa gli eventi, e riguardo le grandi idee, è meglio che non se ne occupi più di tanto (ce ne sono anche troppi che si preoccupano delle grandi idee). Infatti è proprio vero che un capo deve avere la cosiddetta capacità negativa, che per me significa stare sulla palla persone/eventi che è la sua vera palla da giocare bene.
Sulla competenza/incompetenza sono diviso. E' vero che la competenza può creare autorevolezza, ma è anche vero che un capo che tira in ballo la competenza quando deve decidere rapidamente riguardo persone/eventi in genere fa così perché non sa o non vuole decidere. Un competente senza capacità decisionali è bene che non faccia il capo, ma il professional, magari ad altissimo livello, perché la competenza è importante, ma non è la prima priorità per un capo.
Concludo dicendo che ho sperimentato che avere un capo stronzo è un bel guaio, ma avere un capo debole è ancora peggio.
grazie Giuliano e saludos
Solimano
Ho letto il libro, e posso garantire che Peter è molto meticoloso e dà una risposta a tutte le obiezioni, con tutti i casi possibili presi in considerazione.
Francamente è anche un po' troppo, il concetto è già espresso chiaramente nel primo capitolo: Peter spiega che faceva conferenze, per le aziende se non sbaglio, e dev'essere stato molto brillante.
Il libro sta in bilico tra il serissimo e lo scherzo, ed è il suo maggior pregio.
Però io metterei bene a fuoco quella frase che ho riportato alla fine: messo da parte il riferimento alle "grandi menti e piccole menti", è quello che capita anche nei giornali e alla tv, e nei nostri discorsi quotidiani. Ogni giorno discutiamo dei piccoli eventi quotidiani, delle singole persone, e perdiamo sempre di vista l'insieme.
Siamo sempre lì a rincorrere l'ultimo inquisito, per esempio, e ci dimentichiamo di pensare alla corruzione e alle sue cause; i pochi che lo fanno vengono derisi e messi in un angolo.
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