sabato 27 marzo 2010

Frammenti

mazapegul





Preferisco rimandare ad altro momento (ad altra stanza) un ricordo scritto di Primo come lo vedevo io, di quando lo incontrai e degli incontri successivi, della sfumatura leggermente filiale-paterna della nostra troppo breve conoscenza, delle cose che ho imparato da lui. E di tutte quelle altre cose che, credo, avvicinano nelle emozioni a sua moglie Neria e a suo figlio, quelli che scrivono o hanno scritto in passato su uno dei blog promossi o fondati da Primo.
Scrivo invece due righe su un'idiosincrasia che io e Primo avevamo in comune.



Le donne e gli uomini amano lasciare tracce del loro passaggio. Dal paleolitico ci rimangono le impronte dipinte delle mani sulle pareti delle caverne; di cui s'ipotizza un significato rituale, a cui potrebbe comunque aver contribuito il piacere di far ritrovare agli altri umani di passaggio un tangibile segno della propria presenza in quel luogo. "Io c'ero."
Col complicarsi delle società umane, questa attività di tracciamento del territorio s'è diramata: da un lato l'uso comunicativo del segno tracciato (la scrittura, l'affresco, il cinema, il blog); dall'altro un uso dei segni del tutto slegato dalla comunicazione: la scritta graffiata sul muro (o scritta a pennarello sulla poltrona dell'autobus), per esempio.

Si leggono dappertutto acronimi messaggi: TVB ("ti voglio bene"), TVTB ("ti voglio tanto bene"), TVTTTTTTTB ("...") NTVPB ("non ti voglio più bene") in cui s'evolve a formato SMS l'antichissimo segno del cuore trafitto. Già avevano fatto non poco imbestialire Orlando i graffiti di Angelica e Medoro:


"Aveano in su l'entrata il luogo adorno
coi piedi storti edere e viti erranti.
Quivi soleano al più cocente giorno
stare abbracciati i duo felici amanti.
V'aveano i nomi lor dentro e d'intorno,
più che in altro dei luoghi circostanti,
scritti, qual con carbone e qual con gesso,
e qual con punte di coltelli impresso."


Avevano scritto anche dei messaggi, oltre che imprimere il nome, i due amanti; ma in questa ottava si vuole dare l'idea della tag, il proprio nome scritto a significare null'altro che il proprio passaggio.
Le variazioni sui TVTB, purché non vandalisticamente incise, non m'infastidiscono: sono un breve e innocuo mantra giovanile. M'infastidiscono, invece, i messaggi poeticamente estremistici chiaramente privi di significato. Per esempio:

sei più importante dell'aria che respiro.

Il polletto che lo ha scritto, sicuramente, non soffre d'asma; né ha grande esperienza d'apnea, più e meno volontaria. A me piacerebbe mettergli la testa sott'acqua per un tempo brevissimo (45 secondi, diciamo) e vedere se ancora disprezza in tal modo l'aria che respiriamo.

Esiste una fase nella vita in cui le persone, più i maschi che le femmine, entrano nello stato d'animo romantico/eroico che fa scrivere (senza veramente crederci) idiozie come quella che copiavo qui sopra. In gran parte se ne esce dopo pochi anni.

Mi sono spesso chiesto cosa raccontasse alla sua fidanzata Juri, il giovane imolese che, avendola poi mollata, s'è ritrovato esposto al pubblico commento. La fidanzata ha scritto a bomboletta nel sottopasso della stazione di Imola tutto ciò che in quel momento pensava di Juri. Compresa questa:

morirai giovane come dicevi sempre.

Che sembra un augurio, ma è in realtà l'esposizione di quelli che amano con pesantezza e che poi con tutta leggerezza abbandonano.



Ricordo che con Primo diverse volte s'era parlato di queste cose, nei pochi incontri o per email: della corrispondenza tra ciò che si è e ciò che si pensa e dice e scrive. Del fastidio per quel tipo di comunicazione "bidimensionale", in cui il testo è emotivamente indipendente dal suo oggetto. Della necessità della concretezza (una parola che ho imparato a usare da lui). Era un tipo di concretezza (di
sincerità
, avrei detto io un tempo) che Primo cercava di seguire nella sua scrittura, innanzitutto; e che cercava nella letteratura, nell'arte, nel discorso scientifico; in quella bellissima forma di parlato che è
il racconto competente di ciò che si fa
(di quello che fa la sarta, il contadino, il programmatore).
Il segno, cioè, di una vita vissuta con pienezza e consapevolezza assieme.


2 commenti:

Roby ha detto...

Lettura deliziosa, come tutte quelle di Maz. E -come tutte le sue- non priva di contenuti sotto il velame de li versi ironici.

L'immagine del "polletto" tenuto con la testa sott'acqua è impagabile.

Ciao, Maz & co.!

Roby

Gauss ha detto...

Anch'io sono incline a crederlo, Maz, al mio cane il tronco e lo schizzetto, al naufrago il mare e la bottiglia, al tagger il muro e la bomboletta, a me la rete e il mouse. Ad ogni messaggio l'adatto supporto.
Forse, con un po' di appropriato cinismo, il più concreto è il linguaggio del cane.
A proposito della manifestazione murale dei sentimenti: "Vale ti farò mia" dice il muro qui sotto casa. E' un patetico addio, sicuramente Valentina è già di un altro.

Gauss