lunedì 1 febbraio 2010

Vestiti

zena

Io non possiedo vestiti.
Possiedo gonne calzoni sciarpe maglie magliette sciarpe golfini camicie sciarpe gilé giacche sciarpe giacconi giacchette sciarpe guanti cappotti sciarpe.
E scarpe.
Ma, d’inverno, io non ho quelle cose che si chiamano “vestiti”. Cose tutte d’un pezzo. Intere.

Grave discontinuità col passato, quando frequentavo l’università della moda nella cucina di casa mia: donne e donne che si muovevano come api attorno alla zia, sarta ufficiale di paese.
Luogo in cui tutto, dalle maniche alla raglan al plissé, ruotava attorno al vestito.
Lì si parlava una lingua contaminata e irreale, in cui le parole venivano addomesticate e non sapevi più dove finiva il dialetto e cominciava il francese, fra uciaduri e tailleur, redingote e rissaduri accomunati nella stessa pronuncia.
Lì assistevo ai misteri della messa … in prova e comprendevo la differenza fra ciò che si vede e ciò che non si vede: fra il sotto (un labirinto di nodi e di rinforzi o di imbottiture bugiarde) e il sopra, ad esempio, levigato e perfetto.
Capivo la pazienza dell’ago e del filo che già soffrono se lavorano sul pieno, ma letteralmente impazziscono se giocano col vuoto e fanno i funamboli per inventare un’asola.
Imparavo, soprattutto, quanta elasticità ha l’abito che trucca il corpo con quell’incredibile, strumento rettificatore, nonché riequilabratore universale, che si chiama “pince”.
Pince.
Pieghetta truffaldina che finge gonfiori, pienezze inesistenti o sottolinea quel che c’è, magari tentando di contenerne l’esuberanza.
Pince che si apre e si stringe, nasconde o fa sbocciare, accompagnando il respiro.
Pince, ovvero medicina magica che risolve ogni problema di tecnica e di armonia, ogni errore umano…
“Qui facciamo una bella pince”, ho sentito ripetere mille volte come un apriti sesamo capace di rimettere a posto ogni cosa, ogni difetto umano o di natura.

Ecco, io non possiedo un vestito.
L’unica cosa che indosso, tutta intera, ogni giorno, per tutto il giorno, è la vita.
La tolgo prima di dormire, ripiegandola amorevolmente. La re-infilo alle 7, il giorno dopo, scuotendola un po', con l'energia degli incipit.
E non ha neanche una pince. A sistemare le cose.
:)

Velasquez: Donna che cuce c.1650 74x60 cm
National Gallery of Art, Washington

16 commenti:

zena ha detto...

Bellissima questa immagine, Solimano immaginifico. Te ne ringrazio:)

Gauss ha detto...

All'ago, al filo e al nodo Milano ha dedicato una gigantesca scultura, un'opera pop dei coniugi Oldenburg installata in piazza Cadorna. Un garbuglio di filo multicolore infilato in un enorme ago (alto almeno una dozzina di metri) conficcato nel suolo. Cinquanta metri più in là, il doppio filo riemerge dall'acqua di una vasca a formare un plastico nodo. Opera molto discussa, pochi la apprezzano, molti la inseriscono nell'elenco delle brutture da rimuovere. Per Daverio c'è di peggio. Per chi non la conosce, se me la cavassi con Imageshack aggiungerei questa foto http://img162.imageshack.us/img162/5527/0000aj6.jpg.
A me piace, ma bene ha fatto Solimano a non considerarla per il tuo post, Zena, troppo esplicita per illustrare l'intima, delicata pazienza dell'ago e del filo che.....giocano col vuoto e fanno i funamboli....
A proposito, adesso ho capito perchè anch'io i pantaloni li porto con le pinces!.

Gauss

Solimano ha detto...

Gauss, mo' vedo se riesco a mostrare l'immagine che hai inserito. Se non ci riesco, elimino questo commento.

Ago e filo

saluti
Solimano

Solimano ha detto...

Riuscito! Per il momento... con Imageshack ho avuto una serie di brutti scherzi, di cui non ho ancora capito il perché. Le cause possono essere di tre tipi (le meto in ordine di probabilità):

a)miei errori nell'uso di Imageshack. Può essere, sono tecnicamente rudimentale.
b)brutti scherzi di un haker che non mi vuole bene e che potrebbe essere riuscito a conoscere la mia password: ho cambiato la password (come ho fatto a suo tempo per Outlook)
c)inaffidabilità di Imageshack. Non credo, ma l'idea di avere le immagini non sotto il mio controllo non mi piace molto (ma nel mio archivio ho tutte le immagini originarie).

Per cui. Se riesco, vado avanti in certi casi con le immagini grandi, altrimenti uso esclusivamente i default di Blogger. Siccome sono tamugno, vorrei farcela (il formato largo del blog è l'ideale), se non ci riesco, rispetterò il volere del Fato: fata volentes ducunt nolentes trahunt.

Commenterò più tardi il post di Zena, AEP mi sta richiamando all'ordine.

saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Pensa che mamma faceva la sarta! Sai quante "pens" ho visto imbastire? Ancora oggi per legare l'arrosto o gli involtini, uso il filo per imabastire. E' una questione affettiva:) E poi gli strumenti da sarta sono bellissimi, le forbici per esempio, così grandi, bilanciate e perfette nel taglio. E il gessetto sottile sottile. Mamma era molto brava a mascherare ogni cucitura, e si vantava che il rovescio era più pulito del dritto. E le signore erano bellissime quando erano in prova.Mi fa troppo seno dicevano , queste signore da ottava. Aveva voglia mamma e mettere pens! Io invece le odiavo le prove, e sempre a dirmi che dovevo tenere le spalle dritte, mentre teneva in bocca una manciata di spilli e parlava a versi. Ma io la capito lo stesso, per il leggero colpo che mi dava tra le scapole. E sull'orlo abbiamo litigato per anni, fino a quando ho cominciato a comprare i vestiti da fuori: sempre confezionati male per lei. Sempre a sbuffare io, ma ora ci guardo anch'io nelle cuciture, nei risvolti, nelle asole.
La luce in fondo al corridoio, che accompagnava i miei sonni di bambina, era mamma china su un cappotto o un vestito, fino a notte fonda. Andavo a letto che un pezzo di stoffa era imbastito, mi alzavo la mattina che era un abito finito. Un miracolo. Di bravura, pazienza e sacrificio.

Ho una passione per le sarte e per i bambini biondi:)
E dire che ti volevo regalare una sciarpina...:)

Anonimo ha detto...

"Si va dalla sarta", diceva mia mamma. Era una signora bionda e bella che mi era simpatica ed ero contenta di andare da lei. Non amavo però andarci per me. Stare in piedi, ferma a farmi cucire addosso una gonna, con tutti quegli spilli e fili che si potevano spezzare se mi muovevo, mi terrorizzava. Ero una di quelle bambine di cui si diceva "non sta mai ferma"!
Mi divertivo, invece, quando a provare era mia mamma. Lei sì che portava e sapeva portare "vestiti".

Anche io non ho vestiti, ma quello della "vita", sì, penso di averlo anch'io.
Un abbraccio forte

Anonimo ha detto...

a me l'agone col filone
m'hanno subito fatto allegria,
mi sembrano belli, spiritosi,
soprattutto in confronto
con l'intervento pesante e massiccione
delle tettoiacce della Gae Aulenti:
non capita solo ai grandi poeti,
anche i bravi architetti a volte sonnecchiano

ciao
a

Solimano ha detto...

Zena, parto dall'immagine, E' stata una gara dura, non perché non ci fossero delle alternative (anche troppe). Ma perché andavano quasi tutte, chi più e chi meno, verso la carineria, che non posso sopportare di per sé, a maggior ragione col tuo post, che è tutto meno che carino.
Poi mi è capitato sott'occhio un quadro picolo come dimensioni del Mastro Velasquez che mi ha convinto in toto. Ce ne sarebbe da dire, ma vi risparmio (stavolta). Solo, guardate la mano che non tiene l'ago. Un pittore normale, non l'avrebbe fatta così brutta (bellissima!). Perché privilegia l'atto vero che sta facendo quella mano: tenere teso il tessuto da sotto, come abbiamo visto tante volte fare dalle nostre madri e dalle nostre nonne.

Tu non avrai degli abiti, Zena, ma di roba ne hai tanta, forse troppa.
Quante sciarpe! Hai intenzione di dedicarti al bel canto e proteggi l'ugola?
Il bello delle sciarpe delle donne è quel movimento finale che fanno per buttare il residuo della sciarpa dietro la nuca, dopo gli avvoltolamenti preliminari di ogni tipo. Finisce che il nasino sbuca fuori, ma bocca compreso labbro superiore sono coperti... e sopra il nasino un par di occhioni come quella ragazza toscana di Lucca che poi saliva sul sellino posteriore della motocicletta del moroso. Un caschetto contro i casché e pronti via... se nei dintorni ci fose stato il venditore della Guzzi o della Gilera faceva la quota del mese.
Nessuno di noi aveva il coraggio di cantare i soliti versetti:

Ti ho comprato la moto Gilera
L'ho comprata soltanto per te
Ma da quando tu fai la leggera
La moto Gilera la tengo per me.


Ogni marca di moto aveva la sua strofetta, questa è l'unica raccontabile qui.

E la sciarpa lunga svolazzava dietro.

grazie Zena e saluti
Solimano

Solimano ha detto...

Anche a me l'ago, il filo e il nodo degli Oldenburg non dispiacciono proprio perché mettono allegria in un posto in cui di allegria ce ne sarebbe poca: al mattino tutti e tutte mezzi addormentati perché si sono alzati magari prima delle sei per prendere i treni, alla sera strafatti da una giornata di lavoro. Tutti comunque di corsa, per non far tardi al lavoro e per non perdere il treno. Ce ne sono almeno una decina, di piazze a Milano con brutti monumenti, non questa.

saluti
Solimano

zena ha detto...

Non so se mi piace l'allegra matassa con l'agone: certo è una nota di colore, fra il curdo e il 'cocorito', che nel linguaggio sartoriale di casa mia indica l'accostamento cromatico troppo vivace :))

Mi hanno insegnato che i punti devono sparire, essere invisibili e sotfoja, sottofoglia, insomma: come tutti i lavori essenziali, devono essere necessari e non conclamati.
...Tranne che nelle impunture: lì lo stacco deve essere deciso e marziale, il passo sostenuto e in diritta fila: riconoscibile persino a distanza. Le impunture sono l'orgoglio del punto, la parata d'onore della categoria.

Sapete, il mondo lo ha fatto un sarto, credo, per darci una infinita miniera di metafore: ce lo dicono in coro il filo del pensiero, la grande 'tela' del ragionamento e l'intreccio dei racconti...

Un saluto cumulativo alle Stanze: qui si è zii militanti in questi giorni di orticarie&affini:)

mazapegul ha detto...

L'idea del sarto-creatore mi ricorda, nello spirito almeno, Montale. Se non l'ha scritto, potrebbe averlo scritto "la cucitura che non tiene".
Svestire la vita la sera prima d'andare a letto: immagine bella e arcaica, pur senza arcaismi. (Io non ci riesco: forse i troppi caffe' m'impediscono di svestire la via completamente).
Ciao,
Maz
PS Anche a me ago e filo piacciono: una birichinata parigina, di cui i milanesi, piu' seriosi, si lamentano.

zena ha detto...

caro maz, per tutti quella montaliana'maglia rotta' che non tiene o lo squarcio nel pirandelliano cielo di carta è fonte di qualcosa: speranza o inquietudine o senso di un passaggio che...

Ma, io mi fermo all'inquietudine...

Solimano ha detto...

Sono esistiti anche i sarti, oltre alle sarte. Due sono famosi: il sarto manzoniano del "si figuri" l'altro è questo, un sarto del Cinquecento:

Sarto del Moroni

saluti
Solimano

Letizia ha detto...

Ma che carina questa escapade sartoriale, che lascia bene intendere tutte le difficoltà di un'arte che purtroppo non ho mai imparato! Ti vedo "informata sui fatti", e sono molto incuriosita, il mondo dell'ago mi manca, cosi' come il ... vestito. E la "pince"!!! Fascinose "pinces", ne ricordo sui pantaloni, quando ero ragazza, passati i pantaloni a zampa d'elefante (no comment), arrivarono i più sobri ed eleganti pantaloni con les pinces. Comunque diciamocelo: le sarte erano autentiche donne di potere, potevano farti e disfarti "l'immagine" infilando qualche piccolo azzardo qua e là. Bello bello questo post! Ciao a tutti.

Roby ha detto...

Io ricordo le prove dalla sarta per l'abito della Prima Comunione (1965, 9 anni): una casa piccola, aghi, fili e stoffe dappertutto, una signora allegra dagli occhi vispi che mi appuntava spilli qua e là... e sullo scaffale della libreria, davanti a me, un libro dal titolo attraente: "Il diario di Anna Frank". Anch'io tenevo un diario segretissimo, all'epoca. Chissà quell'Anna lì chi era? Dovevo proprio chiedere alla mamma che me lo comprasse, quel libro!

Baciottoni, Zena!

Roby

Solimano ha detto...

Come come, Roby, tenevi un diario segretissimo a nove anni??!!
Pubblica, pubblica. Il popolo deve sapere.

saluti, Roby
Solimano
P.S. Chissà la Confessione, obbligatoria prima della Cresima e della Prima Comunione. Avranno dovuto far intervenire il Penitenziere e l'Esorcista.