venerdì 19 febbraio 2010

Chi è fuori è dentro

Albrecht Dürer, Ala, 1512, Vienna, Albertina


Rossana Di Fazio
Chi è fuori è dentro
(nella barca ci son ali e montagne, nelle altrui cronache i dettagli)

Anch’io vo’ dire ancora qualche cosa
su questa nostra Patria
«terra dei Padri»: e quelle donne senza le quali nessuno arriva al mondo?
Per tante patrie basta una madre, Terra
e tanto basta
(non voglio insistere qui e ora sopra al punto,
che pur non è nel mio pensar disgiunto).
Quel che vorrei dire, per via di mie letture,
è che: sempre mi sembra che il generale errore
ch’è schiamazzo ch’è caos ch’è confusione,
non liberi nessuna energia vera,
piuttosto in trappola chiuda e l’intelletto e l’ore
perché anche chi sa dar nuovo senso a dei rifiuti
trova qui soltanto cocci avvelenati.
Certo colpisce - e diciamolo, anche incanta –:
quanta potenza nelle misfatterie!
e dell'azione il raggio rende tabula rasa di ogni giusto criterio
ciascuno campo: i fondamenti di Democrazia caduti
sotto i colpi di bassa artiglieria
crassa opulenta presuntuosa e rozza
che tien solo il potere come suo faro
per l'esercizio di forme di vita sottospecie;
che ha gusto, per istinto, per invidia, di spezzare ad altrui concrete ali
comprando barattando promettendo
tutto coi soldi - e non c'è cosa che non possa comprar –
con l'illusione (cimiterial mente)
di aver per sé materia eternamente...
Ed a costoro serve solamente credere in questo
altro non vuol saper che esista: né libri né cultura né saperi
riprodurre se stessi all'infinito: né più né meno
che altrimenti si potrebbe veder se stessi e bello non sarebbe.
Qualunque cosa dunque va evitata - casomai sniffata
se incrina questo specchio immobile sul niente, appunto,
e intanto cade cade cade e mai par giunto.
Dev'esser questo il lor destino, pensa:
niente altro da sé riuscire a immaginare;
che dramma, ridere come già morti
che povertà, aver soltanto zucca - la propria - quale mensa.
Santa Sapienza, santa Decadenza, Santa Ignoranza
ma Porca Prepotenza!
Ecco, io penso:
a quel ritrarsi di cui si è qui parlato,
che sento unica sponda;
a quelle Torri d’avorio ch’è facile giudicar nefaste,
perché tu stai lì, felice sasso,
e sembra quasi colpa ed esser connivente
– perché diciamolo, ciò che fai tu è un bel niente!
Eppure, questo penso, sempre è stato,
in ogni luogo e tempo
un monastero, un eremo, un Noè
qualcuno che prende e porta sé
fuor della società, lontano, altrove,
in aldilà di mondo naturale
e tutto terrestre: progetto, nuova regola, invenzione.
Da lì qualche buon seme ha poi raggiunto
gli Altri, la Gente, le Comunità.
E in quella schiera riconosco oggi, e parrà strano,
anche quei nostri padri e nonni, che in montagna
“dalle belle città date al nemico”
rifuggiarono senza né se né ma facendo loro un territorioantico.
Perché anche quelli stavano nei boschi
fra i ragni, col rumor di volpi e passi, e fronde;
eran romiti, a modo loro, in cerca
di risposte e di consiglio
di volpe astuta, di rapido coniglio,
e ancora la montagna suggeriva
per grotte ed echi ciò che conveniva.
Vivevan perciò insieme dentro e fuori
la vita martoriata di quei giorni
che potevan sentire senza senso,
di notte, al freddo, nello smarrimento.
Serve sempre chi sia un poco distante,
e ascolti la montagna e il suo pensiero
e anche preghi di aver Coraggio e Azzardo ed Umiltà
per non troppo sbagliare.
Allora arriva poi il Momento e servirà
quella staffetta vispa allegra lieta
che corra sino a noi con la notizia
che siamo pronti e l’ora ultima è suonata
di Miserrimo Lusso e Tracotanza
che qualche anche se piccola forte pianta ormai già cresce
nel segno strambo di Dignità e Follia,
nella giusta illusione di viver, finalmente e a pieno,
il nostro Tempo: la vita tua, e la mia.

(22 luglio 2009)

P.S. Ho qualche problema di salute, ma ieri è stato un bel giorno: ho trovato in Golem l'Indispensabile questa grande bella necessaria cosa che non avevo letto. Compare sotto il nom de plume di Rubina Vasi, ma è di Rossana Di Fazio, che mi ha autorizzato a dirlo. (s)

8 commenti:

sabrinamanca ha detto...

Che bella lezione quella dell'allontanarsi per vedere meglio e ancora, del non avere se stessi come modello, ma una tensione verso l'alto (che poi è la parte migliore di noi stessi). In questi tempi oscuri, anche a voler fare del bene, ci si trova impelagati, tirati dentro a zuffe, scandali di ogni sorta, che a volte fanno venir voglia di urlare, di pronunciare sentenze definitive, di proporre gesti estremi.
Grazie di questa emozionante ammonizione, Rubina ( e grazie Solimano di averla colta!).

Silvia ha detto...

Ma è una meraviglia questa cosa! Solimano grazie di aver postato una cosa così bella. Una sintesi perfetta, un'analisi lucidissima delle umane e basse gesta. La salverò e la spargerò nel mio piccolo microcosmo. Per chi ha voglia di intendere, qui non c'è che l'imbarazzo della scelta. Complimenti Rossana Di Fazio.

Ciao Sabrina, è un piacere rivederti qui:)

Anonimo ha detto...

Bellissima davvero. Una lucida analisi da divulgare. Grazie, Solimano

Solimano ha detto...

A volte sono portato a credere che il caso non esista. Avevo cominciato da poco la serie "Ora diche un poesie" che apparentemente è scherzosa, ma che di fondo è ancor più sarcastica che maliziosa. Fatico a sopportare la svenevolezza, la compiacenza, la genericità, e un certo tipo assai diffuso di poesie è una scorciatoia ipocrita. Peggio ancora se in buona fede che in mala fede (esiste una buona fede mefitica).

Poi mi sono trovato questa grande bella necessaria cosa che non si pone obiettivi di piacevolezza sentimentale, ma la mette giù dura con asprezza - e con finezza. Ma ci tornerò in un prossimo commento.

Benvenuta Sabrina. La tensione verso l'alto è la parte migliore di noi stessi, che non c'è e che dobbiamo/possiamo costruire La consapevolezza è lo strumento, ma facciamo di tutto per non vederci in uno specchio non asservito. Bello, il tuo emozionante ammonizione. Ha un che di lucido ed appassionato.

Silvia, sì umane e basse gesta, spesso spacciate al mercato come alte. E il microcosmo non è da sottovalutare: chi crede di parlare a tutti non parla a nessuno, in particolare non parla con se stesso. Una chiave piccola può aprire una porta grande perché riesce ad entrare nel congegno lubrificato con attenzione

Giulia, ci pensavo rileggendo gli ultimi post che hai scritto nel tuo blog, ed i commenti che ci sono stati. Mi sembra che un chiamarsi fuori a gratis non piaccia più e che per chiamarsi fuori si capisca che fuori vuol dire anche fuori da un Super Io giudicante che più giudica gli altri meno s'accorge di quello che veramente fa in casa sua. Il moralismo come comodo placebo.

saluti
Solimano

Solimano ha detto...

Ciò che ha scritto Rossana Di Fazio è costruito (non abbellito, costruito) mediante un'alta e colta retorica oggi inusuale ma che abbiamo latente in noi in attesa di essere utilizzata (di utilizzarci?) per esprimere con poenezza significati antichi e attuali.
Ecco alcuni esempi, che svelano la serietà e la naturalezza del gioco espressivo. L'iterazione non è ripetizione, la modalità ternaria frequentemente usata permette di vedere il significato in modi diversi mantenendone però l'unità. Anche di cambiarlo, il significato, di camminarci dentro, generalmente ascendendo, a volte anche discendendo, se il contesto lo richiede. Come certe escursioni impegnative, difficili, faticose, ma che ti appagano con panorami improvvisi/inattesi:

...
ch’è schiamazzo ch’è caos ch’è confusione,
...
cocci avvelenati.
...
Certo colpisce - e diciamolo, anche incanta –:
quanta potenza nelle misfatterie!
...
crassa opulenta presuntuosa e rozza
...
comprando barattando promettendo
...
con l'illusione (cimiterial mente)
di aver per sé materia eternamente...
...
né libri né cultura né saperi
...
Qualunque cosa dunque va evitata - casomai sniffata
...
che povertà, aver soltanto zucca - la propria - quale mensa.
...
Santa Sapienza, santa Decadenza, Santa Ignoranza
ma Porca Prepotenza!
...
un monastero, un eremo, un Noè
...
fuor della società, lontano, altrove,
...
progetto, nuova regola, invenzione.
...
gli Altri, la Gente, le Comunità.
...
di notte, al freddo, nello smarrimento.
...
fra i ragni, col rumor di volpi e passi, e fronde;
...
e anche preghi di aver Coraggio e Azzardo ed Umiltà
...
quella staffetta vispa allegra lieta
...
di Miserrimo Lusso e Tracotanza
...
nel segno strambo di Dignità e Follia,
...


Non è una fuga, è l'espressione di una disperazione fiduciosa che condivido e che va più ancora praticata che detta. Un ciò che non siamo, ciò che non vogliamo che consente a chi è fuori di essere veramente dentro. La condivido, la disperazione fiduciosa di Rossana Di Fazio. Cerco di metterla in pratica, spesso non ci riesco, a volte anche sì, mi accorgo di riuscirci quasi facilmente. La condizione è non stringere il pugno ma aprire la mano anzitutto a me stesso, perché è di lì che occorre partire: da de stessi, senza chiedere agli altri quello che possiamo/dobbiamo fare noi.

saluti
Solimano

Gauss ha detto...

Rubina/Rossana, anche un tuo conquistato lettore non è nel suo pensar disgiunto dalla tua invettiva impietosa e sofferta. Bello e giusto il tuo elogio del tenersi fuori, è l’unica difesa decentemente praticabile, ci sguazzino pure gli altri, nel loro caotico, ridanciano, corrotto, miserabile dentro. Lo so, lo so, quel che pensano e sfacciatamente dicono i furbi, che l’Aventino, l’eremo, la Torre d'Avorio sono solo il rifugio dell’imbelle, che chi si chiama fuori, peggio per lui, ma lo dicevano anche di chi andava in montagna, prima di pagare il conto della loro tragica confusione fra dentro e fuori.
Ad ogni passaggio del tuo testo si incontra un’invenzione, una sorpresa concettuale e linguistica insieme, in una mirabile coinvolgente fusione espressiva, qua e là impreziosita dalla musica dell’endecasillabo:

…Anch’io vo’ dire ancora qualche cosa…
…che pur non è nel mio pensar disgiunto…
…comprando barattando promettendo…
…di aver per sé materia eternamente…
…Eppure, questo penso, sempre è stato…
…fuor della società, lontano, altrove,..
…per grotte ed echi ciò che conveniva…
…la vita martoriata di quei giorni…
…di notte, al freddo, nello smarrimento…


Versi che, anche a leggerli sradicati e ammucchiati uno sull’altro, mantengono intatta la loro suggestiva sonorità.
Grazie, Solimano, di avermi guidato a questo incontro.

Gauss

Anonimo ha detto...

posso aggiungere una voce dissonante?
la metrica è la metrica, ha le sue esigenze:

apprezzo, come Gauss, gli endecasillabi,
non mi piacciono gli scazonti.

mi torna in mente il mirabile distico
che citava in questi casi il mio nonno Alberto:
il vento
spense le candele che ardevano sull'altare del Santissimo Sacramento
ciao,
marameo,
a

Solimano ha detto...

Alberto, io ci andrei piano, con lo spadone della metrica, anche se è uno spadone storicamente formidabile e lo sarà ancora.
Parole come erudizione, eloquenza, oralità, retorica oggi sono spregiate, a volte derise non so se più per arroganza o ignoranza. Ma passerà, la tronfia stupidera, prima o poi.
Sto sull'endecasillabo, strumento versatile più di ogni altro. Ci sono tanti modi di usarlo: Monti, Foscolo, Leopardi sono diversissimi.
Facile e ricolmo di bellurie il Monti, stilisticamente perfetto il Foscolo, ma il Leopardi! Nel Leopardi c'è senza che lo si noti, ed è questo il risultato massimo: una maniera che ci sia senza mostrarsi tale.
Col brano di Rossana Di Fazio mi è successa una cosa strana. Nel mio precedente commento avevo evidenziato una serie di incisi, senza pensare a endecasillabi o che. Prima che Gauss pubblicasse il suo commento, non dopo, mi sono accorto che molti di quegli incisi erano ensecasillabi. Per me Rossana non li ha cercati, li ha trovati lungo la strada che percorreva, tanto sono naturali.
Per quelli che tu chiami scazonti, occhio. Leggiti "The Waste Land" di Eliot (con Ezra Pound come miglior fabbro). Una delle più grandi poesie del Novecento. Eppure il rigoroso dantesco Eliot si prende frequentemente la libertà (non la licenza) di usare forme e versi completamente inattesi. Perché? Perché la ragion poetica voleva così! Eliot e Pound lo sapevano, anzi, ne erano saputi. Come certe pennellate alla brava di Tiziano.

saluti
Solimano