lunedì 19 ottobre 2009

I vigneti della val d'Aosta

Ottavio

Nel corso della bella gita al Forte di Bard (e soprattutto al magnifico Museo delle Alpi, nome altisonante ma contenuto ben corrispondente) sono stato colpito dalla vista delle vigne presenti sui tratti solatii delle colline che affiancano la valle della Dora Baltea tra Bard, Donnas e Pont St. Martin.
Sono disposte su terrazzamenti scavati nel corso dei secoli, immagino, onde permetterne l’impianto nei piani così ottenuti. Le viti si arrampicano su pergolati alti, di legno (la pergola valdostana).
Certo non sono conformi al paesaggio di vigne sterminate che si presenta a chi si inoltra nelle prime colline dell’Oltrepò pavese (o anche nella Franciacorta o nel Monferrato etc etc); sono più affini a quelle che si vedono in alcune vallate dell’Alto Adige o sulle coste delle Cinque Terre.
In comune con queste ultime hanno il senso dello sfruttamento estremo di scarse risorse (per la conformazione del territorio, per la necessità comunque per l’uomo di assicurarsi la sopravvivenza) e la produzione di ottimi vini bianchi. D’altronde leggo che “la vite ha la sofferenza nel Dna: più patisce e meglio produce”.
La Val d’Aosta produce un ottimo Chardonnay, leggo sui sacri testi del vino, uno dei miei preferiti.
Debbo averlo assaggiato in passato, fornito da un congiunto che da anni frequenta Gimillian, sopra Cogne, ma non ne conservo un ricordo particolare. Alla prossima occasione starò più attento, sia per il gusto sia per il rispetto che si deve a chi lo produce in queste condizioni!

11 commenti:

Solimano ha detto...

Giorgio (Ottavio), i nostri due post, scritti sulla comune esperienza di ieri, si sono quasi sovrapposti, senza nessun accordo preventivo fra noi, che siamo rimasti lì, come due baccalà, quando ci siamo visti vicendevolmente.
Il bello è che si tratta di post ben differenti, come se in un certo senso le nostre due esperienze fossero state diverse.
Ma sono i nostri vizi, ad essere diversi: io tabagista sfacciato, tu, che soffri di dipendenza dal vino rosso e curi la dipendenza col vino bianco.
Bella la metafora sul DNA delle viti: è anche una metafora della vita, oltre che della vite. La sofferenza, le difficoltà, di per sé non sono positive, fanno star male. Ma fatto sta che se non ci fossero non si desterebbero le capacità di reazione e di azione latenti in noi. Guaia a cercarle, le sofferenze e le difficoltà, arrivano da sole. Il punto è affrontarle, allora diventano un trampolino.
E chi non ce le ha, le sofferenze, le difficoltà? Generalmente si adagia sul divano di sofferenze e difficoltà finte e farlocche, sostanzialmente autoprodotte. Su questi infingimenti piange in pubblico, salvo darsi una fregatina alle mani quando è per conto suo. Perché piange? Perché soffrire fa fino, mentre gioire e ridere no, che non fa fino.
Da cui una serie di considerazioni che ti risparmio (per il momento).

grazie e saluti, Giorgio
Primo (Solimano)

ottavio ha detto...

Caro Solimano,

a proposito degli effetti "benefici" delle difficoltà, senza scomodare la solita favoletta cinese, avrai letto la novella di Leonardo

La pietra focaia e l'acciarino
La pietra, essendo battuta dall'acciarolo del foco, forte si maravigliò, e con rigida voce disse a quello:" Che presunzio ti move a darmi fatica? Non mi dare affanno, che tu m'hai colto in iscambio. Io non dispiacei mai a nessuno".Al quale l'acciarolo rispose:" Se sarai paziente, vedrai che maraviglioso frutto uscirà di te". Alle quale parole la pietra, datosi pace, con pazienza stette forte al martire, e vide di sé nascere il maraviglioso foco, il quale, colla sua virtù operava in infinite cose.

Detta per quelli i quali spaventano ne' prencipi delli studi, e poi che a loro medesimi si dispongano potere comandare, e dare con pazienza opera continua a essi studi, di quelli si vede resultare cose di maravigliose dimostrazioni.


Sempre attuale il vecchio Leonardo...

Saluti
Giorgio

Silvia ha detto...

Io adoro il vino Ottavio. Se è buono ancor meglio:) Quest'anno ho saltato il corso da sommelier perchè costava un po' e avevo altri progetti, soprattutto legati al poco tempo che ho a disposizione. Perchè non avrei voluto perdere nemmeno una lezione. Ma l'anno prossimo, credo che sarà la volta del vino. Farai bene a prestare attenzione quindi, quando tornerai in quei luoghi. Sapere del terreno, delle precipitazioni, della temperatura. Sapere dei vitigni, della lavorazione, dell'invecchiamento. Perchè è affascinante per me, ogni fruttuoso rapporto natura-uomo. Intelligenza e costanza, fatica e impegno,rispetto, portano a risultati meravigliosi. E il buon vino è tra questi. La vite, anche se contorta, piccola, sacrificata è una pianta molto bella. Come la vita.

Barbara Cerquetti ha detto...

Io sono un po' ignorante in fatto di vini (veramente le cose in cui sono ignorante sono una montagna).
Però in questo caso è un'ignoranza che vorrei colmare, e rimando lo studio di tale argomento ai giorni in cui avrò più tempo e più soldi.
Ma mi ricordo bene che ai bei tempi si usciva la sera e si andava in giro a bere un po' di vino, che andavano parecchio di moda le enoteche (guai a chiamarle cantine).
E così i miei amici istruiti mi facevano assaggiare le cose "in". La Lacrima di Morro d'Alba andava fortissimo, ma per me aveva un sapore troppo forte. Mi ricordo che mi piaceva il Chianti, ma mi veniva da ridere ad ordinarlo perchè mi faceva pensare ad Annibal Lecter.
Fu lì che capii che la teledipendenza aveva per sempre minato la mia nonchalance...

Anonimo ha detto...

La mia esperienza in fatto di vino fa venir da ridere: so a malapena distinguere il lambrusco. E pensare che provengo da una famiglia di intenditori.
A volte la vigna traligna, se il terreno non è quello giusto: io ne sono la prova:)

Colgo questa occasione per lasciare a tutti un saluto non di maniera: sono giorni di lavoro e di studio, per questo sono così poco assidua.
Ci sono stati 'accompagnamenti' belli ed impegnativi ed altri ne seguiranno.

Ho voglia di raccontare, ma il tempo adesso davvero manca: tornerà, fra poco.
E col tempo, le parole scritte.

:)

zena ha detto...

scusate, l'anonimo sono io.
zena

ottavio ha detto...

A Silvia dico: sono in sintonia perfetta con te!
Il vino, la vite, sono cultura, storia e, aggiungerei, anche se il mio amico Solimano resterà scettico, salute (ma vale sempre la regola dell’auto-moderazione!).
Lo stesso potrebbe dirsi per l’ulivo o per il castagno, ma ne parleremo magari in altre occasioni.
Non ho mai frequentato un corso di sommelier quando poteva servirmi (il lavoro non me ne lasciava il tempo). Ora che potrei non ne ho più bisogno, avendo raggiunto diversamente la consapevolezza di cui parlavo all'inizio.
Per due anni ho seguito il ciclo di produzione della vite (dalla potatura alla vendemmia, dalla spremitura dell’uva all’attesa della maturazione del vino), anche con partecipazione attiva, nelle vigne di mio suocero. Ho visto la perizia ma anche la fatica nelle operazioni di conduzione della vigna, l’ansia nell’attesa o nella paura di eventi meteorologici, la suspence nell’assaggio del primo bicchiere di vino nuovo. Insomma, la coltura della vite è come una successione di riti... e capisco bene cosa c’è dietro un bicchiere di vino.
Negli ultimi trent’anni poi ho avuto la ventura di venire a lavorare a Milano, il che, direte, cosa c’entra col vino e la vite? C’entra perchè Milano è circondata da ogni parte da territori, anche se non vicinissimi, dove il vino occupa un posto centrale nell’economia: a sud l’Oltrepò Pavese, ad est la Franciacorta, a nord la Valtellina, a ovest il Monferrato. Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le... borse, così la mia conoscenza si è diffusa... in tutte le direzioni!

Saluti
Ottavio

mazapegul ha detto...

Voilà, Ottavio, i complimenti di uno che è quasi astemio, che valgono doppio. Di vini non capisco nulla, ma diverse volte ho provato la sensazione stupefacente, bevendo un bicchiere di vino a casa di amici, di entrare in un mondo sconosciuto. "Questo è il vino, di cui sento tanto parlare."
Quelli che, di rado, bevo io sono infatti vini da poco, che stanno a quelle rare esperienze come il mosto d'uva sta al vino che bevo io.
Quest'anno è piovuto sulla nostra collina vinifera proprio a ridosso della vendemmia, tirando giù la gradazione di un paio di gradi. Con gran scorno dei viticoltori di pianura, che in un'estate secca fanno 11.5-12, ma che quest'anno sono precipitati a un vinello per signorine d'antan. Con piena soddisfazione di quelli della collina, che sono scesi dai poco mercatabili 14 ai 12 agognati. (Ma rifersico ciò che mi raccontano loro, senza competenza da parte mia).

Ciao,
Maz

PS Sulla vigna sofferente, ricordo quelle bassissime, dei cespuglietti, disposte senza ordine né sostegno sulle pietraie delle isole croate. Un vino bianco, forte e quasi necessario.

Anonimo ha detto...

Io mi credevo astemia... Da ragazza non potevo neanche bere in un bicchiere che odorasse di vino. Poi, grazie al cielo, qualcuno ha insistito perchè lo provassi. E così ho imparato ad apprezzarlo anche se non ne capisco nulla e non ne posso bere molto perchè subito mi "inciucco", però in modo allegro.

Solimano ha detto...

L'esperienza della vite e della vendemmia l'ho avuta da piccolo: avevamo cinque filari di uva nera vicino al casello. Ho scrito una Novelletta degli Odori che qui non metto, intitolata "Il mosto", che ha un odore tutto suo che non si può non sentire. Forse non gradevole, ma un odore forte, che si fa rispettare. E i miliardi di moscerini sopra il mosto? Eh? avevano sicuramente una rete Internet: in mezzora il mosto si ricoprava. Il vino che facevamo non sarà stato un vino DOC, ma ci rendeva popolarissimi preso tutto il parentado.

saluti
Primo

Silvia ha detto...

Ottavio che meraviglia! Seguire così da vicino la produzione è una cosa molto affascinante. E l'emozione del primo assaggio, del risultato di tanto faticoso lavoro! E il profumo.
Io invito chiunque ad annusare prima di assaggiare. Ci sono vini che sono una vera poesia olfattiva, un gioiello di aromi combinati, un preludio aereo ad un fascinoso viaggio nel gusto.
Ogni volta sono grata a donne e uomini che sanno lavorare con tanta passione e competenza, al fine di regalarci una delle bevande più antiche e raffinate al mondo.
E poi, noi italiani, come i francesi, siamo dei privilegiati. Viviano tra i vitigni migliori al mondo, esportati ovunque, che danno ottimi prodotti. Perchè non dovremmo approfittarne?
Quando una persona mi dice che è astemia, mi dispiace sinceramente per lei.
Un bicchiere di rosso, a pasto, detto dai medici, tiene pulite le arterie.
Poi un tempo demonizzarono pure il parmiggiano-reggiano, per poi scoprire che è un ottimo coadiuvante per combattere le malattie legate alla carenza di calcio. Non riesco a non pensare che queste sparate abbiano più una valenza commerciale che scientifica.
Vero o no, guardo ai miei vecchi che ne hanno sempre consumato con costanza e moderazione e sono campati benissimo.
Abusare, si sa, fa male, ma questo vale anche per la mortadella.
Sì Ottavio, siamo in alcolica sintonia:)