domenica 13 settembre 2009

Maestri: il Leo

mazapegul

Qualche anno fa passai da Milano con Angelica, che aveva cinque anni, e andai a trovare Leo, il mio relatore di tesi. Scherzando le dissi, "Ti presento il mio capo." Lui, che ha sempre avuto la battuta pronta, quella volta prese invece Angelica sulle ginocchia e le spiegò: "Non sono il capo del tuo papà. Devi sapere che i matematici non hanno capi: ciascuno è capo di se stesso e l'unica cosa che conta è che scopra delle cose vere e interessanti."
Leo fu il mio professore di Analisi Matematica al primo anno d'università. Molti studenti lasciavano il suo corso per andare a seguire quello, molto più pedagogico e dettagliato, di un'altra docente. Io ero nello sparuto gruppetto di quelli che, al contrario, avevano lasciato la tranquilla sicurezza di spiegazioni che nulla lasciavano all'immaginazione, per seguire lezioni piene di idee, commenti, battute e "dettagli che lascio a voi da mettere a posto". Il Leo, un bellissimo uomo sempre al centro dei commenti delle ragazze, cancellava la lavagna con le mani; con quelle stesse mani si teneva poi la testa mentre rifletteva sugli esempi da far seguire agli enunciati dei teoremi, così che spesso usciva dall'aula bianco come un marmista di Carrara.
Anni dopo tornai dal servizio militare fuoricorso, con una media piuttosto bassa, svariati esami ancora da dare e, soprattutto, senza riuscire a ricordare perché stavo studiando matematica. La mia esperienza universitaria era stata negativa: non avevo imparato a studiare "da esame"; i miei orali erano disastrosi (per fortuna che c'erano anche le prove scritte) e -esame dopo esame- avevo perso la fiducia, che mi aveva sempre sorretto, di capire quello che studiavo (di cogliere, cioè, l'idea di una dimostrazione, o quello che uno poteva aver avuto in mente facendo una certa costruzione matematica). Fu durante questo vuoto di motivazione e senso, che vedevo riflesso nel volto silenziosamente preoccupato di mio padre, che scorsi in una bacheca l'annuncio del corso d' Analisi Matematica Superiore del Leo.
"Pensa, un corso avanzato di quel docente simpatico." Andai a seguire la prima lezione, un pò per curiosità e un pò per svago.

Fin dalle elementari, ho desiderato diventare ricercatore. I campi della ricerca sono cambiati spesso: archeologia, paleontologia, biologia, storia, filologia romanza, matematica...; quello che era rimasto costante, fino al momento della totale demotivazione, era l'attrazione per il mondo della ricerca. M'ero iscritto a matematica, dopo un breve sbilanciamento a favore di lettere, con l'idea chiara di diventare ricercatore in quel campo. La matematica m'era sempre piaciuta, mi sembrava importante, mi dava l'idea di organizzata anarchia che avevo come modello di vita.
Questi e altri pensieri m'affollavano la testa dopo le prime due ore di lezione. Assieme alla scoperta di un campo d'indagine di cui non avevo saputo nulla sino a quel momento. Con la sfida emozionante di esercizi tutt'altro che banali che ci era stata promessa. Affascinato dalla maniera in cui Leo spiegava (indifferente al rigore e ai dettagli) concetti matematici quantitativi, notoriamente difficili da digerire, facendoli sembrare naturali e quasi banali ("l'elevamento a quadrato deprime le code della funzione," e schiacciava la funzione con le mani verso il pavimento "ma ne esalta la testa" -e spingeva un pezzo di funzione verso il soffitto). "Come ho fatto -pensavo- a dimenticare d'amare tutto questo per tanti anni?"

M'offrii volontario per il seminario che mi sembrava più complicato, feci tutti gli esercizi e, dopo l'esame, chiesi al Leo la tesi. Sparii per un anno, dando i restanti esami e cazzeggiando come mio solito, ma la tesi venne fuori ("vedo che ieri sera hai fatto qualche conto," mi disse quando -dopo un anno- mi feci vedere, rosso per la vergogna, con una paginetta di idee malferme). Leo ci trovò -assieme a tanta fretta e improvvisazione- anche un pò di pensiero autonomo. Mi chiese cosa ne pensavo dell'idea di andare negli Stati Uniti qualche anno e, a quel punto, avevo infilato -con ragionevoli speranze- la via verso il mestiere dei numeri.

[Queste cose al Leo non le ho mai dette. Ci ho provato molti anni dopo, ma lui m'ha interrotto per parlare di altre cose più pratiche. Ancora oggi mi sento, per così dire, d'aver miracolosamente e per caso infilato un buco strettissimo. Un briciolo in più d'apatia, e non sarei andato a seguire le prime lezioni del corso, rimuovendo per sempre la matematica ruspante dalla mia vita. Il Leo avrebbe potuto ragionevolmente giudicarmi per la media dei voti, o per il ritardo negli esami, o per l'inaffidabilità nel seguire il percorso della tesi. Invece, si fidò di quel briciolo di intuito e di capacità che avevo, immaginandosi che si sarebbero anche potute sviluppare un pò di più.]

8 commenti:

Solimano ha detto...

Màz, lessi tempo fa alcuni tuoi brani in cui spiegavi perché la matematica è (parzialmente) anarchica. Parzialmente -se ricordo bene- perché c'è comunque il problema della pubblicazione sulle riviste con miglior reputazione, e quello di chi legge il tuo articolo per decidere se pubblicarlo o no, lettore ignoto ma a volte ben noto, a chi ha un po' di naso.
Quindi "organizzata anarchia" ci può stare, ma non al 50% organizzazione e al 50% anarchia (soluzione socialdemocratica), ma entrambe al 100% per cento e qui sta il busillis.

Condivido il tuo modo di fare l'università, a volte di studio matto e disperatissimo, a volte con mesi di sabbatico cazzeggio. E' questo che fa la vera differenza rispetto a coloro a cui è toccato in mala sorte di andare a bottega prima dei diciott'anni: hanno tutte le giornate troppo strutturate, mentre il cazzeggio di un mese o due consente l'apertura della mente, perché il tempo, durante il cazzeggio, va in qualche modo strutturato, non si struttura da solo.

Chi è il Leo? Un uomo felice.

saluti
Solimano

Silvia ha detto...

I rapporti d'amore come li definisco io sono i più vari e complessi. E questo sicuramente rientra tra questi. Fortunati ad esservi incontrati e di esservi dati reciproca fiducia. Sono certo che anche lui avrebbe da scrivere cose molto belle dello studente Maz. Siete stati fortunati e non solo.

Il Leo mi pare il protagonista de L'attimo fuggente. Anche solo per la mano piena di gesso che si tiene in testa quando pensa, gli darei un bacio in fronte. Mi ricorda mio padre pieno di olio da motore quando crea i suoi marchingegni: ne ha ovunque.

Anonimo ha detto...

Grazie al cielo esistono professori così. Sono rari, ma ci sono e sono quelli che non si dimenticano.
Averne almeno uno nella vita è già una fortuna.

Giulia

mazapegul ha detto...

Solimano: hai perfettamente ragione; 100% di strutturazione e 100% di anarchia. Anche Galileo (sto leggendo il Dialogo) sarebbe daccordo. Sul cazzeggio, a volte si esagera; ma anche l'iperlavoro diminuisce la resa. Dice un collega americano con cui lavoro da anni: "in tutto l'anno ci sono al massimo dieci giornate produttive; se le si conoscesse in anticipo, si potrebbero prendere delle lunghissime ferie."
[A me rimane il senso di colpa di quello che ha avuto tempo per il cazzeggio, al contrario di altri, e non ha saputo usare questo privilegio al meglio, a beneficio proprio e degli altri].

Silvia, il Leo è una persona veramente perbene, oltreche uno che la matematica la capisce davvero.
Credo che sarebbe stupito leggendo di un "rapporto d'amore". Quando tornai dagli USA, mi disse "in cinque anni, non mi hai fatto sapere nulla di te. Neanche una cartolina mi hai mandato." [Lo facevo perché non gli volevo rompere le scatole, equivocando, come mio solito]. Lo considero come una delle figure para-paterne della mia vita.

Verissimo, Giulia. Io di maestri così ne ho avuti almeno tre (in queste cose sono un tipo fortunato; forse anche perché -lasciami un piccolo vanto- li ho saputi riconoscere): gli altri alle prossime puntate.

Habanera ha detto...

Aveva la vista lunga il Leo e sapeva riconoscere il talento anche sotto quintalate di cazzeggio.
Questo sanno fare i veri Maestri.

Ciao Màz
H.

Silvia ha detto...

Non c'è sempre corrispondenza tra ciò che sentiamo e il nostro agire. Questo non significa però che il sentimento non esista. Cartoline o no, gli hai comunque portato tua figlia:)
Io purtroppo non posso vantare rapporti "privilegiati" con insegnanti, che di solito arrivavano al nostro cospetto stanchi e demotivati e poveretti non riuscivano a trasmettere molto, anzi...
L'unico ricordo caro è la mia maestra delle elementari, Pierina, che ho amato follemente. Purtroppo è morta da molti anni.

Barbara Cerquetti ha detto...

Anche io ho avuto un percorso universitario altalenante.
Voti sempre altissimi, questo sì, ma per un mio marcato senso del dovere. Dentro invece sentivo il disamore crescere sempre di più.
La tesi l'ho fatta con la nausea e dopo averla discussa per più di un anno non sono riuscita nemmeno a leggere i fumetti quando andavo al bagno.
Ancora oggi ho qualche problema a leggere la saggistica.
Mai incontrato un professore che abbia saputo vedere in me un talento ulteriore a quello di essere una "brava ragazza diligente". Sei stato fortunato.

Solimano ha detto...

Due osservazioni.
La prima è che anche quelli diversi dal Leo sono utili, servono eccome, perché c'è una logica, nel fatto che l'altro corso avesse più frequentatori. Perché ad essere come il Leo probabilmente ci si nasce, non si diventa, e il Leo potrebbe dire come diceva Massimino, il presidente del Catania Calcio: "Io, modestamente, lo nacqui".
La seconda è che sarebbe utile fare come quando si disegna: disegnare gli spazi negativi, cioè, in base alla nostra esperienza, descrivere qualche non-maestro che sicuramente abbiamo avuto, e il perché. Senza pettegolezzi o malignità, stando disattaccati, ma ci sono dei professori che hanno costituito delle opportunità sprecate. Mica chiedo di essere tutti come il Leo, ma certe robette che succedono vanno individuate, prima di tutto in noi. Il punto, come sempre, è vedere o non vedere. Se non vedi, non sei consapevole.

saluti
Solimano