giovedì 10 settembre 2009

Il comunista che fotografava i fiori (4)

Solimano

Rosa



Trifolium pratense (Trifoglio)

Il Trifoglio (trifolium pratense) è noto come "pane del latte" per la sua diffusa utilizzazione come foraggio. E' utilizzato anche in cucina per insalate, minestroni e sformati.

Rubus ssp. (Rovo)

Del Rovo (Rubus ssp.) si conoscono almeno 2000 varietà, perché facilmente produce ibridi. Si propaga rapidamente mediante la riproduzione vegetativa, interrando le gemme apicali. Le more sono ricche di vitamine A e C e sono racolte per fare sciroppi e marmellate. Molte farfalle depositano le uova sul rovo. I germogli costituiscono un ottimo nutrimento per i bruchi.

Sambucus nigra (Sambuco)

Il Sambuco (Sambucus nigra) è un arbusto cespuglioso che può arrivare agli 8 metri.
I contadini tirolesi chiamavano questa pianta "Farmacia degli Dei". Gotta, glaucoma, affezioni polmonari, nevralgie, malattie della pelle, lussazioni erano i mali per curare i quali si usava il sambuco. Altro utilizzo è quello per la tintura delle stoffe: dalle foglie il colore verde, dalla corteccia il nero, dai fiori il blu o il lilla.

Il nome latino della Fragola (Fragola vesca) deriva dal latino "vescor" che significa "mangio". Il frutto vero della fragola non è la parte carnosa e rossa, ma sono i piccoli acheni verdi sulla superficie della fragola. Le foglioline, raccolte all'inizio della primavera, hanno un sapore piacevole; vengono utilizzate per minestre e risotti e per la preparazione di un tè rinfrescante. La fragola è diuretica, astringente, depurativa e tonica. Le foglie riducono piaghe ed ulcere, oltre a ridurre le abrasioni.

Fragola vesca (Fragola)

P.S. Consiglio di ampliare l'immagine della poesia a forma di fiore di Vittorio Bellini. Ho tratto le informazioni dalle schede di Anna Zaffaroni. Questo è il quarto ed ultimo post della serie. Utilizzando opportunamente le etichette ho fatto in modo che i quattro post siano visitabili insieme.

9 commenti:

zena ha detto...

Si vorrebbe essere lillipuziani per vederli così, i fiori.
Superfici apparentemente lisce, in realtà mosse e ondulate, geometrie perfette nella loro simmetria.

Io amo il sambuco, che Miro ha fissato nella sua vocazione di velo da sposa: fitto leggero e puntinato.
Una meraviglia.

Saluti da un giovedì torvo, di cielo e di aria. ci sarebbe bisogno di fiori, ma il terrazzo piange, dopo tanta siccità.

Solimano ha detto...

Zena, di belle immagini ne avrei altre, ma ho deciso di chiudere col quarto post. Di post in post, mi sembra di aver capito un po' di più quello che faceva Miro e stavolta, dopo la rosa dominante(su cui non servono spiegazioni) ho scelto di mettere fiori di per non belli, ma utili, per quel che ne segue per noi. E anche la rosa è diversa sa quelle a cui simo abituati: meno sfoggiante, più intima. Appropriata la vocazione dei fiori di sambuco a velo di sposa, sembra proprio così.
Mai estetizzante, ma a suo modo drammatico, sempre espressivo. Racconta se stesso e noi, attraverso i fiori. Mi piacciono alcuni lampi vigorosi nelle poesie di Vittorio Bellini, bisognerebbe conoscere Monza per apprezzarle del tutto: i Boschetti ed il pratone sono dei posti ben precisi, che tutti i monzesi conoscono. Però qualche altra immagine di Miro la metterò ancora, in qualche altro post in cui ci sia il nesso.

grazie Zena e saluti
Solimano

Silvia ha detto...

E io arrivo alla soglia del mezzo secolo, ancora un pochino eh, per scoprire che il trifoglio lo si usa nelle insalate e nel minestrone?
Roba da matti! Mai sentita una cosa del genere e dire che in montagna, con la fame, hanno mangiato anche la paglia.

Le poesie mi piacciono molto.

Barbara Cerquetti ha detto...

Io invece non ho trovato quello che pensavo essere il Non ti scordar di me e che invece non era.
Avevi messo la foto del VERO Nontiecc. in uno dei post precedenti.
Come si chiamerà allora il mio fiorellino celeste?

Ho un'idea!
Quando mi capita lo fotograferò e poi metterò la foto qui, così potremo bandire una specie di floreo-quiz!

Solimano ha detto...

Barbara, stamattina ho fatto una prova. Sono andato in Google con "myosotis arvensis" ed ho riscontrato che è effettivamente il nome latino del Non ti scordar di me e che, guardando con attenzione, alcune immagini hanno l'esatta tipologia dell'immagine di Miro, che è facilmente reperibile, perché basta cliccare sull'etichetta in fondo a destra e vengono fuori tutti i quattro post insieme. Sai quale può essere il problema? Che i fiori non sono soli, hanno parenti, cugini, zie giovani e vecchie: gli ibridi. Difatti alcune immagini in Google fanno pensare a questo (a parte la qualità...)

saluti
Primo

Solimano ha detto...

Come ho già detto, Miro non l'ho mai conosciuto, ma mia moglie sì, cresciuta a pane e Feste dell'Unità, a differenza di me.
Lo chiamava nelle classi dove insegnava a parlare dell'ANPI, attorno al 25 aprile. Lui era contentissimo di venire, e non usava parole generiche, raccontava le esperienze sue e dei familiari.

Trascrivo alcune frasi che ha scritto nel libro Umberto Isman, fotografo professionista:

"Il Parco di Monza diventò così per Vladimiro una sorta di palestra di gioco. Ogni volta che varcava uno dei cancelli d'ingresso era carico di curiosità e aspettative sempre differenti. Una frequentazione del parco ben diversa da chi in qualche modo lo "sfrutta" soltanto per fini ludici, ricreativi o sportivi. Una frequentazione ben più approfondita, lenta, a tratti simbiotica...
Perché Vladimiro era anche un grande viaggiatore, appassionato di luoghi e di popoli lontani, ma a Monza, e soprattutto nel parco, aveva trovato quello che l'antropologo Annibale Salsa definisce con felice intuizione "esotismo di prossimità".
Un dettaglio significativo, probabilmente una scelta precisa, è il fatto che le sue foto fossero diapositive, stamate solo in rarissimi casi, assolutamente fedeli all'originale e solo per se stesso.
... lo sguardo dell'osservatore non vaga mai a caso, ma è guidato delicatamente a scoprire quello che Roland Barthes chiamava il "punctum" della fotografia, il centro del significato".

saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Mi piace la definizione di "esotismo di prossimità".
Una felice definizione per chi guarda ogni cosa che lo circonda con gli occhi del viaggiatore che la vede e scopre per la prima volta.
Magari a volte con lo stupore del fanciullo.

Ho letto ieri una definizione di fotografia di Josè Emilio Pacheco che riporto anche qui.

Cosa terribile la fotografia.
Pensare che in questi oggetti quadrangolari giace un istante del 1959.
Volti che non sono poù, aria che non eiste.
Poichè il tempo si vendica di chi infrange l'ordine naturale fermandolo, le foto si crepano, ingialliscono. Non sono la musica del passato: sono il frastuono delle rovine interne che si abbattono. Non sono il verso ma lo scricchìo della nostra cacofonia.

Anche se non sono d'accordo, stimola ad una serie di riflessioni.
Forse per questo motivo Miro non stampava che raramente le sue foto e le lasciava in diapositiva, anche se le diapo non sono esentate dal rovinarsi.

Mantenere intatta una fotografia, un ritratto, regala al soggetto rappresentato la qualifica di opera d'arte: unica ed eterna.

ottavio ha detto...

Sul sambuco e per gli appassioanti di stranezze culinarie.
Con i fiori del sambuco (quando sono ancora bianchi) si può ottenere un'ottima frittura vegetale, magari mista insieme ai fiori di zucchina e alle foglie di salvia.
Più noto invece il fatto che dal frutto (bacche nere) si ottiene un caratteristico sciroppo, con le proprietà terapeutiche descritte da Anna Zaffaroni.

A disposizione per le relative ricette...

Solimano ha detto...

Ottavio, ben ritrovato! Nel virtuale ci incontriamo poco, fortunatamente nella vita reale ci incontriamo più spesso.
Ma quelle ricette, sono sarde per caso?

saluti a casa
Solimano