domenica 26 aprile 2009

Ma noi col Maghreb che c'azzecchiamo?

Sgnapis


Ritorno ora dalla visita al babbo, dal quale vado a pranzo ogni fine settimana. E oggi, tra le tante, ho sentito la solita frase: la gente ormai è fuori di testa. Perché è sola, ho risposto subito io. Luogo comune su luogo comune eppure c’è verità in questa affermazione. La socializzazione ha assunto connotazioni così diverse rispetto solo a qualche decennio fa che si fa fatica a trovare similitudini. C’è stato un momento intermedio, in cui la politica ha svolto un ruolo aggregante molto forte, poi l’individualismo e la solitudine hanno preso il sopravvento. Sparito il contesto agricolo e il “concetto di aia”, disgregata la famiglia come nucleo associativo, annullato il rapporto con la piazza, ora si passa da una palestra all’altra, da un discobar ad un ritrovo per happy-hour dove i cellulari sono i veri protagonisti. Vi è capitato, quante volte, che una persona che sta parlando con voi ad un certo punto si metta a rispondere al cellulare o a modificare le impostazioni? Oppure : Scusa, aspetta, devo assolutamente rispondere… E io che sono qui? Davanti a te? Forse sarebbe il caso se chiamassi col cellulare allora! Molto irritante, eppure sono io la matusalemme.
Parlavo sempre oggi con una ragazza originaria del Maghreb che proviene da un paese vicino ad Agadir.
Oltre all’abitudine di condividere il bagno turco anche per una giornata intera, con tutte le altre donne di casa, che siano madri, sorelle o fidanzate dei fratelli poco importa, loro vivono ancora usanze e tradizioni, riti propiziatori dove condividono un progetto, una “speranza”.
Questo mi ha raccontato:
- se una ragazza desidera diventare madre, circa all’inizio della primavera, quando ci sono agnelli in abbondanza, passa da un’abitazione all’altra del paese, a raccogliere una costoletta di agnello donata dalla padrona di casa. Terminata la raccolta, conciate a dovere con tutte le spezie e un’erba “magica che scalda gli ormoni”, mette le costolette ad essiccare al sole. Ogni sera le deve raccogliere per poi rimetterle al sole il giorno dopo. Questo per più di un mese. Verso la fine della primavera, (ho più o meno considerato), le mette tutte in ammollo per una notte e poi il giorno dopo cucina una grande quantità di Couscous, invitando tutte le donne che le hanno donato una costoletta. E’ una grande festa in cui mangiano, si divertono e ballano per ore. E’ il sistema utilizzato per fare ingrassare le donne patite, (si sa che nella cultura africana e araba la donna in carne è un investimento) che in questo caso gli ormoni scaldati non so cosa c’entrino, però a sentir lei, vuoi perché è un condizionamento psicologico, vuoi che l’erba in questione è davvero miracolosa, vuoi che hanno mangiato così tanto che sono ingrassate per forza, tutto questo pare che funzioni. Sarebbe molto interessante addentrarsi in queste tradizioni e culture affascinanti per sfociare nell’antropologia, ma ci vorrebbero giorni di studio. Penso però alle donne sarde all’ombra dell’androne di casa che ricamano e fanno uncinetto, cucendo le vite del paese, penso a mia nonna che con sua sorella andava dall’Alda a fare qualche uova di cappelletti, così gioivo anch’io, penso alla nonna montanara della mia amica Lory che stava in cortile con le amiche a sbucciare legumi e pelare le patate per la pasta e fagioli e, strano a dirsi, malgrado la poca cultura, questa donna sapeva sempre tutto. Penso alle donne africane, o aborigene, mentre gli uomini sono a caccia e loro attorno al fuoco, svolgono il lavoro che scandisce la vita del villaggio. I bambini ovviamente sono tra loro a giocare nei paraggi. Tutti noi a pensare che forse stanno meglio loro, malgrado muoiano di malattia e mancanza di igiene. E’ vero, hanno una vita media decisamente più bassa della nostra, ma sembrano più sereni. Perché fanno una vita sociale piena, credo io. E questo luogo, nel suo piccolo, svolge anche questa funzione. Che non è poco.

6 commenti:

annarita ha detto...

Mi hai fatto rammentare le giornate estive in cui si andava dalla nonna a fare la conserva di pomodoro. Si era solo donne e ragazze, a ridere e a raccontarsi di tutto mentre si passavano quintali di pomodori e si imbottigliava la passata, che emanava un profumo intenso come non ho più avuto modo di sentire. Gli uomini arrivavano all'imbrunire quando c'era bisogno di accendere i fuochi sotto i bidoni per far bollire le bottiglie e i barattoli.
Che nostalgia! Grazie per avermelo fatto tornare in mente, un bacione!
Annarita

Solimano ha detto...

Le terme dei romani, l'acqua del Gange, quella dell'Alhambra, i bagni delle donne di Durer, Rubens, Fragonard, Renoir, il bagno turco, la sauna svedese hanno in comune soprattutto una cosa: socializzazioni in cui in prima linea c'è il corpo.

Sul Maghreb ci andrei piano, perché certi riti sociali sono più vecchi che antichi. Sono intrisi di tribalismo, e ho letto con piacere che una giovane zingara l'altro giorno a Milano si è ribellata alle regole del clan. Rischia molto.
Figli di se stessi, bisogna diventare, e i padri-padroni di ogni tipo (anche e soprattutto spirituale) le provano tutte: minacce, lusinghe, istigazioni alla paura, compomissioni, solidarietà pelose. Anche le madri-padrone esistono, e sono padronissime.
E che si fa? Bisogna, al tempo stesso essere centripeti e centrifughi, un abominio matematico, ma ogni tanto ci si riesce, come il calabrone riesce a volare. Ogni tanto, ma ci si riesce, anche qui.

grazie Silvia e saludos
Solimano

sabrinamanca ha detto...

Da settembre lavoro con due colleghe, una senegalese e una dello SriLanka. Questa esperienza mi sta permettendo di vedere da nuove angolazioni, leggere i legami familiari diversamente. La cultura ha una parte davvero importante nella formazione personale, anche se ogni cultura ha suoi vantaggi e svantaggi. Da un lato mi pare che abbiamo la tendenza a rivestire di mito il passato o il diverso, dall'altro, rinunciare al nostro egoismo, alla nostra voluta solitudine ci fa paura perché rinunciamo anche a un pezzetto di libertà.

Un abbraccio

Anonimo ha detto...

Certi modi di essere della nostra "civiltà" ci fanno invidiare quello che vediamo negli altri e che a noi manca. Sono però d'accordo con Solimano.
Bisognerebbe rivedere noi stessi e ritrovare quel senso della comunità che abbiamo perso per strada. La libertà individuale è diventata individualismo e di conseguenza anche solitudine.
Indietro non si torna, ma questo non vuol dire che non si possa cambiare andando avanti.

Abbracci

Barbara Cerquetti ha detto...

Su questo argomento sono un po' combattuta.
Credo che ci voglia un giusto mezzo. Quello che vedo io attorno a me è che la gente è terrorizzata dallo stare da sola. Un po' troppo terrorizzata. E poi, come giustamente fa notare Silvia, quando stanno con gli altri fuggono in cerca di altro ancora (vedi esempio del telefonino). C'è una specie di compulsività nelle pubbliche relazioni, che poi però rimangono tante ma superficiali. Ma isolamento e solitudine non sono la stessa cosa.
Io credo che la solitudine possa essere anche un'opportunità per conoscersi meglio. E ho visto anche questa incapacità si stare con se stessi trasformarsi in qualcosa di peggio. Però ci vuole un po' di coraggio, come in tutte le cose in fondo.

Silvia ha detto...

@Erano momenti bellissimi Annina, che temo si siano persi con la "cementificazione" delle nostre vite. Come dico sempre, ognuno dovrebbe avere il suo pezzo di terra e cielo, che non è la tomba ovviamente:) ma un luogo dove riconoscere le stagioni e vivere secondo i loro ritmi. Si è perso questo contatto importante e questo a mio avviso è molto dannoso: conserve di oggi con conservanti annessi. Baci:)

@Solimano hai ragione. Figli di se stessi, anche se appartenere ad una società, significa comunque accettarne le regole. "buone" s'intende. Io non so quanto questo racconto sia intriso di tribalità, oppure è il perpetrare di un modulo comunicativo innoquo che mantiene saldo lo stare insieme, però mi ha fatto ricordare quando solo pochi decenni fa, e come è ancora in piccole realtà rurali e di paese, questo modulo sia ancora vivo e presente nel tessuto sociale. Con le debite precisazioni e analisi e differenze, lo ritengo vincente sotto molti punti di vista. Anche la fisicità che appartiene ad altre culture che citi giustamente e che non ci appartiene più, malgrado giriamo esibendo metri quadri di pelle nuda, attraverso usanze e patrimoni, crea complicità e condivisione. Lo so che l'argomento è vastissimo. Mi voglio soffermare solo sull'aspetto più evidente: l'incapacità, del mondo occidentale intendo, di mantenere saldi valori di aggregazione e solidarietà, condivisione e partecipazione collettiva che facciano "bene" al singolo. Questo, ormai non è più un modus vivendi ma un volontariato in soccorso delle fasce più deboli. Poi nessun elogio a stregoni, maghe, fattucchiere, segnatori, "sacerdoti" e altro. Sono cose però molto affascinanti a mio avviso che affondano le radici nella notte dei tempi.

@Giulia io credo che l'equilibrio non matematico di cui parla Solimano è assai difficile da raggiuingere, per questo ho scritto il post. Credo che questo strumento sia un'espressione molto forte ed evidente di questo bisogno di condividere, in cui ognuno ritaglia la propria cifra comunicativa secondo i propri bisogni.
I giovani a livello globale ormai vivono le loro relazioni principalmente attraverso questo mezzo, ne seguivo giusto un servizio ieri notte, fatto abbastanza bene. Si abbandonano i vecchi "riti", le vecchie forme di aggregazione, i moduli espressivi, ci si divide tra teconologici e matusalemme,( nei ricoveri per anziani hanno installato i pc e attraverso le chat i nonnini si conoscono e si sposano). Ma di fondo rimangono sempre fisse e fondamentali due cose: comunicare e condividere. E noi occidentali, mi sembra che siamo un po' disorientati in tal senso.


@Sabrina, io rimango sempre affascinata di fronte a culture diverse e modalità espressive diverse. M'interessano i pecorsi di un popolo e le capacità di intergrazione e scambio proprio per la diversità. E come dici tu, c'è il bello e il brutto ovunque. Io credo che il mondo occidentale, abbia ottenuto grandi risultati sotto molti punti di vista, a discapito però a livello mondiale delle fasce più deboli, e questo si sa, ma anche di una rinuncia in nome del progresso, di ciò che erano le nostre radici. Ora si tenta un recupero affannoso, ma allo stato attuale dei comportamenti collettivi, le radici si sono perse quasi completamente, avvertendo così un vuoto, difficilmente colmabile.
La solitudine credo che sia una grande conquista quando la si può scegliere, altrimenti occorrono spalle molto robuste per poterla reggere.

@Barbara concordo in pieno sul comportamento compulsivo, alla ricerca costante di qualcosa che pare non accontenti mai. Di fondo non credo che si sappia più come cercare, ma sopratutto cosa.
Il cercare di comprendere se stessi e la solitudine che può aiutare in questo percorso è un altro ampio argomento, l'isolamento che un individuo può subire, benchè inserito in un contesto, è un altro ancora. Sono due processi inversi, uno vissuto all'interno di noi stessi e l'altro vissuto nel contesto sociale, lavorativo, amicale. Però è giusto ciò che dici, la penso come te: percepisco molta difficoltà a gestire l'uno e l'altro, con risultati spesso disastrosi. E credo che il vivere freneticamente e senza fermare l'attimo anche di una stretta di mano, renda tutto molto complicato.
Figuriamoci avere a disposizione due orecchie che stanno ad ascoltare la nostra vita e le nostre ansie!
Non a caso le professioni del secolo sono legate alla psicologia, psichiatria e compagnia bella.

In un altro momento della mia vita, per gioco e non per gioco, partivo coi miei "pipponi" domenicali (quasi un sermone)sul mondo, l'universo e tutto quanto. Di solito divertivo molto e spesso s'intavolavano discussioni anche interessanti.
Adesso non li faccio più, però ho preso di mira voi come facili "prede". Prima che decidiate di sopprimermi vi abbraccio tutti:)

Buona giornata:)