venerdì 27 marzo 2009

Ricordi sparsi...

Giulia

In questi giorni sto mettendo un po’ d’ordine. Ho ritrovato cose che non credevo di avere più: oggetti forse un po’ abbandonati, fotografie su cui mi è capitato di soffermarmi a lungo a volte senza ricordare dove e quando sono state scattate. Sono andata indietro nel tempo e ho lasciato che la memoria vagasse come una nomade nella mia mente alla ricerca di non so neanche io cosa.

“Trovare tesori nascosti, - dice l'Allende - ridare lucentezza ad avvenimenti usurati e rivitalizzare l’anima disperata attraverso il soffio dell’immaginazione”.
Forse è questo quello che tento di fare, oggi che sto attraversando un momento difficile, faticoso, un momento che affonda troppo nel passato e stenta a risalire per guardare al futuro.
E’ quello che succede quando troppe persone molto care ti hanno lasciato in un lasso di tempo troppo breve e ancora sembra che la morsa non abbia allentato la sua presa.

Ridarò pian piano lucentezza al senso della vita che oggi vacilla un po’, rivitalizzerò questa mia anima disperata? Se lo farò sarà proprio con la forza dell’immaginazione, con il desiderio di vivere la memoria senza rimanere ancorata ad un passato che non ha sbocchi e cercherò di farlo insieme a voi se avrete la voglia di leggermi, ma preferisco dire “ascoltarmi”.

Oggi la vostra presenza mi appare molto preziosa… Vedi, Sabrina, non sono così forte come appaio, oggi mi svelo in tutta la mia assoluta fragilità, quella che alberga dentro tutti noi e che ogni tanto ha bisogno di avere spazio e voce. Chissà che se da qui verrà un librettino anche mio per la biblioteca.

E allora mi siedo ad un tavolino immaginario e da qui comincerò il racconto della mia fragilità… Da questo tavolino perchè ho bisogno di luce e di sole.



7 commenti:

annarita ha detto...

Sono sorpresa. E piacevolmente. Non mi fraintendere Giulia, non mi riferisco al senso delle tue parole, ma all'atmosfera che si respira qui dentro. Nella realtà purtroppo mi sono abituata ad avere che fare con persone che sembrano sempre sicure di loro stesse e depositarie della verità. Vogliono aver sempre ragione e quando il torto è palese, si arrampicano sugli specchi pur di non ammetterlo. Di certo vivono più faticosamente di me che nutro un vero e proprio allevamento di sensi di colpa verso tutto e verso tutti. Qui non ci si vergogna di riconoscersi deboli, fragili, dubbiosi, a volte sconfitti e si va avanti con il desiderio di rialzare la testa e gettare il cuore oltre l'ostacolo, sentendosi in buona e solida compagnia. Fai conto che mi sieda vicino a te a quel tavolino al sole. Un abbraccio, Annarita.

zena ha detto...

Ho preso la sedia piccola e bassa, perchè mi piace ascoltare rannicchiata...

Ci sono già attorno al tuo tavolo, perchè sento molto vicine e familiari le tue parole, cara Giulia-Emilia.

Ho sempre vissuto con la paura di perdere... La sindrome di Erica, mi dice miomarito, prendendomi un po'in giro.
Lo ricordi, lo ricordate quel bellissimo personaggio di Vittorini?

" Perché il brutto sulla terra, per lei, era quello che poteva non esistere. Se non esistessero i gatti! pensava. Se non esistessero i vestiti rossi! Se non esistesse la ferrovia! Pensava, pensava, e si sgomentava. E i suoi terrori non erano lupi, non erano orchi: erano di svegliarsi in un mondo che avesse qualcosa di meno."

Ecco, anch'io sento così.
E invece sono anni di partenze e saluti, che cerco di rammendare, ricordando, reinventando, ripassando il tempo una seconda volta. Spesso addirittura con memorie di seconda mano.
Se scrivo, è proprio perchè non si disperda un mondo intero.
Non per nostalgia di un universo che non c'è più, neppure per arcadia, ma per la 'felicità di compagnia', sorridente e ironica, pensosa e giocosa, che le persone di quel mondo, e soprattutto di casamia, mi hanno dato.
Scrivere mi fa bene.
Ascoltare ancora di più.
zena
:)

Barbara Cerquetti ha detto...

Le cose che accenni mi fanno paura. La perdita delle persone, il senso del passato sono dubbi a cui non so dare risposta.
E chi le risposte ce le ha mi fa ancor più paura. La fragilità invece mi fa sentire che non sono sola.
Ti ascolterò con attenzione anch'io.

Solimano ha detto...

Giulia, l'ho detto tempo fa nel tuo blog, per me di forza ce ne vorrebbe di più, non di meno. Solo che bisogna capirsi: di che forza?
Forza anzitutto con se stessi, nel conoscere e riconoscere le proprie sfighe (le abbiamo tutti) e nel sapere che probabilmente ce le avremo sempre.
Forza nell'accorgersi dei propri errori e nell'ammetterli, non solo con sé ma anche con gli altri.
Forza nell'avere il fiato lungo, quando si persegue un progetto e di essere moralici e non moralisti. Mi sono stufato di tutti i bla bla contro Berlusconi a cui nei fatti non corriponde niente. Fanno il bla bla e poi pensano di essersi tolti il problema.
Forza di salire sull'unico treno che c'è e non starsene seduti in una carrozza su un binario morto.
Forza nell'essere allegri quando si può essere allegri (capita, ogni tanto).
E così via... ad esempio nello scrivere, non pensando di essere scrittori, ma persone che scrivono sì, perché scrivere -e rileggersi e cambiare quello che si è appena scritto- è come respirare.
C'è sempre qualcosa di cui godere e non lo vediamo perché sta lì, vicino alla punta del nostro naso.
Ma forza anche nell'ozio, che ogni tanto ci vuole, perché la fame di strutturazione del tempo non sempre fa bene. Decidere di non fare niente per tutto domani può esserte una decisione impegnativa.
Ma la forza più grande è nel lasciar arrivare le carezze, quando arrivano (perché arrivano, dalle direzioni più inaspettate, proprio da dove non le stiamo cercando). E nell'accettare che non sia tutto rose e fiori (lutti, malattie, soldi, amori).
Il senso di colpa ce l'hanno costruito addosso e non parlo dei genitori, ma dei valori di cui è permeata la società in cui siamo cresciuti: la valle di lacrime, il dolorismo, la bravitudine: chi ci ha detto che il piacere è bello, ad esempio, a scuola? Se uno fa le cose per piacere e stabilisce rapporti per piacere, dichiarando che lo fa prioritariamente per questo, vedrete che spavento avranno quelli che aspirano a controllarci utilizzando la loro tristezza ricattatoria e il loro star male sistematico, anche quando potrebbero star bene.
Le manipolazioni esterne, ma anche da parte del nostro Super Io pedante e coglione, sono come gli esami: non finiscono mai. E intanto l'Es è lì che scalpita in cantina. Mandiamo una buona volta il SuperIo a letto senza cena, non perché è stato cattivo, ma perché ha finto di essere buono.

grazie Giulia e saludos
Solimano
P.S. Super Io, come sei caduto in basso!

Habanera ha detto...

Sono qui, Giulia.
Mi siedo accanto ad Annarita, a Zena, a Barbara, a Solimano, a tutti gli altri che si avvicineranno.
C'è il sole ad illuminare il tuo tavolino e ci siamo noi ad ascoltarti.
H.

sabrinamanca ha detto...

Evvivaddio Giulia, hai tutti i diritti di riposarti e di non prendere sulle tue spalle tutto il dolore e la "forza" sta nel riconoscersi "deboli" rispetto ad una concezione di forza che noi stessi ci forgiamo.
D'accordo completamente con Primo, e aggiungo, sempre, sempre, noi siamo il peggior nemico di noi stessi.
Soli i bambini e non so fino a che punto, hanno bisogno di immaginare gli adulti invincibili, instancabili, infallibili. Io ho bisogno di esser amata, ascoltata, e di sapere che c'è qualcuno che mi vuole bene e che si puo' appoggiare a me quando ne ha bisogno. Chiedo tanto, lo so...

Silvia ha detto...

Mi sono commossa.

Ascolterò con piacere.

C'è un filo, per nulla sottile che lega le momorie delle nostre vite. Perchè ogni volta si muore e ogni volta si risorge. Nel frattempo si vive. A volte bene. A volte con persone che conosceno la paura e con te la condividono perchè non ne hanno paura. Non sempre, non più. A volte un tavolino, un raggio di sole, una seggiolina da potersi sedere sono tutto ciò che conta, in quel momento.
L'importante è rendersene conto.

Un abbraccio sincero, con affetto.