lunedì 8 dicembre 2008

Dell'essere l'ortografia mera opinione

Roby


Sono capitata sul sito del quotidiano Le Monde, e lì ho letto, con un certo stupore, della proposta di modificare le regole ortografiche della lingua francese, adattandole maggiormente alla pronuncia, nonchè alla scrittura di altre lingue di ceppo latino (italiano incluso). Così, ad esempio, si potrebbero eliminare le doppie nelle parole che in francese si leggono come scempie ( ad esempio in appeler o innocent), come pure sostituire ph con f (daufin anziché dauphin), th con la semplice t (bibliotèque, non bibliothèque), eliminando inoltre le y non indispensabili (biciclette invece di bicyclette): e così via.
La mia meraviglia nasce dal fatto che ho sempre ritenuto i nostri cugini d'oltralpe estremamente conservatori riguardo al loro idioma, oltre che gelosissimi della sua forma corretta. Credo che in Francia si svolgano ancora campionati di dettatura, o qualcosa del genere, e che la calligrafia sia tuttora abbastanza curata. Avendo studiato francese dalle medie al liceo, so per esperienza quanto sia complesso ricordare tutte le sue particolarità nella scrittura di nomi, aggettivi, verbi, plurali, singolari, ecc. Ma vedermele rivoluzionare così sotto gli occhi, parbleu! mi ha lasciato basìta.
Dunque -perchè no?- si potrebbe fare anche in Italia la stessa operazione... anzi, operazzione, dato che tutti noi, pronunciando la parola, raddoppiamo automaticamente la z. Del resto, familiare è già divenuto famigliare da tempo, benché a me la maestra lo segnasse errore blu. Quindi, procediamo su questa strada, cominciando subito ad eliminare tutte le insidiose, antipatiche i (non accentate) poste dopo c e g "dolci": celo, sufficente, scenza... A proposito: avete visto la copertina del libro postumo della Fallaci? Un cappello pieno di ciliege, così stampato per espressa volontà della scrittrice. La quale, già che c'era, avendo fatto 30 poteva far 31, modificando il tutto in cigliege: perché voi, forse, non la pronunciate così???

Reformer l'ortografe pour l'enseigner

9 commenti:

Giuliano ha detto...

Cara Roby, vorrei dire che la Fallaci non fa testo, ma purtroppo so che non è così.
Però penso che appena passa di qua Nicola ci racconterà delle sue traversie con le tastiere americane, che poi sono comuni a molti di noi.
A me è successo più di una volta di non veder arrivare a destinazione una mail: c'erano lettere accentate, ohibò, e secondo gli antivirus (made in USA) le lettere accentate sono pericolosissime.
Da allora ci sto attento, e ogni volta che devo scrivere Bugnuel vado nel panico. (o magari "garsòn")

Anonimo ha detto...

Certo che l'uso abbia sempre cambiato la lingua è vero, ma il pericolo è che citroveremo a scrivere come nei messaggini... Alla fine chi scriverà in modo corretto sarà considerato analfabeta di ritorno... Scherzo, ma molte cose sono già cambiate. Sta sparendo sotto i nostri occhi il congiuntivo... Ciao, Giulia

mazapegul ha detto...

Cara Roby, io preferisco "famigliare" a "familiare", perche' la seconda versione mi sembra presa direttamente dal latino, senza mediazioni, mentre la seconda -magari sbaglio- ha un'aria piu' toscana, dal latino attraverso il volgare, cosi' come piaceva a Manzoni.
Maz

mazapegul ha detto...

Accludo una dotta discussione dal sito della Crusca:

"M. Colombo, M. Pilotta, S. Piras, T. Ros e M. Jarach chiedono se sia corretto l’uso di famigliare in luogo di familiare. Dinoi pone lo stesso quesito su consiliare / consigliare, Valeri su foliazione / fogliazione. Bramanti e Lamacchia vorrebbero sapere se tra i due termini familiare e famigliare ci siano differenze di significato. Onofri, infine, chiede: «Se un componente della "famiglia" viene riconosciuto come "familiare", e quindi senza il "gl", la parola "familia" può essere usata in sostituzione di "famiglia"? è perciò un termine ancora corrente o è un latinismo caduto in disuso?»

Per chiarire la situazione, andiamo a leggere quanto scrive in proposito Luca Serianni nella sua Grammatica: «-iglia- / -ilia-: in alcune parole derivate da una base in -iglio o in -iglia si può essere incerti sulla grafia da adottare (e anche sulla relativa pronuncia): famiglia [familiare, familiarità, familiarizzazione o famigliare ecc.?], consiglio [consiliare o consigliare?], figlio, figlia [filiale o figliale?], ciglio, sopracciglio [ciliare, sopracciliare o cigliare, sopraccigliare?]. La ragione dell’incertezza è presto detta: le basi nominali sono parole “popolari”, cioè rampollate direttamente dal latino per trasmissione diretta, attraverso l’uso delle varie generazioni che si sono succedute dall’antichità fino ad oggi, apportando alle parole ereditarie varie modificazioni fonetiche; i derivati sono parole “dotte”, tratte dai libri, più vicine al modello latino originario (FAMILIA, CONSILIUM ecc.). Tuttavia, l’accostamento alla parola base ha favorito lo sviluppo di forme parallele con l palatale (graficamente gli): famigliare e simili accanto a familiare. Entrambe le serie sono accettabili e come tali sono registrate dai dizionari. Quelle più diffuse – e quindi anche più consigliabili, non essendo in gioco un’opposizione che coinvolga la correttezza grammaticale – sono quelle di tipo “dotto”, col gruppo l + i semiconsonantica conservato. […]». Il DOP, Dizionario di Ortografia e Pronunzia di Migliorini-Tagliavini-Fiorelli, estremamente utile in caso di simili incertezze, scrive a sua volta : «familiare o famigliare agg. – la stessa alternanza nelle voci der.: familiarità […] o famigliarità […], ecc.», idem per gli altri termini.

Dunque, come in altri casi precedentemente considerati su questo sito, non si può trattare la questione in termini di “giusto” e “sbagliato”: come ricorda Serianni, le forme senza palatalizzazione sono più consigliabili e più diffuse, ma quelle palatalizzate sono ugualmente accettabili. Una ricerca sull’archivio online del quotidiano La Repubblica, all’indirizzo www.repubblica.it, conferma questi dati: si ottengono infatti 74 risultati per famigliare a fronte di ben 627 per familiare.

Ricordiamo comunque che esistono moltissime attestazioni letterarie delle varianti palatalizzate: si può citare come esempio il titolo della famosa opera di Natalia Ginzburg, Lessico famigliare; risalendo più indietro nel tempo, con l’ausilio della LIZ 4.0, Letteratura Italiana Zanichelli, troviamo la forma attestata in 96 contesti di autori fra il ‘400 e il ‘500, come Boccaccio, Guicciardini e Bembo, tanto per citarne alcuni. Poiché, sempre nella LIZ e sempre in autori degli stessi secoli, la forma non palatalizzata si trova in 134 contesti, si può ipotizzare che al tempo le due forme fossero similmente in uso. Ricercando un altro termine nelle due varianti, come filiale/figliale, i risultati sono di 54 occorrenze non palatalizzate contro 18 palatalizzate (ma, di nuovo, in autori ineccepibili, e questa volta più recenti: Goldoni, Ugo Foscolo, Ippolito Nievo, D’Annunzio).

Al di là di tutte queste attestazioni, è innegabile che per diverse generazioni di scolari le forme palatalizzate siano state stigmatizzate come errori. Per molti anni queste varianti sono state oggetto di una marca sociolinguistica negativa: in altre parole, chi scriveva famigliare (o figliale, consigliare ecc.) poteva venire giudicato incolto. Negli ultimi tempi, invece, sembra prevalere una tendenza inversa, per cui le varianti palatalizzate sono assurte alla stessa dignità di quelle non palatalizzate.

Per tornare all’interrogativo della sig.ra Bramanti e del sig. Lamacchia, quindi, non ci sono differenze di significato tra familiare e famigliare e in generale fra la serie di termini senza e quelli con palatalizzazione: si tratta semplicemente di serie provenienti dalle stesse radici latine attraverso due diverse evoluzioni.

Il termine familia per famiglia, invece, non è attestato nei dizionari contemporanei: è infatti primariamente la forma latina servita come base per il termine italiano. Il Battaglia, tuttavia, nel suo GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana, attesta la forma non palatalizzata nell’italiano antico. Ma per quanto riguarda l’odierna lingua d’uso, mentre la forma familiare ha una sua ragione d’essere, poiché si tratta di una derivazione per via dotta dal latino, l’uso di familia per famiglia non è corretto."

Solimano ha detto...

Per me, familiare e famigliare significano cose diverse: un argomento può essermi familiare (non famigliare), il mio secondo cugino che abita a Montechiarugolo è ovviamente un mio famigliare, ma non mi è familiare.

Ma su questo argomento, i pestiferi non sono i cruscanti e nemmeno gli ignoranti, che hanno entrambi le loro ragioni, ma la categoria ahimè vasta dei saccenti-ignoranti, che beccano la regoletta e misurano l'universo mondo sulla base della regoletta piccina picciò come la loro mente.
Mi capitò di sostenere che si può scrivere anche qual'é oltre che qual è, adducendo autori come Tozzi, Landolfi e Tecchi, eppure no, persistevano col terrorismo del qual è solo perché lo avevano letto su qualche libretta propinatagli da una maestrina dalla piuma rosatella.
Il cruscante sta in genere sul può darsi, l'ignorante va dritto sparato con l'uso, il saccente-ignorante (che può essere diplomato, persino laureato, tiè!) è un braghettino (braghettone di tipo piccolo) che non accetta che la lingua sia viva, la vuole liofilizzata.
Autori e uso, uso ed Autori, questa è una lingua.
Ma chi sono gli Autori?
Gli Autori siamo noi! Eh... eh...

grazie Roby, saludos y besos
Solimano

Anonimo ha detto...

Che belpost da leggere con calma. Ripasserò che ora non ho tempo.
Buona serata a tutti.

Ermione ha detto...

Naaaa...
L'uso non fa la regola. Oggigiorno l'uso che si fa della lingua italiana fa accapponare la pelle. Certo, la lingua è in continua evoluzione e lo stare ancorati a regole antiche, desuete ed incongrue non serve. Ma dimenticare usi grammaticali e sintattici solo perché l'uso impone nuove leggi, beh, questo proprio non va. La lingua italiana è difficile e bellissima, complessa e piena di regole e di eccezioni; che meraviglia. Sarebbe bello che gli autori fossimo noi, ma va'.

Perciò ciliegie e non ciliege (alla faccia della Fallaci), qual è e non qual'è (non tutti siamo Landolfi).Né Tozzi, e neppure Tecchi.
Ugh, ho detto
LA MAESTRINA DALLA PENNA FUCSIA

Giuliano ha detto...

Io da bambino mi chiedevo come mai si dovesse scrivere "cielo" e "cieco": poi ho conosciuto il papà di un mio compagno di classe, che veniva da Amalfi.
Ebbene sì, cielo e cieco con la i da allora per me hanno un senso, e ne hanno ancora di più da quando ho imparato a conoscere Eduardo.

Il punto infatti a me pare questo, le parlate locali. La grammatica dell'italiano è utile proprio perché è una sintesi: al Nord nessuno dice "eccezionale" con due zeta oppure "obiettivo" con due b. Anzi, i veneti annullano sistematicamente tutte le doppie...

Giuliano ha detto...

A proposito di Arfasatti, ogni volta che trovo una parola come "Fucsia" mi sovviene dei miei professori siciliani, che dicevano sempre fu-chi-si-ha.
E lo xilolo diventava "icchissilolo"...