mercoledì 10 dicembre 2008

Mobbing

Giuliano

Chi ha sperimentato il mobbing, a scuola o sul lavoro, sulla sua pelle o vedendolo praticato ad altri, sa che c’è poco da scherzare: il mobbing è una cosa seria, dura, che può avere conseguenze drammatiche sulla vita di una persona. E’ per questo che mi ha molto colpito, tornando al processo per “frode sportiva” che si tiene a Napoli in questi giorni, l’uso della parola “mobbing” a proposito di giovani calciatori milionari. Un calciatore di vent’anni, serie A o serie B, anche il più scarso, guadagna almeno dieci volte di più di un dirigente d’azienda, magari di quelli che guidano impianti pericolosi e hanno la responsabilità di centinaia di persone. In queste circostanze, il solo accennare al mobbing diventa eccessivo: invece i nostri giornalisti si bevono tutto e riportano seriamente e severamente fatti come questi:
- il calciatore Miccoli dice: “Moggi mi ha fatto levare l’orecchino, solo a me e non ad altri”.
- il calciatore Amoruso dice: “Il mio procuratore mi disse di non firmare il contratto, perché mi avrebbero mandato via per comperare altri calciatori da far giocare al mio posto”.
- il calciatore Grabbi dice: “Moggi mi ha minacciato, mi ha detto che se non firmavo il contratto avrei giocato solo nel giardino di casa”.
Va detto che l’imputato, il Moggi, è una persona piuttosto sgradevole, diciamo che non sfigurerebbe in una foto di gruppo con l’on. Cicchitto e l’on. Ciarrapico; ma che si possa andare in tribunale a deporre quello che ha detto Miccoli e che lo si riporti senza ridere, come se fosse una cosa seria (sempre che i giornali che ho letto abbiano riportato correttamente la sua deposizione), mi sembra veramente un’enormità, e anche un’offesa per chi subisce o ha subito il mobbing. Grabbi ha continuato a giocare tranquillamente, anche in Inghilterra e in Spagna (a vent’anni, in Spagna e in Inghilterra, spesati accuditi e pagati...), così come Miccoli; e Moggi ha avuto buon gioco a ribattere ad Amoruso dicendo “quando aveva vent’anni gli ho fatto avere un contratto da dodici miliardi di lire”.
Ma i fatti in sè mi interessano poco, non è di calcio che sto parlando: è la leggerezza e la superficialità dei nostri giornalisti che mi lascia ogni volta stupefatto. Il mobbing non ha niente a che fare col togliersi l’orecchino o tagliarsi i capelli. Queste non sono cose importanti, anche se tengono occupati per mesi dei magistrati che potrebbero impiegare meglio il loro tempo; ma la pratica del giornalismo oggi è questa, e non solo per le pagine sportive. Non so voi, io continuo a pensare che fare il giornalista sia un’altra cosa, e a questa leggerezza e superficialità non mi ci sono ancora abituato.

5 commenti:

Fulmini ha detto...

Concordo dalla testa ai piedi.

I giornalisti italiani, nel loro insieme, sono mediocri. Non parliamo poi dei giornalisti televisivi. I TG mi fanno andare ai pazzi: le descrizioni superficiali, le nulle spiegazioni, i balzani accostamenti parole-immagini, e chi più ne ha più ne metta. Augh

Barbara Cerquetti ha detto...

E' vero.
Spesso gli articoli di giornale sono vuoti e pieni di lacune.

E pensare che basterebbe ricordarsi della regola delle 5W (Who, what, where, when, why).

O tutt'al più rivedersi quel vecchio film con Clarke Gable...

Anonimo ha detto...

Hai perfettamente ragione. Lo spazio che i giornali danno a erte cose è davvero dannoso perchè mette ombra su cose davvero serie che meriterebbero un'attenzione intelligente.
Ciao, Giulia

Giuliano ha detto...

La "scuola di giornalismo" consiste in questo: si mandano dei ragazzi molto giovani e molto volenterosi (e probabilmente anche molto bravi e motivati) fuori dall'albergo dove riposa Adriano Galliani, l'alter ego di Berlusconi al Milan. Li si lascia lì per ore, in attesa dell'evento: l'evento è Galliani che esce e dispensa sorrisi e pacche sulle spalle ai bravi giovinotti, e magari dice la battutina che finirà sui titoli. Se va bene, lo scoop: Galliani annuncia l'arrivo di un calciatore.
Volendo, si può cambiare il nome di Galliani con quello di Moratti, o di Moggi, il risultato non cambia.
A questi ragazzi, che magari potrebbero diventare degli ottimi giornalisti, si insegna che il lavoro è questo: stare fuori dall'albergo per ore, e attendere che esca il Potente che dica qualcosa da riportare pari pari sui giornali.
Una tristezza infinita.

Anonimo ha detto...

Come non concordare, Giuliano.
La tragedia è peggiorata dal fatto che, almeno questo è successo a me, ogni volta che ho assistito di persona a qualcosa poi riportata sui giornali, neanche nella cronaca spicciola i giornalisti riescono a raccontare ciò che è successo.
Ciao.