martedì 17 giugno 2008

5. Lo psicoterapeuta

Aveva lo studio al quarto piano di un condominio vicino al Parco.
Per tutte le quindici volte che ci andai, non riuscii ad abituarmi agli occhi della portiera del condominio, mi guardava come uno che va dallo psicoterapeuta. Era quello che facevo difatti, e per ciò stesso mi sentivo un minus habens.
Lo psicoterapeuta era sui cinquant’anni, bell’uomo, alto, occhi chiari, capelli grigi ondulati con la riga -pochi sono ancora in grado di farsela- originario della provincia di Lecce, ma ormai monzese ad sanguinem salvo a Natale e Pasqua, quando andava a trovare la mamma ed il fratello geometra al paese natìo. Laureato in filosofia, e la insegnava al liceo, era di tendenza freudiana, convintamene cattolico e sapeva di piacere alle donne -un assemblaggio curioso ma riuscito. Era anche furbo, bisogna esserlo, guai se no.
Con ferma cortesia riusciva a farmi parlare, facendo ogni tanto esattamente le domande che avrei voluto che non mi facesse. Al terzo incontro, decise che prima di proseguire avrei dovuto farmi visitare da una neurologa sua amica, per appurare se per caso non avevo danni irreversibili al cervello, nel qual caso lui non poteva farci niente. Mi offriva anche una sigaretta, di tanto in tanto.
Dopo sei incontri, volle farmi fare l’esame grafologico, e mi rese curioso come una biscia, mai fatta una cosa del genere. Mi consegnò poi la relazione della grafologa, che mi deluse un po’, pensavo che saltassero fuori una marea di vizi segreti invece ne risultò un ritratto lusinghiero: metà aspirante ad un premio Nobel metà fantasioso compagnone, con qualche lieve sfiga qua e là. Bah, forse voleva addolcirmi la pillola del costo suo, che fu alto anche se non quanto mi sarei aspettato.
Dopo il decimo incontro cominciai a riflettere se non fosse il caso di chiudere, e mi decisi di farlo al quindicesimo. Non sembrò per nulla sorpreso, sanno come si fa, non sono loro a dirti di chiudere, aspettano che sia tu a deciderlo. Non solo per un discorso naturale -per carità- di grasso che cola, ma perché è meglio che sia così.
Mi fu utile, questa esperienza? Credo di sì, in un certo strano modo che racconterò poi. Intanto, le crisi di noia agitata continuavano a visitarmi, malgrado lo Zoloft -sempre una volta al dì ore 12- e malgrado lo psicoterapeuta.
Anche la neurologa giocò una sua parte, sebbene la vedessi solo due volte.

Buster Keaton in "Battling Butler" (1926)

Nessun commento: