martedì 17 giugno 2008

6. La neurologa

L’incontro con la neurologa cominciò male, almeno per come io mi sono abituato a vedere le cose. Mi diede la mano senza guardarmi negli occhi, non solo, ma la mano non me la strinse, lasciò lì la sua, che per tre secondi non diede segni di vita, poi mi fece cenno di sedere.
Era giovane, piuttosto magra, completamente priva di cordialità, come d’altra parte la stretta di mano mi aveva preannunciato. Ma erano giorni in cui di bocconi amari ne mandavo giù tanti che uno in più non mi faceva specie. Va detto che fu molto professionale, prima mi sottopose ad un fuoco di fila di domande su malattie mie e degli antenati, poi mi fece camminare in giro per lo studio, sollevare le braccia per vedere quale mano tremasse più dell’altra, altre cose così. Poi mi dette il suo responso, e qui recuperai un po’ d’animo, perché mi disse che soffrivo di depressione maggiore, ed il narciso che è in me se ne compiacque, depressione minore mi sembrava ancor peggio, una roba da demi-monde. Chissà come, la neurologa se ne accorse ed apparì un sorrisetto sulle sue labbra sottili, e si mise a scrivere una relazione dettagliata sui miei accadimenti.
Fu sui farmaci che cominciò la grande contesa. Il medico di base mi manteneva a Zoloft, lei asserì che era il Faxine che faceva al caso mio, altro antidepressivo, perché più specifico. E nacque una lunga storia perché il medico di base difese lo Zoloft etc etc. Finì che in casa tenevo sia l’uno che l’altro, il mio cinismo ingegneresco mi portò a credere che non ci fossero differenze, come poi mi fece capire il farmacista quasi strizzandomi l’occhio.
Fondamentale fu cominciare a prendere anche l’ansiolitico Xanax, che attutiva gli effetti delle crisi di noia agitata, in sostanza poteva darsi che mi addormentassi un po’ prima, che era poi il punto chiave, le crisi passano solo se ci si addormenta. La neurologa mi mandò anche in una specie di astronave rotante che fornì una lunga strisciata di fotografie del mio cervello, che risultò privo di danni.
A questo punto le carte erano tutte in tavola, i medici avevano detto la loro, lo psicoterapeuta pure, i farmaci erano sul mobile nel soggiorno e li prendevo con regolarità. Si trattava solo di guarire, ma le giornate si trascinavano e ognuna di esse era una battaglia persa.
Le racconterò, queste sconfitte.

Buster Keaton in "Battling Butler" (1926)

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