domenica 15 giugno 2008

La casta Susanna: Rubens (c.1610)

Pieter Pauwel Rubens 1609-10 Olio su tavola
Academia de San Fernando, Madrid

La grande differenza fra i due quadri che Rubens realizzò fra il 1608 ed il 1610 è anzitutto nelle dimensioni: cm 94 x 66 quello che ho già inserito tre giorni fa, cm 198 x 218 quello di oggi, che è quindi molto più grande, quindi più impegnativo, perché le misure non si sceglievano a caso. Rubens, attentissimo all'aspetto comunicativo, cambia del tutto l'impostazione, nell'altro quadro voleva e poteva piacere, qui vuole e può sedurre, possedere. La differenza la conosceva benissimo, perché sperimentava anche formati piccoli, anche se sentiva congeniali i grandi formati, tranne in un caso, tipicamente suo: i quadri dei familiari, prima e seconda moglie e figli in cui si mette in gioco come affettività personale. Sono quadri più intimi, ammesso che si possa parlare di intimità per una personalità tonante come Rubens. Susanna e i vecchioni si scontrano in un posto in alto, difatti fra i pilastri della balaustra si intravede una campagna ridente di acque e ben coltivata. Fa specie chiamarli "vecchioni" due così. Nerboruti, ampi di corpo e di vesti, persino le vene delle mani, dei polpacci, dei piedi sembrano muscoli o tendini, non con un senso di anatomia esagerata ma di carnalità sovrabbondante, che sa spendersi in azioni di ogni tipo, specie aggressive. Quello sulla destra ha i capelli ricci, la barba è di scomposta eleganza, il petto villoso. Il manto blu damadcato gli sarà costato molto, ma gli sta benissimo. Rubens lo sorprende mentre con un balzo scavalca la balaustra, una gamba è ancora di là, l'altra con la punta dei piedi appoggia saldamente a pochissima distanza da Susanna. Una mano l'adopera per facilitarsi il passaggio, quindi sta sulla balaustra con l'interposizione del panno, ma l'altra mano è già sull'obiettivo, la schiena di Susanna. L'altro è più in età, dal colore dei capelli e della barba, che tiene assai lunga e da cui l'orecchio fuoriesce a stento; con le due mani si occupa d'altro: togliere risolutamente il grande telo bianco in cui difatti Susanna non è più avvolta, anche se lo vorrebbe. Susanna è sconvolta, ma siede come una regina sul manto scarlatto che dall'altra parte è una pelliccia bionda con qualche chiazza scura qua e là. Il bel corpo pieno di Susanna non scherza come vigoria, l'ardore affaticato della difesa lo si coglie solo dalle guance arrossate, dalla bocca semmiaperta, dallo sguardo che sa di tragedia ma non di tristezza. Si notano i capelli biondi molto ondulati e lunghissimi, sul davanti arrivano fino alla coscia, proprio nel punto ancora difeso dal lenzuolo. Sulla sinistra un putto matmoreo alato scende sul capo di un mostro marino che è una fontana a buon getto d'acqua, che infatti trabocca dalla vasca e scende vero la terra oscura. Susanna è in alto anche lei, malgrado tutto, i piedi poggiano su un gradino che precede il sedile di pietra largamente coperto dalla pelliccia del manto. Qui non siamo in un episodio quotidiano, ma neppure in un episodio morale della Bibbia, qui siamo in un grande mito pagano, antecedente al cristianesimo. Ma in questa, che strictu sensu è una aggressione, c'è tale conguenza di parti diverse fra i tre che è difficile distinguere, dare giudizi, prendere le distanze: quello che succede richiede delle parti in gioco, e le parti sono quelle: "Il carattere dell'uomo è il suo destino", diceva Sofocle. Dell'uomo e della donna. Un vigore assoluto che Rubens usava ugualmente nei miti biblici in cui l'aggredito era l'uomo, come i quadri con Giuditta e con Dalila. Penso alla faccia del committente quando si trovò di fronte una simile opera, ordinata forse per lubrico gusto segreto. Non si permise certo di criticarla, temeva che gli saltassero addosso uscendo dal quadro, i due giganti e la dea.


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