giovedì 19 giugno 2008

COLORI

Dosso Dossi (1515-18) - Giove dipinge farfalle - 111,3x150
Kunsthistorisches Museum, Vienna

Mia madre adorava il VERDE, in tutte le sue tonalità.
E’ da lei che ho imparato l’esistenza di un verde-acqua, di un verde-bottiglia e persino di un verde-salvia. Senza contare il TURCHESE, che in pratica è un azzurro/verde, o forse un verde/azzurro: tanto che, davanti ad una maglietta di questa tinta, il 50% delle persone la definisce in un modo e il 50% nell’altro, senza tuttavia che si possa parlare di daltonismo. Un pomeriggio di festa, mi ricordo, tutta la famiglia era in gita “fuori porta”, sulla Fiat 850 ACQUAMARINA appena comprata dal babbo; e la mamma, indicandomi il panorama delle colline, disse: “Guarda che bello: quante sfumature di verde!”. Ed era vero: là una macchia più scura, qui tenere foglioline appena nate, laggiù un cespuglio che tendeva al grigio. Puro relax per gli occhi e per lo spirito!
La zia Nella, invece, interpellata sulle sue preferenze cromatiche durante una lunga serata estiva, nella casa –senza televisore- presa in affitto al mare (data approssimativa: 1966), affermò recisamente di amare il color ARAGOSTA, gettandomi nel dubbio più atroce. Che razza di colore aveva, l’aragosta? Arancione? Rosa? Rossa (una volta cotta a puntino)? Per anni non ebbi il coraggio di chiederglielo: e ancora adesso, all’idea di dare la definizione giusta, mi vengono i sudori freddi… Quasi come quando mio cugino -unico maschietto, tra ben sei nipoti femmine- affermava testardo che il più bel colore del mondo era il PISTACCHIO, oltretutto da lui prediletto anche come gelato. Io, che già allora avevo gusti tanto schizzinosi da non tollerare altro che i classicissimi panna-e-cioccolato, inorridivo solo all’idea di assaggiare quella roba lì, che somigliava proprio tanto ad una cacca di marziano!
Ma la più ovvia e prevedibile era mia sorella, pervicacemente abbarbicata al ROSA pallido nella scelta di ogni suo capo di vestiario e/o accessorio abbinato ( N.d.R.: sto parlando di una bambinetta di 6-7 anni!!!). A me il rosa dava contemporaneamente il vomito, l’orticaria e l’intolleranza alimentare: tuttavia, in quanto femmina, ero costretta a portare un fiocco di quel colore ben in vista sul grembiule BIANCO delle elementari. Quei fortunati degli alunni maschi –beati loro!- potevano al contrario esibirne uno di un bell’AZZURRO-cielo-d’estate, giusto al di sopra del grembiule NERO, complice fedele di rotolate nell’erba e scalate di alberi nel giardino della scuola, nonché di rovesciamenti d’inchiostro (niente penne biro, all’epoca) in classe. Tutti piaceri negati alle bambine-scolare bianco-vestite.
Per quel fiocco CELESTE e per quel grembiule anti-macchia, giuro, avrei dato 10 anni di vita.
Il problema –oggi direi: la fortuna- è che io, in quel momento, ancora non li avevo.

1 commento:

Barbara Cerquetti ha detto...

Mi hai fatto venire in mente che gli eschimesi hanno la stessa parola per definire il verde e l'azzurro. Di contro hanno almeno una ventina di termini per chiamare la neve. Quanti colori vedranno gli abitanti dell'arcobaleno?