giovedì 19 giugno 2008

AROMI


Ho un’amica bravissima nell’acchiappare al volo tutti gli odori che le passano a tiro di narice. E’ capace di dirti, appena t’incontra, se ti sei messa lo stesso profumo di sempre, se lo hai appena cambiato, se hai usato uno shampoo alle erbe o uno antiforfora, se -ma di questo son capaci tutti- sei uscita di casa dimenticando completamente il deodorante (e si sente!!!). Io non sono altrettanto esperta nel distinguere “a naso” le marche di cosmetici: sarà perché in generale mi attirano gli ODORI, non in particolare i PROFUMI. Anzi, personalmente uso profumi poco accentuati, perché le fragranze troppo marcate mi danno spesso alla testa, un po’ come le bevande alcooliche. Adoro invece l’odore del SAPONE di MARSIGLIA, quello vero, molto più di qualsiasi “coccolino” ammorbidente. Amo alla follia l’aroma del CAFFE’, specialmente di quello appena macinato nella torrefazione vicino a casa mia. E -sempre a due passi da dove abito- c’è un negozio di fornaio dal cui retrobottega, a tarda notte, deliziosi effluvi di CROISSANTS e BRIOCHES appena lievitate giungono sino alle mie finestre semiaperte, conciliandomi il sonno. Che dire poi del sentore dei gradini di PIETRA SERENA appena lavati dalla pioggia, in giardino, o del profumo della RESINA appiccicosa, sul tronco dei pini piantati da mio suocero cinquant’anni fa? Ma fra tutti, sorprendentemente, il mio preferito è l’odore ben preciso -e certo non esattamente gradevole per l’olfatto- che si avverte passando per certi vicoletti cittadini, poco curati dal punto di vista igienico, tanto da servire spesso come gabinetto pubblico per umani e non. Ebbene, l’olezzo di ACIDO URICO avvertito tra un portone e un arco del vecchio centro ha su di me un effetto simile –mi si perdoni l’accostamento sacrilego- a quello della madeleine di Proust. Mi riporta ad un lontano, caldissimo autunno africano, alle stradine tortuose di un villaggio del medio Egitto, praticamente privo (e si sentiva!!!) di servizi igienici, che fu teatro della mia giovanile esperienza di piccola “Indiana Jones” al seguito di una spedizione archeologica universitaria. Sono ormai trascorsi più di 25 anni, di acqua sotto i ponti (sia a Firenze che al Cairo) ne è passata parecchia, e l’”Arca perduta” non è stata più ritrovata. Ma basta quell’odore (profumo per me, puzza per gli altri) a rispedirmi indietro nel tempo e nello spazio, in una dimensione che non so più se sia la quarta, la quinta o la sesta: so solo che in quel momento sono di nuovo là, ad ascoltare il Nilo che “canta” formando piccoli gorghi vicino alla riva fangosa, mentre il sole cala rosseggiando dietro le palme cariche di datteri e Jahmal, il più giovane degli scavatori, passa in groppa al suo asinello grigio e mi saluta sorridendo, fiero come può esserlo soltanto l’ultimo discendente di una stirpe di faraoni.

1 commento:

annarita ha detto...

Non avrei mai immaginato che un odore tanto sgradevole per qualcuno come te potessere essere pieno di nostalgia! Non si finisce mai di stupirsi. Complimentoni per i testi, le immagini che dipingi con precise pennellate saltano agli occhi in tutta la loro concretezza. Baciotti.