mercoledì 11 giugno 2008

9. Lettere d'amore

Las cinco de la tarde.
Nella caserma di Roma, alle cinque del pomeriggio, il sergente maggiore distribuiva la posta. Eravamo in venti, quasi tutti ingegneri. Cinque di noi erano romani, quindi niente posta per loro, salvo eccezioni.
Le lettere erano delle morose lontane: Milano, Torino, Padova, Mantova, Bologna, Firenze, Palermo. Ogni ragazza aveva una sua scelta di formato e di colore, e qualcuno già riconosceva la busta, qualcuno no, e gestiva l’ansia meglio che poteva. Il mio personale metodo era semplice, molto da ingegnere: scrivevo io, la lettera arrivava a lei, mi scriveva, arrivava la lettera sua, riscrivevo io. Logico, ma non tutti facevano così, Donato, ad esempio, scriveva tutti i giorni, e ogni giorno riceveva, altri seguivano l’onda degli alti e bassi del rapporto, potevano arrivare due lettere di fila, potevano passare dieci giorni fra l’una e l’altra.
Nei casi di puntiglio orgoglioso, dopo una licenza di quarantotto ore andata male, le lettere si incontravano a metà strada, sei, sette giorni dopo la litigata, credo si somigliassero anche nel contenuto, metà amore eterno metà risentimento indomito.
A Guido, che non aveva la morosa, cominciarono ad arrivare lettere, una, due, tre, fra la meraviglia di tutti. Al quarto giorno aprì la busta e mostrò la lettera, un foglio bianco. Se le era spedite da solo per sfotterci, ed aveva ragione lui: competition is competition, anche nella quantità di lettere.
Le calligrafie delle ragazze erano quasi tutte tondeggianti, gli accenti volavano. Dopo la distribuzione restavamo in cortile e ognuno, in una sua area di rispetto, apriva la lettera e se la leggeva. Le ragazze usavano la stilografica, le lettere di molte erano lievemente profumate, un di più sull’odore d’inchiostro, già gradevole di suo. Era l’estremo opposto rispetto alla grevità odorosa degli scostumati calendarietti da barbiere, che oggi parrebbero casti.
Dimenticavamo il prevalente odoraccio delle uniformi, generatrici indefesse di pruriti di ogni tipo, e il berretto, appiccicoso di sudore e di forfora. La lettura della lettera era come lo struscio nel corso, mano nella mano, ognuno nella sua città.
La sera, alcuni di noi rinunciavano alla libera uscita e si appartavano su un tavolinuccio poco illuminato, per rispondere all’amata, l’unico rumore era quello del pennino della stilografica sulla carta, a odore d’inchiostro freschissimo. Quelle lettere le ho conservate. Anni fa, in un raptus tecnologico, le ho inserite nelle cartelline trasparenti di un raccoglitore, mischiate nella giusta sequenza di date. Non le leggo mai, so dove stanno.

Nastassja Kinski in "Tess" di Roman Polanski (1979)

2 commenti:

annarita ha detto...

Che idea romantica! Più volte mi ha colta l'idea di copiare e incollare nella giusta sequenza le e-mail che ci scambiavamo il consorte ed io negli anni scorsi da fidanzati distanti, ma l'impresa è ardua, richiede molto tempo e poi, chissà perché, mi piacciono di più così nelle loro cartelle elettroniche, divise anno per anno. Però vuoi mettere il profumo della carta e dell'inchiostro? Le tue novellette degli odori mi piacciono molto.
Saluti carissimi, Annarita

Solimano ha detto...

Grazie Annarita, credo che tu abbia capito benissimo, perché è una esperienza anche tua e queste esperienze, a parte che non si dimenticano, pur essendo diverse l'una dall'altro, hanno alcuni lati in comune. Ne vedo almeno due, fra loro collegati: il coinvolgimento e la creatività. Perché si fatica ma anche non si fatica, a scrivere lettere d'amore, nascono da sole come una pianta o un fiore. E si perde il senso del tempo, quando le si scrivono con pieno coinvolgimento.

saludos
Solimano