mercoledì 11 giugno 2008

10. La fatica

La mamma mi svegliava alle cinque e un quarto.
Era la settimana in cui allo zuccherificio di Parma mi toccava il turno della mattina, dalle 6 alle 14. Le cercavo tutte pur di non svegliarmi, ma la mamma insisteva, anche muovendo leggermente il letto, finché rassegnato poggiavo i piedi per terra, mi andavo a lavare e mi vestivo.
Era già pronto il caffelatte nella tazza grande in cui inzuppavo il pane ad occhi ancora semichiusi. Anche il borsone era pronto -la mamma si era alzata venti minuti prima- con dentro le braghe corte, la maglietta, i sandali, l’asciugamano, il sapone, i panini con la mortadella, anche un libro a volte.
La bicicletta era di quelle da donna, così la poteva usare anche mia sorella. Me l’aveva comprata il babbo con i soldi che avevo vinto facendo 11 al totocalcio -sbagliai solo la partita del Bologna- non c’era ancora il 13. Col borsone attaccato al manubrio, pedalavo verso lo zuccherificio, che era distante quattro chilometri.
Il punto esatto della strada in cui cominciava a sentirsi l’odore, metro più metro meno, lo sapevo benissimo, ma ogni volta la sgradevolezza andava a segno. L’odore delle barbabietole mentre sono lavorate per diventare zucchero o fettuccia per l’alimentazione degli animali, è un odore penetrante, invasivo, di per sé non gradevole.
Ma era soprattutto la presa d’atto che per otto ore ininterrotte avrei faticato. Non tanto di fatica fisica -c’era anche quella- ma la fatica di fare cose di cui non coglievo il senso, di farle da solo, e a volte essere in compagnia era ancor peggio.
Otto interminabili ore da trascorrere.
Ogni settimana si cambiava turno ed alla fine preferivo la notte, dalle 22 alle 6, perché poi dormivo fino alle due, mangiavo e il pomeriggio era tutto mio, fra giochi, libri e amici. Per sette estati, fra i 15 e i 22 anni. In certe notti ogni tanto riuscivo a salire sul tetto della fabbrica e il rumore si sentiva di meno -agli odori persistenti il naso si abitua, l’orecchio i rumori continua a sentirli.
Il cielo d’agosto, sgombro di nubi e non offuscato dalle odierne luci di terra, era un visibilio di stelle e costellazioni. In basso, vicino ai silos, correva l’acqua nelle canalette, e sbucava ogni tanto una enorme pantegana, con coda e tutto, da far paura ai gatti.
Anni dopo, già laureato, percorrevo in auto una via di Bologna, e lo risentii quell’odore, riconoscendolo subito. Vidi in mezzo a un campo il grande zuccherificio di Bologna, di cui avevo sempre ignorato l’esistenza.
Ma non ci dovevo entrare, adesso.


Due fotografie dello zuccherificio di Parma, la seconda è del 1899
Dal 15/11/2001 c'è l'Auditorium Paganini progettato da Renzo Piano

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