mercoledì 11 giugno 2008

11. La locomotiva

Eh… eh!
Ho guidato la locomotiva a vapore, nel tratto Firenze-Siena, e specie dopo Empoli il paesaggio era bellissimo, visto dalla cabina della locomotiva. Ma tutto era bello, una esperienza di ebbrezza -si beveva, anche- trovarsi in tuta con un basco in testa calato fino ai sopraccigli, e dietro fino alla nuca -perché il polverino di carbone non mi impregnasse i capelli.
Attaccato alla locomotiva c’era il tender, con tonnellate di carbone umidiccio. Il fuochista -berretto a filo d’argento- cacciava gran palate di carbone nel focolare, un inferno allegrissimo, perché non scendesse la pressione nella caldaia. Era il macchinista -berretto a filo d’oro- che ogni tanto apriva col piede il portellone del focolare, ed il fuochista sapeva che era il momento di faticare. Il rumore era tanto, l’odore forte, deciso, aspro, ma un odore di vita pulsante.
Carbone che brucia, vapore che esce, e fumo, tanto fumo, a volte nerissimo a volte bianco, si veda come Claude Monet se l’è goduto alla Gare Saint-Lazare, con i binari, le carrozze, i viaggiatori, le tettoie, tutto ridotto ad ombre da quel fumo prodigioso, scuro e limpidissimo, mentre nel Manet di Washington il fumo-vapore diviene paesaggio. Inquinamento? Ma chi ci pensava, allora.
Nei primi mesi del mio lavoro alle Ferrovie dello Stato dovevo prendere l’abilitazione alla guida di tutti i mezzi di trazione, compresa la locomotiva a vapore, per questo ero lì, col macchinista ed il fuochista, loro in divisa, io in tuta operaia. Quasi ogni mattina mettevamo sotto un fagiano, bestia bella quanto stupida, che odiava bagnarsi le zampe nella rugiada e che se ne stava sulla massicciata asciutta. La locomotiva sbucava dalla curva e il goffo volo a volte non bastava a sottrarre il phasianus colchicus ad una fine comunque più gloriosa dei pallini domenicali.
Ci si fermava ogni tanto a rifornirsi d’acqua, ed era da artisti riuscire a fermarsi giusti sotto i rubinettoni che oggi ancora si vedono in qualche stazione secondaria. Macchinista e fuochista non mangiavano insieme, perché il fuochista doveva portare in pressione la caldaia, quindi mangiava mezz’ora prima, e ci si aggiungeva la diversità del lavoro. Il risultato era che i macchinisti erano una aristocrazia in cui i fuochisti anelavano di entrare attraverso duri concorsi interni.
Col diffondersi dell’elettrico, i macchinisti vennero invitati a qualificarsi ai nuovi mezzi di trazione. Diversi rifiutarono, perché non erano tranvieri, così dicevano. E si ridussero, negli ultimi anni prima della pensione, pur di non abbandonare il vapore, a guidare le piccole locomotive di manovra delle stazioni e degli scali, quelle che servivano a spostare le carrozze da un binario all’altro. Loro, che avevano guidato sino a 120 chilometri all’ora grandiose locomotive con ruote alte anche più di un metro e mezzo, che Anna Karenina non se le sarebbe mai sognate.

Claude Monet: La Gare Saint-Lazare (1877)
cm 54,3 x 73,6 National Gallery, Londra

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