martedì 17 giugno 2008

9. I sogni

Spesso le notti erano migliori dei giorni.
Venivo visitato da sogni lunghi, colorati, ben strutturati, non angosciosi, solo un po’ imbarazzanti. Sogni ricchi di persone e di paesaggi. Non solo, a volte succedeva che il sogno venisse interrotto dal mio risvegliarmi sul più bello -cosa che succede- ma riaddormentandomi il sogno ripartiva da dove era arrivato. Sogni a puntate.
Di per sé, non è che ci fosse molto di difforme dalle consuete interpretazioni dei sogni a cui ero giunto diversi anni prima, quando ne avevo trascritto centinaia, tenendo matita e notes sul comodino in modo da perderne il meno possibile -i sogni svaniscono all’alba, si sa- ma questi erano sogni a piena orchestra, non da stonato violino o da sassofono soffiante.
I ghiotti libri dei due Mastri di Sogni, Freud e Jung, mi avevano quasi persuaso: generalmente appagamento di desiderio, qualche volta visione di vita passata e futura, di questo si trattava. Quello che ancor oggi mi chiedo è perché sognassi così bene, difatti adesso sono tornato ad una ordinaria routine di sogni da sbadigliarci su, se non fosse che si dorme già.
Ho due ipotesi, forse congruenti.
La prima è che fossero i farmaci, a farmi sognare così, l’antidepressivo e/o l’ansiolitico. La seconda è che il mio organismo, avvertendo il disagio, provvedesse tutte le notti ad una straordinaria manutenzione dei neuroni, e delle relative connessioni. Fatto sta che un simile cinemascope da mesi e mesi non lo vedo più, se n’è andato con la bestia.
Invece i sogni da pennichella postprandiale, quelli che facevo accovacciato sul divano, erano sciocchi con punte di sgradevolezza, ma lì sapevo che influiva il cuscino anomalo, cioè il bracciolo del divano.
La notte finiva presto, prima delle sei del mattino mi svegliavo, e cominciavano due ore di dormiveglia amaro, che interrompevo veramente stufo verso le otto del mattino, alzandomi da letto con un basta! di tardivo disgusto. Faticose abluzioni davano inizio alla mia vuota giornata, e l’acquisto dei giornali –che sfogliavo, non leggevo- era la prima di poche attività, in cui qualche amico a volte si inseriva sua sponte, in carne ed ossa, per telefono o più spesso tramite e-mail.

Buster Keaton in "Go West" (1924)

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