martedì 17 giugno 2008

10. Le persone

La famiglia, innanzitutto.
Ci misero tre settimane ad abituarsi ai modi di manifestarsi della mia depressione. Prima, cercavano di farmi parlare, di aiutarmi a modo loro, ma sbuffavano. Avevano ragione, perché ero un notevole rompiscatole, col mio camminare per casa con la testa bassa, il mio fissarmi delle mete subito disattese: il terrazzo, il divano, il letto. Un depresso è egoista, è preso di sé, non può essere altrimenti.
Poi la famiglia adottò una sua strategia di silenzio facilitante: spegnevano la televisione, abbassavano le tapparelle, non vociavano, rispettavano la mia agitazione. Strategia giusta e utile, a loro e a me stesso.
Fra gli amici c’erano quelli che la depressione non la conoscevano, e quando non la si conosce non ci si crede. Uno di questi mi scrisse: “Anch’io ho dei problemi, ma continuo a darmi da fare, non faccio il depresso”. Tipico. Mi ci riconoscevo, prima anch’io ragionavo così. “Datemi una depressione, non datemi il mal di denti”, era una mia sciocca frase, che si credeva furba.
Gli amici che conoscevano la depressione, si assicurarono che andassi dal medico, dallo psicoterapeuta, che prendessi i farmaci e si misero a disposizione per colloqui, passeggiate, viaggi, tutte cose di cui non avevo nessuna voglia, e non se ne stupirono, conoscevano la bestia.
Ogni tanto mi capitava di incrociare per strada amici o conoscenti. Cambiavo marciapiede, se potevo farlo senza farmene accorgere, per vergogna, per orgoglio, ma soprattutto perché non avevo nessuna voglia di comunicare, fosse pure il dire “buongiorno”. La stessa cosa mi capitò con le e-mail, quindi la posta inviata e la posta ricevuta si afflosciarono di pari passo.
Ma ci fu chi adottò una strategia diversa: mi scrisse meno spesso e più brevemente, ma ogni volta si ricordava di farmi sentire due cose: la prima era che mi voleva bene, la seconda era che mi sfotteva. In realtà, attraverso di me, sfotteva la mia depressione, la bestia. Ero sorpreso, da questi sfottò, non indignato, costituirono un piccolo e benefico elettrochoc che mi permise di prendere le distanze: la depressione non ero io, era altra da me.

Buster Keaton in "Neighbors" (1920)

Nessun commento: