mercoledì 11 giugno 2008

53. Cascina Costa Alta

Di per sé, il posto è bello.
Cascina Costa Alta ha una architettura decorosa di inizio Ottocento ed è attualmente utilizzata da una cooperativa di servizi, che la mette a disposizione per seminari e riunioni conviviali.
Quella domenica mattina di fine ottobre ci ritrovammo più numerosi del previsto; a riunione iniziata, verso le 10 cominciò il problema: il rumore assordante delle macchine che utilizzavano la pista dell’Autodromo, il cui tracciato passa giusto a cento metri di distanza dalla cascina. Macchine normali, non macchine da corsa, gente che si diverte a tirare il collo al proprio motore per l’ebbrezza della velocità e pagano per questo. Il rumore copriva spesso la voce degli oratori, scusa buona per uscirmene a passeggiare nei prati e sotto gli alberi che circondano la cascina.
Ma dietro c’era anche il linguaggio della politica, per me da tempo insoffribile e che mi porta inevitabilmente a distrarmi. Ho capito da tempo che questo linguaggio non è generica prolissità, è un linguaggio che dice le cose mediante vezzi e mossucce tutte sue, ma proprio non ci sono portato. Fra gli altri, uscirono anche due persone, che avevano già detta la loro nella riunione, in politichese purissimo: il Cuoco e lo Sguattero.
Il Cuoco è il presidente del consiglio comunale di Monza, e quella mattina sarebbe stato il cuoco del pranzo di autofinanziamento della Associazione Monza per l’Ulivo - il vero motivo per cui eravamo lì - lo Sguattero è il presidente della Associazione e avrebbe aiutato il cuoco, ma noi lo chiamiamo lo Sguattero perché ride ma se la prende un po’. Non erano usciti perché stufi del politichese o assordati dal rumore, ma perché dovevano darsi da fare per ore, assieme a tre volontarie, se si voleva essere tutti a tavola alle ore 13, come da programma.
Nella grande cucina, come prima cosa il Cuoco e lo Sguattero indossarono due grembiuloni, di quelli con i lacci lunghi che finisci per allacciarteli sul davanti, e si misero al lavoro, non in silenzio, ma parlando fra di loro e con noi che gli capitavamo spesso fra i piedi: è bello guardare la gente che lavora. Tutto le pentole erano già pronte, comprese le posate; per i piatti ed i bicchieri si sarebbero utilizzati quelli di carta, altre modalità erano insostenibili.

Il lavoro grosso era quello di tagliare i polli e di farli cuocere nelle pentole larghe e basse, corredati di condimenti ma soprattutto di erbe aromatiche, specie rosmarino. L’arte vera era lì: fare in modo che quando fossimo stati a tavola, le cosce ed i petti di pollo sembrassero tutti fatti espressi e cotti in contemporanea, cosa in pratica impossibile. Non racconto il rimestìo, so che in quella cucina dopo un po’ era tutto uno sfrigolamento di cottura con un conseguente odore forte e semplice: pollo fritto col sovrappiù del rosmarino.
Non una cosa da nouvelle cuisine, più da refezione dei frati o al campo da militari, però una cosa allegra, difatti le battute fioccavano: il Cuoco e lo Sguattero erano consci del loro ruolo non di presidente di qui o di là, proprio di Cuoco e Sguattero, e nelle parole degli astanti c’era ironia, sì, ma rispettosa. Andò tutto bene, infine alle 12.30 cessò il rumore delle macchine, e alle 13 fummo a tavola, avendo pagato tutti la propria quota, Cuoco, Sguattero e volontarie comprese. E’ un fatto di fierezza e di libertà.
L’Associazione siamo noi, e noi la manteniamo, niente contributi strani.
Costa la tessera annuale, costano i pranzi di finanziamento, costa la scossa alla pianta quando la cassa è vuota (sono venuti Cacciari, Davigo, Santoro, Travaglio, Bindi, e le sale costano), ma ci sta bene che sia così.
Finito il pranzo, tutti a prendere il caffè sotto il porticato della cascina, poi di nuovo in riunione, sessione breve però, prima delle cinque del pomeriggio bisognava chiudere. Grande dibattito sugli argomenti trattati in mattinata, cinque minuti ad ognuno per dire la sua.
E ricominciò il linguaggio incomprensibile.
Non è che tutti lo praticassero, ma anche quelli che parlavano come le persone normali si adattavano allo splendore del politichese di chi aveva parlato prima di lui. Non c’è niente da fare, occorre accettare che sia così . Il Cuoco e lo Sguattero non c’erano più, spariti anche i grembiuloni, c’erano il presidente del Consiglio Comunale ed il presidente della Associazione, esperti di politichese a livello di alta filologia, quasi da Accademia della Crusca.
Non me la sentii di uscire - la scusa del rumore non c’era più - e restai fingendo di ascoltare ma fantasticando sui fatti miei. Meno male che prima di andarcene tutti a casa qualcuno aveva predisposto un autentico bidone sfondato da caldarrostaio - chissà dove l’aveva trovato - e nel pomeriggio già freddo ce ne stemmo tutti attorno ad aspettare il proprio turno dei marroni arrostiti, col loro splendido odore, specie se sentito nell’aria freddina del bosco a inizio autunno. L’effetto fu che riprendemmo tutti a parlare normalmente, si vede che l’odore del pollo, del rosmarino, delle caldarroste, per il politichese sono peggio dell’aglio per i vampiri, perché un odore è vita in presa diretta.


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