mercoledì 11 giugno 2008

52. Vino rosso e caldarroste

Io e un mio amico facciamo così: quando uno dei due ha voglia di fare la passeggiata serale con conseguente chiacchierata, telefona e dice all’altro: “Andiamo?” L’altro risponde sì o no senza bisogno di qualificare la risposta, l’unica cosa in cui ci si mette d’accordo è su chi richiamerà la volta successiva. In questo modo succede che non si passeggi per mesi, ma può anche capitare che ci si trovi due volte nella stessa settimana.
Siamo contenti che funzioni così.
L’appuntamento è di fronte all’Arengario, l’amico arriva in bicicletta, io ho lasciato la macchina parcheggiata trecento metri più su, vicino a Piazza Citterio. Nelle due ore successive camminiamo per quasi tutte le strade del centro, facilitati dalle zone pedonali ed anche dal fatto che di sera il traffico a Monza non è molto intenso.
Una sosta la facciamo in un bar piuttosto grande - ha anche il biliardo - che dalla parte opposta all’ingresso dà sul Lambro, che non è sempre brutto come si dice. Al bar beviamo qualcosa, uno spumantino per l’amico e un analcolico per me; se la stagione lo consente, ci fermiamo un quarto d’ora seduti ad un tavolo sopra il Lambro.
Gli argomenti sono i soliti: quello che succede nel mondo, specie Israele, Iran e Iraq, adesso anche la Cina - l’amico si è letto il libro di Federico Rampini - ma il piatto forte è costituito dall’etologia e dal darwinismo, e meno male, perché sono due argomenti in cui andiamo d’accordo, in politica cerchiamo di andarci cauti, c’è il rischio di discutere, perché non la pensiamo alla stessa maniera. Tutti e due abbiamo lavorato per multinazionali americane, solo che l’amico è filoamericano a prescindere, io lo sono con molti distinguo. Questa almeno è la mia opinione, secondo lui a prescindere sono io.
Una sera d’inverno uscimmo nel freddo intenso ma non era un problema, sapevamo come coprirci e poi camminando ci si scalda, solo che si mise a piovigginare. Era appena mezz’ora che eravamo fuori, ci seccava rientrare. L’amico mi disse: "Andiamo a casa mia, ho delle belle castagne e la padella bucata per arrostirle".
Sua moglie quella sera era comandata di cineforum: quando si fa l’abbonamento al ciclo di film, lo si fa con altri e secca - qualsiasi sia il film - rompere la compagnia, ci si va comunque; a Monza, caso raro, ci sono dei critici ben preparati che rendono attraente il dibattito finale, se lo giocano non con l’estetismo ma con la competenza.
A casa sua l’amico stappò una bottiglia di rosso che mi assicurò essere assai buono, io, quasi astemio, non potevo che fidarmi. Intanto con il coltello apriva spiragli nella buccia delle castagne mentre curiosavo in cucina. Con sorpresa vidi "Una storia italiana" il libro-fascicolo con tante fotografie che Berlusconi aveva inviato a tutte le famiglie. Quello che era arrivato a casa mia aveva già fatto una brutta fine, lì dall’amico era in bella vista fra la sveglia e le boccette dell’olio e dell’aceto. Non dissi nulla, intanto lui aveva acceso il gas sotto la padella bucata piena di marroni che più grossi non si può. Si parlava, bevendo qualche sorso di vino rosso, e lui girava le castagne in modo che la cottura fosse uniforme. L’odore delle castagne non era rapinoso come quello dei caldarrostai che esistono ancora - carissimi - ma era comunque gradevole, aveva in più la forza un po’ dura degli aromi del rosso. Ne facemmo fuori diverse, di castagne, il discorso di quella sera verteva su Lorenz e Laborit.
Dovevo tornare a casa mia, mi alzai dal tavolo, l’amico mi disse: "Ho visto che davi una occhiata a quel libro, vuoi leggerlo?" "Già fatto, tienilo pure", risposi. Risata comune e saluti. L’amico è uno che ebbe la sua da dire quando la moglie venne con noi alla Festa di Protesta di Nanni Moretti, ma quando tornammo a casa col treno speciale le fece trovare la cassetta VHS con la registrazione TV della manifestazione.
E’ uno fatto così, siamo amici.


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