mercoledì 11 giugno 2008

50.Pulizia dei vetri

Non è una vecchia abitudine che ci portiamo dietro, è che in questo periodo occorre rimettere le piante in terrazza.
Per tutto l’inverno sono state nel soggiorno e nell’ingresso - dove la luce della lampada è di giorno sempre accesa - e quelle nel soggiorno sono piante grandi, il ficus benjamina arriva al soffitto e blocca l’accesso alla porta-finestra più grande, utilizziamo quella piccola per andare e venire. Quando le piante le abbiamo spostate ci accorgiamo che i vetri hanno bisogno di una pulizia radicale. Succede la stessa cosa nelle altre stanze, dotate anch’esse di porta-finestre e mi tocca rassegnarmi: ci sarà la giornata della pulizia dei vetri, che non è una cosa semplice perché occorre agire su tre livelli: stando in piedi, salendo su una sedia e su per la scala fino a sfiorare con la testa il soffitto, altrimenti i vetri più in alto non vengono puliti.
Per fortuna tutto è reso più semplice dalla assenza delle tende, sono decenni ormai che ci abbiamo rinunciato - l’assenza di tende vuol dire più luce - una cosa che però non è usuale, non conosco una casa di miei amici che non abbia le tende. E sì che loro stanno magari al quarto o quinto piano, mentre noi abitiamo al piano rialzato di una palazzina che non va oltre il secondo piano.
I prodotti per la casa da molti anni hanno odori non fastidiosi, un tempo non era così e quando si cominciava a lavorare c’era ad esempio l’aggravante della puzza di ammoniaca. Sono prodotti in maschera: l’odore sottostante è quello originario, ma è raffrenato da vezzosità che invogliano al consumo. Così è anche per i vetri: il prodotto che uso ha un odore tenue ma allegro che invoglia l’operosità, un odore coerente con l’azzurro cielo del liquido.
La prima passata va fatta con carta di giornali, non liscia però, perché è bene che il liquido detergente sia assorbito rapidamente, togliendo così il grosso della sporcizia senza pattinare inutilmente sul vetro: la sporcizia va raccolta, non distribuita. Si ammonticchiano sul pavimento giornali totalmente stropicciati, proprio come le notizie che contengono: il Partito Democratico, il delitto efferato, gli scandali del calcio e delle vallette. Il flacone di liquido, se non lo uso con discrezione, si svuoterebbe con inutile rapidità e gocciolamenti fastidiosi, da apprendista mi toccò correre al supermercato perché l’avevo finito a metà lavoro. Ora ho imparato, fatico da professionale. Difatti si fatica, a pulire i vetri della porta-finestra, col continuo su e giù sedia-scala, il mulinare delle braccia, il fastidio degli angoletti, ultimo rifugio delle minuzie offuscanti, che te ne accorgi appena il sole ci arriva.
Ora ci sarà la seconda passata, quella definitiva.
Basta con i giornali, occorrono gli stracci: canovacci leggeri o rettangoli ricavati da vecchie lenzuola strappate. Il getto del liquido si fa più leggero e distribuito, il mulino delle braccia più concentrato e veloce. Ecco, ho finito, la grande porta-finestra che dà sul terrazzo consente alla luce l’entrata nel soggiorno senza che alcun fotone si perda per strada... no! E’ rimasta, però asciutta, qualche striscia di ombreggiatura biancastra che, perfida, non si vede stando vicino al vetro, ma cinque metri più in là, entrando in sala. La mia mente si fa una mappa delle dislocazioni e poi mi avvicino: con uno straccio pulito ed asciutto do il colpo di grazia strofinando forte nei posti giusti. Piccoli indispensabili aggiustaggi o forse ritocchi eccessivi di perfezionismo.
Le operazioni vanno moltiplicate per due perché il vetro si sporca da entrambe le parti, più all’interno che all’esterno però, l’aria calda e un po’ sudicia alzata dai termosifoni si accomoda volentieri sui vetri. Ma è quasi Pasqua, basta con i termosifoni, ne riparleremo a metà ottobre, forse ai primi di novembre se la stagione reggerà. I giornali stropicciati si buttano, gli stracci no, si stendono uno per uno nell’altro terrazzo, quello di servizio. Odorano ancora del liquido detergente di cui sono impregnati, quel liquido è una specie di propellente morale, però adesso basta con l’operosità, c’è un libro che mi aspetta, leggendo ascolterò musica: Schubert o Mozart? Il primo che mi capiterà sottomano.

P.S. Nell'immagine a fianco, un flute glass (1650-75) di sconosciuto maestro olandese. Rijksmuseum, Amsterdam.

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