mercoledì 11 giugno 2008

46. Pineta al mare

Toccò a me risolvere il problema delle vacanze d’agosto per quattro coppie di amici, ma lo feci volentieri. In primavera avevamo deciso di andarcene per tutto il mese d’agosto al sud, nel Gargano. Allora ci andavano in pochi, in genere quelli che finivano attorno a Pugnochiuso, il grande centro di vacanze dell’Agip, azienda potente, faceva le cose prima che gli altri ci pensassero.
Decidere non fu molto semplice, prima di tutto c’era un problema di soldi, difatti occorreva chiederli in casa, tranne nel mio caso perché sebbene appena laureato avevo l’autonomia di chi già lavora. C’era un altro problema, più difficile da schiodare: andare in vacanza per un mese con le morose, per giunta al sud, non era ben visto dalle famiglie delle ragazze, specie nel caso di una coppia, quella che aveva meno problemi di soldi. Ma la ragazza ci seppe fare, il padre era un burbero che alla fine non le negava nulla, innamorato di lei forse ancor di quanto lo fosse il moroso.
Così una sera d’aprile presi il treno - avevo i biglietti gratis - per scegliere la località fra Peschici e Vieste e trovare un appartamento in cui ci sarebbe stato posto per noi otto. Finì che nella tarda mattinata del giorno dopo mi accordai per un grande appartamento a San Menaio, una frazione fra Vieste e Peschici. Più che l’appartamento, che aveva la vastità come unico pregio, mi aveva convinto la pineta in mezzo a cui si trovava San Menaio: pini marittimi alti, per niente stenti, ombrosi addirittura, e con un profumo per me nuovo in cui stavo bene, complice anche la dolcezza della stagione là quasi da estate fresca.
Il viaggio con le automobili ai primi d’agosto fu un impresa, l’autostrada era ben lontana dal compimento e la Millecento del babbo con le porte che si aprivano controvento era piuttosto disagevole di suo, ma la vacanza andò bene, malgrado gli inconvenienti di una accoglienza turistica quasi inesistente. La spiaggia della Calenella, magnificatami mesi prima, si rivelò una specie di discarica in cui ognuno faceva i comodi suoi, quindi andavamo a Peschici, anche lì problemi con motoscafi e trattorie, finimmo per partire le mattine con borse frigo ed ombrelloni in caccia di qualche caletta non frequentata, ma quando tornavamo nel tardo pomeriggio l’odore fresco dei pini stimolava la voglia di scherzare, anche se i paesani ci guardavano male. Pensavano infatti a chissà quale promiscuità, forse il prete si attrezzava per una predica alla domenica contro le novità libertine giunte dal Nord.
Ma quale promiscuità? In quell’appartamento grande e brutto creammo la zona donne e la zona uomini, per fortuna di tutti le ragazze stabilirono un buon accordo fra di loro, c’era la regina delle chiacchiere e quella delle pentole - la sera mangiavamo in casa - e le rivalità furono contenute, difatti anni dopo ci sposammo tutti. Quella vacanza fu una formidabile iniziazione alla convivenza, ben altra cosa rispetto alle passeggiate in via Indipendenza, alla panchina nei giardini Margherita, al cinema d’essai. L’abbronzatura di quell’anno non l’ho mai più avuta e quando a fine agosto partimmo, vidi sulla spiaggia ormai vuota un contadino a cavallo di un asino, il paese tornava alla abituale vita appena turbata per meno di due mesi.
Il viaggio di ritorno fu lungo, preferimmo percorrere le strade lontane dal mare, dormimmo a L’Aquila e a Perugia, ci mettemmo tre giorni, ma fu un bel viaggiare malgrado le migliaia di curve a cui ci costrinsero le strade dell’Appennino - i cartelli stradali in compenso erano pochissimi. Sapevamo che arrivare mezza giornata prima o mezza dopo era lo stesso, i genitori ci aspettavano pazienti.

La spiaggia della Calenella a San Menaio

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