mercoledì 11 giugno 2008

40. Olio di fegato di merluzzo

C’è una fotografia della mamma e del babbo che camminano a braccetto in via Indipendenza a Bologna.
Indossano il cappotto, quindi è inverno, quello a cavallo fra il ‘45 e il ‘46. Fa impressione la magrezza di entrambi, eppure come costituzione erano robusti, lo si vede dalle fotografie prima della guerra e lo ridivennero più tardi, specie il babbo.
Quando facevo loro domande relative a quel periodo, i genitori rispondevano malvolentieri. Così smisi di curiosare, ma compresi che gli anni della guerra furono molto duri per loro, quindi anche per me e per mia sorella. Nacque anche un fratello più piccolo, che scomparve in tre mesi per bronchite capillare -fu l’unica volta nella vita che vidi la mamma piangere disperata. In casa nostra c’è sempre stata in vista una fotografia del fratellino.
Durante la guerra vivevamo in una casa piccola e fredda e il cibo era scarso, finì che io e mia sorella ci ammalammo di rachitismo, di cui conserviamo ancora qualche segno nella struttura delle ossa. Ci sono le nostre foto di prima che la malattia sii manifestasse e ci sono anche le foto del dopo, la differenza c’è tutta: allora il rachitismo era comunissimo, specie in quelle condizioni.
Dopo la guerra le cose cambiarono, i genitori poterono darsi da fare, specie quando non ci fu più la tessera annonaria: noi stavamo crescendo, era meglio intervenire in qualche modo. Quindi tutte le mattine prima di andare a scuola, ci sorbivamo il cucchiaione di olio di fegato di merluzzo, ci toccò farlo per anni. L’odore era nauseabondo, il sapore disgustoso, all’uno e all’altro era impossibile abituarsi, men che meno farseli piacere.
La mamma riempiva con accuratezza il grosso cucchiaio, sarebbe bastata anche solo una goccia in più a versare parte dell’olio sul pavimento, poi ci dava questa specie di incoraggiamento, ma si capiva che l’odore dava fastidio pure a lei. La consolazione era la tazza di caffelatte col pane del giorno prima.
Corsi anche un rischio grosso, quando abitavamo a Fiorenzuola d’Arda, mi ammalai di difterite, per fortuna il medico capì subito e il siero mi salvò, rivedo ancora la siringona col liquido dentro. Poi la scoliosi, le tonsilliti -una ogni anno, ma le tonsille le ho ancora- gli orecchioni, una sinusite che durò mesi e passò con fumenti odorosi di camomilla. Diverse traversie riguardarono anche mia sorella, ma la mamma sapeva mantenersi lucida e determinata perché era stata allevata così dalla nonna, che le aveva trasmessa anche una sua sapienza segreta, di cui mi resi conto diversi anni dopo.
A Parma capitavano in casa ogni tanto delle donne -facce mai viste- che si appartavano con la mamma; dopo un po’ ricomparivano e se ne andavano contente. Di questo a noi la mamma non raccontava niente, solo più tardi ho capito di cosa si trattava: la mamma curava, segnava -così si diceva- il fuoco di Sant’Antonio, che in medicina si chiama herpes zoster. Anni dopo provai a chiedere, mi interessava saperne di più, ma compresi che non desiderava parlarne né a me né a mia sorella. Quindi la trasmissione di questa sapienza finì con lei.
Ci ho pensato spesso e mi colpisce soprattutto il fatto che a Parma diverse donne fossero venute al corrente dell’abilità di mia madre, che non era nella sua città, era tutt’altro che chiacchierona, non cercava amiche né si riprometteva guadagni. C’era sotto, ne sono convinto, una solidarietà femminile forte quanto segreta, e il tenerla nascosta era la necessaria difesa dalle persecuzioni di secoli prima, non solo, c’era anche la pudicizia verso il mondo dei maschi, a maggior ragione se medici, quella più che una malattia era come un peccato da espiare nella propria carne: solo un’altra donna la poteva guarire.
Quelle donne di Parma avevano un loro modo di tenersi informate, probabilmente non con chiacchiere, ma con poche parole secche e decise, a uomini non presenti. "Cose da donne!" diciamo oggi per certe piccole faccende. Le cose da donne esistevano, non solo il fuoco di Sant’Antonio, e le donne avevano una istintiva capacità di difesa del loro mondo, chissà se lo sentivano come una condanna o un privilegio.

Piero di Cosimo: La Visitazione con San Nicola e Sant'Antonio
1489-90 184 x 189 cm National Gallery of Art, Washington

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