mercoledì 11 giugno 2008

33. Saldatura

A Verona ci sono due stazioni ferroviarie: quella nota a tutti di Porta Nuova e quella assai meno conosciuta di Porta Vescovo. Proprio vicino a questa stazione c’era l’Officina Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, dove lavorai per un anno e mezzo, in parte prima e in parte dopo il servizio militare.
In teoria, ero a capo di centinaia di persone, in pratica più che un lavoro era una sinecura: centinaia di firme tutte le settimane su pratiche su cui non avevo nessun potere decisionale, il tempo in ufficio non passava mai.
Così cominciai ad andare di frequente nella vera e propria officina, in cui lavoravano più di mille persone in vari reparti, tutti o quasi inerenti a lavorazioni meccaniche: torni, frese e rettificatrici erano le macchine utensili più frequenti, in genere di dimensioni medio-piccole, ma c’era anche qualche mastodonte.
Nel mio percorso abituale non rientrava il reparto Saldatura, perché ne ero meno incuriosito, avevo l’impressione che si trattasse di lavorazioni di piccolo artigianato -quasi da manovali- su cui non era il caso di spendere tempo.
Mi sbagliavo e pian piano me accorsi: fare il saldatore era un mestiere difficile, duro, anche pericoloso. Sono tre, i motivi del pericolo.
Anzitutto il più evidente: la luminosità abbagliante del processo di saldatura può ledere la vista, quindi o distogli lo sguardo o ti proteggi con degli occhiali speciali, che difatti tutti i saldatori portano.
Poi c’è il pericolo che durante la saldatura pezzi di metallo roventi ti cadano addosso, perciò i saldatori debbono indossare calzature particolari, atte a resistere sia al calore che al peso.
Infine il pericolo più subdolo e più vero: i vapori che si generano durante l’incandescenza della saldatura sono molto tossici, se inalati. Anche qui c’è una protezione, credo meno sicura delle altre due, una maschera che protegge il naso e copre in parte il viso.
Appena entravo nel reparto lo avvertivo, l’odore del pericolo: pungente, acuminato, disturbante; si vede proprio il fumigare di questi vapori sopra il punto in cui avviene la saldatura.
Mestiere duro, stare in quel reparto otto ore al giorno. Eppure i saldatori avevano un loro senso di appartenenza, che credo nascesse da diverse ragioni. Di una me ne sono reso conto curiosamente anni dopo, quando vidi il film Guerre Stellari: i soldati del malvagio Darth Vader mi fecero tornare alla mente proprio i saldatori di Verona, con più eleganza e meno verità, credo che quei saldatori amassero la loro vestizione mattutina, da toreri-operai, così diversa da quella degli altri, a cui bastava infilarsi una tuta qualsiasi.
Poi la professionalità, fatta non solo dalla necessaria abilità manuale, ma dai corsi che periodicamente dovevano frequentare, la tecnologia della saldatura era in divenire, a differenza delle altre tecnologie meccaniche ormai stabilizzate. Anche l’essere quelli che faticavano di più, quelli più esposti lo sentivano non umiliante, ma con l’orgoglio di chi sta in prima linea.
Finì che mi dotai anch’io di occhialoni e li andai spesso a trovare stando un po’ discosto, mi fermavo appena l’odore mi avvertiva, ma la mia curiosità umana era vera. Nella troppa burocrazia quotidiana il contatto con un simile lavoro mi fece bene.
Infine cambiai azienda e lavoro perché non sopportavo di fare il passacarte dopo aver tanto studiato. Compresi che la vita reale non era fatta di firme inutili su carte pure inutili e andai altrove, sebbene lì avessi assicurato il posto di lavoro e la carriera per tutta la vita. Non avevo più nessuna persona a riporto, ma ogni giornata era colma di cose da apprendere, di contatti umani e di problemi da risolvere.
Così il tempo volava e vivevo meglio.

"Star Wars" di George Lucas (1977)

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