mercoledì 11 giugno 2008

31. Festa da ballo

Non è vero che chi fa Ingegneria deve sempre studiare molto: ci sono dei periodi in cui si può alzare la testa e guardarsi attorno, specie a fine ottobre, se la sessione di esami è andata bene e non è rimasto nulla o quasi da dare a febbraio. Così successe quell’anno, ma quando si ha più tempo libero magari non si sa come impiegarlo. Il mio giro di amiche ed amici era gradevole, sempre quello però, avevamo tutti voglia di conoscere persone nuove.
La facoltà di Ingegneria di Bologna aveva un suo pregio che era anche un inconveniente: era ubicata appena fuori Porta Saragozza in mezzo al verde della prima collina, mentre tutte le altre facoltà erano vicine a Porta Zamboni, dalla parte opposta della città, compreso il biennio di Ingegneria -io l’avevo fatto a Parma- in cui c’erano le ragazze di Matematica e Fisica. Ma al triennio le ragazze mancavano, specie quando c’era meno da studiare.
Così quindici maschi giovani unirono sforzi e fantasie per realizzare una festa da ballo per fine novembre, ma non fu semplice. Eravamo incerti fra la consueta festina in casa -un abbiamo già dato- e il partecipare alle feste da ballo nei locali pubblici di Bologna, un va e vieni ardito e di superficie che non ci convinceva. Diversi di noi erano di provenienza cattolica -non da pesci lessi - e nelle feste da ballo dei locali non ci si vedevano.
Finché uno di noi ebbe l’idea giusta: affittare un locale pubblico nel giorno di chiusura ed organizzare lì la festa da ballo, tutta per noi. Il problema era il costo, ma con rapidi conti ci accorgemmo che se fossimo stati in cento -50 ragazzi e 50 ragazze, ad esempio- ce l’avremmo fatta senza problemi. Solo che il bel numero di cento bisognava raggiungerlo, se possibile con persone nuove e gradevoli, che andavano conquistate una per una, appunto in quanto gradevoli -la concorrenza non mancava.
Tutti per uno, uno per tutti, alla fine ci riuscimmo e giunse la sera della festa. Io mi ero trovato a piedi all’ultimo momento, perché la ragazza con cui c’era un po’ più di amicizia e un po’ meno di amore aveva un esame il giorno dopo: le dissi che alle 11 di sera le avrei telefonato, allora le telefonate erano sostanziosi passi in avanti, non gli odierni messaggini che in dieci minuti hai finito l’agenda. Ma nel locale della festa, l’Ubersetto -esiste ancora ma ha cambiato nome- mi ci trovai bene da subito: ce n’erano di persone nuove da conoscere.
La ragazza di uno di noi quindici venne da me, aveva portato due sue amiche sconosciute a tutti e voleva che si trovassero da subito a loro agio. Mi diedi da fare con le nuove conoscenze, durante la serata non stetti seduto a far chiacchiere, ero sempre in pista a far finta di ballare -mai saputo- con l’una o con l’altra. In pista ci si stava bene, le ragazze nuove, cattoliche ma sveglie, non impregnavano l’aria di profumi francesi, ma di shampoo leggero, di sapone appena profumato, anche di vestito della festa appena tolto dalla gruccia. Un odore di freschezza, quella sera all’Ubersetto, abituato a ben altre prodezze.
Balli e chiacchiere, man mano meno timide, perché c’era la concorrenza: i quindici, raggiunto il comune obiettivo, si davano da fare per il proprio obiettivo personale, altro che tutti per uno e uno per tutti. La concorrenza fa bene, tiene svegli.
Solo che a un certo punto guardai l’orologio per fare la telefonata all’amica studiosa: era già quasi mezzanotte, oddìo, il tempo era volato, ma perché? Vidi che una delle due amiche nuove mi guardava, alta, bionda, con la freschezza anche nel sorriso. La invitai a ballare ancora. Cinque anni dopo ci saremmo sposati in una chiesetta di campagna a dieci chilometri da Bologna.

Martin Van Cleve: Danza di matrimonio (74.9 x 105.7 cm)

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