mercoledì 11 giugno 2008

22. I tortellini

La mamma si apprestava ai tortellini di Natale e di Pasqua con la stessa determinazione necessitata con cui la coniglia si strappa il pelo quando sta per fare i coniglini o la gallina, diventata chioccia, si mette sulle uova e di lì non la schiodi, rischi pure di farti beccare. Già si sa che la gallina è un animale intelligente, la chioccia poi è intelligentissima.
Prima di tutto: Natale e Pasqua, non esisteva ancora il Pasqua con chi vuoi, ma vogliamo scherzare? La differenza era nei dolci, non certo nei tortellini. Occorreva comprare della roba: la gallina grande per fare il brodo, le uova, la mortadella, il lombo di maiale e la forma per fare il ripieno. La “forma” era il nome usuale del formaggio parmigiano. Altre uova servivano per fare la sfoglia, mentre la farina era già in casa. Non ricordo il prosciutto crudo, prescritto in tutte le ricette gastronomiche, né credo ci fosse, era una compera che si faceva solo per un malato, se lo decideva il dottore.
La sera prima di Natale o di Pasqua la mamma preparava il ripieno, usando tutti gli ingredienti che ho detto, anche un po’ di noce moscata, e l’odore troneggiava in cucina. Verrebbe da dire che era un odore appetitoso, ma era di più: provocava la fame e ne assicurava la non lontana soddisfazione, altro che appetito. Ancora oggi se trovo della mortadella veramente buona fatico a smettere di mangiarla.
Veniva poi il momento di tirare fuori il tagliere che si metteva sul marmo del tavolo in cucina. La mamma faceva la sfoglia e qui occorreva il mattarello. Non ho mai capito come riuscisse a farla così sottile, e talmente grande che penzolava dal tagliere. A quel punto intervenivamo io e mia sorella; la mamma passava la rotellina zigrinata sulla sfoglia, costruendo così i rettangoli dei singoli tortellini, poi appoggiava uno alla volta i pezzetti del ripieno sui rettangoli. Io, che sono sempre stato ambizioso, aspiravo ad impadronirmi della rotellina ed a passarla sulla sfoglia. Una volta la mamma me lo permise e ne uscirono molti trapezi, qualche triangolo, rettangoli pochissimi.
Io e mia sorella preparavamo il vero e proprio tortellino, cosa facile che imparammo presto, occorreva solo avere le dita sottili difatti il babbo una volta ci provò e si ritirò scoraggiato con i suoi ditoni. Inoltre la mamma non aveva piacere che il babbo partecipasse. Il babbo in casa non faceva quasi nulla, non per sua scelta di pigrizia, ma perché non era suo compito, interveniva solo se c’era da spostare della roba pesante o da prendere qualcosa in alto. In compenso in cantina faceva tutto lui. Ma non l’ho mai visto una volta sgomberare i piatti dal tavolo, la mamma non voleva, mentre lo chiedeva a me e a mia sorella, fino a quando compimmo dieci anni, a me dopo non lo chiese più.
C’era anche l’ultimo tortellino, quello col pepe, e guai a chi sarebbe toccato, fra le risate degli altri. Tutti i tortellini preparati -e contati di numero- attendevano per ore ed ore la loro sorte. Il giorno di Natale o di Pasqua veniva cotta la gallina -mai visto il cappone- poi la si estraeva dalla pentola. Nel brodo caldissimo si immergevano i tortellini, tutti, senza perdonarne uno. Dopo pochi minuti erano pronti e la mamma col mestolo riempiva le scodelle e ce le dava perché le portassimo nella sala, operazione delicata, si rischiava di scottarsi il pollice col brodo. Poi tutti e quattro ci mettevamo in tavola, soffiando solo sulle prime cucchiaiate, dopo si andava avanti con rapidità, molto assorti, salvo la scenetta del pepe.
L’odore era quello dell’appagamento, dopo la promessa della sera prima. C’era anche il bis di rinforzo dei tortellini perché le scodelle non erano grandi abbastanza per contenerli tutti, ma soprattutto perché la mamma amava giocare le carte una alla volta, non tutte insieme.


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