mercoledì 11 giugno 2008

21. Visita di leva

Prima di compiere vent’anni venivamo chiamati per la visita di leva.
Arrivava a casa la cartolina che intimava di presentarti il giorno tale all’ora tale presso i locali del Distretto Militare di Parma. Quella mattina ci trovammo in una quarantina, fra cui non c’era nessun mio amico -a cose fatte ne fui contento. Si capiva che gli studenti erano una minoranza.
Ci fecero entrare tutti in uno spogliatoio ampio e ci dissero di spogliarci nudi. Alcuni vollero capire male, e tennero le mutande, ma uno col camice, non di quelli dei medici, con due parole secche li convinse a fare come gli altri. Quel tipo cominciò anche a sfotterci, era un suo modo -più un rito che un modo- per fare il simpatico, per metterci a nostro agio. Delle tre frasi che disse, la più lieve fu: “Che puzza di caprone!” mezza in italiano mezza in un dialettaccio di non so dove.
Aveva ragione lui, poche storie, l’odore era quello. Due o tre di noi fecero un sorriso imbarazzato, ma quasi tutti provarono a far finta di niente. Tenevamo gli occhi rivolti al pavimento o al soffitto, in realtà non sapevamo dove guardare. Poi, in fila uno dopo l’altro, entrammo nel locale destinato alla visita. C’erano due medici giovani e con l’aria di ma che mi tocca fare oggi.
Uno alla volta venimmo visitati e misurati, sempre in piedi: aprire la bocca, sbarrare gli occhi, la statura, le dimensioni del torace, ispezione manuale ai testicoli, i piedi e poco altro. Tutti abili e arruolati quella mattina, ma avevamo altro in testa: ci sentivamo umiliati, trattati come cose.
Poi, di nuovo nello spogliatoio, ci rivestimmo tutti alla svelta, sempre in silenzio. Quel tipo, mezzo infermiere mezzo furiere, fece ancora il numero della puzza del caprone, ma non ci badammo più. Quattro firme a testa su moduli burocratici, due timbri, poi potemmo andarcene fuori, ognuno per i fatti suoi. La faccenda tutto sommato era durata meno del previsto, e mi piacque camminare da solo per Borgo delle Colonne.
Ancora diversi anni dopo mi capitava di vedere in paesi prealpini dei manifesti tricolori con Viva la classe del 1949 o Classe 1955 classe di ferro. Tutti i gusti sono gusti, loro ci si saranno divertiti. I nostri erano tempi in cui si andava poco al mare, la promiscuità era più assente che scarsa e l’igiene agli inizi: il bidet, chi lo conosceva? Eppure, anche sic stantibus rebus, ci poteva essere un benvenuto migliore.
Fino a qualche anno prima, era tradizione diffusa che si andasse a festeggiare la visita di leva in una casa di tolleranza specializzata in militari e affini. Da questo noi eravamo già fuori senza essere entrati in un mondo diverso, la nostra era la scomodità di essere a mezza strada.

"Full Metal Jacket" di Stanley Kubrick (1987)

Nessun commento: