mercoledì 11 giugno 2008

17. Vespasiano

Uscivo nel tardo pomeriggio dall’oratorio degli Stimatini e mi incamminavo per casa, percorrendo via Massimo D’Azeglio, la strada più importante di Parma Vecchia.
Subito a destra c’era un vicolo in cui, a dieci metri dall’inizio, non di più, un orinatoio da parete arrivava sino a terra, congiunto al muro di una vecchia e grande casa. Orinatoi così ce ne sono ancora in diverse stazioni, al chiuso però. Allora ce n’erano all’aperto nei vicoli, non proprio nelle piazze. Se cacciavo l’occhio, in genere vedevo solo l’acqua corrente, che a volte per qualche ostruzione finiva al centro del vicolo. Ogni tanto, accostato all’orinatoio, c’era qualche vecchio intabarrato e paziente.
Nelle piazze e nelle vie più grandi era frequente la presenza dei vespasiani, generalmente a doppia entrata -niente code di attesa- e tutti edificati con una architettura da opera del regime, alla Marcello Piacentini. Nel loro genere tutt’altro che squallidi, le amministrazioni locali per decenni ci tennero a dotare le vie e le piazze di questa specie di laicissime cappelle che godevano di una loro popolarità, perché la richiesta di mercato esisteva.
Carlo Levi, ne “Cristo si è fermato a Eboli”, racconta ironicamente l’edificazione di un vespasiano nella piazza del paese in cui era confinato, ma credo che la popolazione non la pensasse come lui.
L’odore, ad usufruirne ed anche solo a girarci intorno, era quale si può immaginare, con in più un fondo di muschio, derivante dalla assidua umidità. Di regola, da starne lontani, ma ogni regola ha le sue eccezioni. All’interno del vespasiano l’advertising muoveva i primi passi, c’erano incollati dei piccoli manifesti che pubblicizzavano una nota marca di antiparassitari, battaglia necessaria, poiché le abluzioni domestiche avevano un buon cammino da compiere.
C’erano dei crocchi di anziani che si riunivano proprio lì, a pochi passi dai vespasiani, a raccontarsi imprese del servizio militare nella Bassa Italia o decennali storielle grevi apprese chissà dove. Una specie di Bar Sport, un come eravamo lievemente postribolare, senza dover pagare la consumazione. In plein air, per giunta.
Un mondo destinato a finire, più adagio però di quello che si può pensare oggi, in Italia ancor più tardi che in altri paesi. Il mondo in cui le donne stavano in casa e gli uomini occupavano le vie e le piazze.
Jerome racconta la tragedia di un pomeriggio trascorso per le vie di Londra alla inutile caccia di un vespasiano, e come risolse il suo problema con un colpo di genio: la richiesta di analisi cliniche in una farmacia, e di calici se ne fece dare due. Ancora oggi, girando attorno alle chiese si vedono ringhiere a proteggere certi angoli, altrimenti a rischio di sconsiderate impellenze. Che cosa abbiamo a nostra disposizione noi, uomini e donne del terzo millennio? Certi gabinetti di pizzerie, bar, trattorie da farci rimpiangere le abitudini degli antenati. Quei furbacchioni di McDonald’s hanno provveduto: i loro gabinetti sono più puliti delle cucine.

P.S. Sulla destra: Fontaine di Marcel Duchamp (1917)

Il vespasiano di Ostia Antica

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