mercoledì 11 giugno 2008

16. Val d'Anna

C'erano le giornate in cui camminavamo per otto ore, fra un rifugio e l’altro.
Il giorno dopo era di riposo, e lo trascorrevamo al Caffè Val d’Anna, circa venti minuti di strada a piedi dal centro di Ortisei. Due sorelle sui trent’anni, una mora e l’altra bionda, lo gestivano, vestite entrambe col costume ladino. Ogni sospetto di Heidi era smentito dal loro carattere cortese e deciso, specie per la mora, la mia preferita: passava dal tedesco all’italiano al ladino con fluente naturalezza, sapeva prima che tu aprissi bocca che lingua usare.
Due brutti di bosco con barba regolamentare e grembiulone blu erano i mariti, indaffarati fra cucina e provviste, legnaia e cantina. Un circo pregevole e senza inganni, le sorelle trapeziste, i mariti porteur, noi i soldi li spendevamo volentieri.
Verso l’una si mangiava, seduti ai tavoli all’aperto. Ero di gusti semplici: minestrone ( senza wurstel!), e un piatto largo, che rappresentava per me l’odore del Val d’Anna: sfrigolìo di uova fritte con l’olio su una base di speck e formaggio montanaro, e la collaborazione straordinaria della resina delle conifere alla loro quota giusta, attorno ai 1500 metri: sopra rimpiccioliscono, sotto, meglio le latifoglie. Infine, la golosità dello strudel o della torta con i lamponi.
Un posto intimo eppure spazioso, non era caso ma avvedutezza. Il prato separava i tavoli dal sorgere delle conifere, non solo, anche le sedie a sdraio non erano contigue, quindi ci si appartava per dormicchiare, leggere o chiacchierare al sole, all’ombra, in penombra, secondo i gusti di ognuno. Un po’ sotto correva il torrente, che si udiva appena, con una specie di sua erbosa spiaggia con sedie di legno.
Il Val d’Anna era ben frequentato, non dalle scarpe di città usate dagli struscianti del centro di Ortisei - mai ho capito a che pro’ ci venissero, neppure dagli scarponi dei rocciatori, impegnati a quell’ora nei sentieri più esposti. Poche nonne, diversi bambini, ma soprattutto persone come noi, a riposo per un giorno fra una escursione e l’altra.
Avevo un mio piccolo zaino: kway, borraccia, maglione, un libro, i giornali, ma soprattutto l’astuccio e un notes da disegno. A volte toccava alle pigne, ma le fuchsie mi attiravano di più, per i tanti fiori penduli e le corolle aperte: col carboncino o la sanguigna riempivo un foglio, cospargendolo poi col fissativo. Ogni tanto usavo anche la matita e c’era la tentazione della gomma, meglio qualche segnaccio in più, ma il disegnatore dilettante cade nella trappola del perfezionismo. La felicità non è nel disegno compiuto, è mentre si disegna, minuti uno via l’altro in cui non si ha percezione del tempo, a volte era l’odore del caffè a riportarmi in terra. Il Caffè Val d’Anna l’ho trovato in rete, ma le fotografie non gli rendono merito e non ho riconosciuto le due sorelle, saranno state impegnate fra un tavolo e l’altro, le due trapeziste non perdevano tempo.

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