mercoledì 11 giugno 2008

14. Sus domesticus

Per mesi gli avevo visto solo il grugno, lo vidi tutto intero solo nel suo ultimo giorno di vita.
Parlo del maiale -sus domesticus- che il babbo allevò per un anno, a Fiorenzuola d’Arda, in un localuccio adattato a porcile, di là dai binari quasi di fronte al casello in cui abitavamo. Viveva in penombra, contornato di assi di legno fra cui sporgeva il truogolo, ed era lì che gli vedevo il grugno, quando la mamma versava o un pastone di crusca o quello che era rimasto in tavola o qualsiasi cosa che si potesse mangiare. Quando noi entravamo nel porcile, faceva rumore di zoccoli, grugniva anche, però con toni bassi, educatamente.
Il porcile era ben tenuto dal babbo, che aveva la canna per far scorrere l’acqua, credo tirasse anche qualche secchiata ogni tanto, ma non ne sono sicuro, io entravo solo al seguito della mamma. Avevo sette anni e la forza di quell’odore la ricordo bene. Non era malaccio come si potrebbe credere, sulla esperienza degli allevamenti reggiani o mantovani -decine di migliaia di maiali- che sono diventati una specie di calamità olfattiva, tollerata però, vista la generale convenienza dei popoli.
Il nostro maiale era solo al mondo col suo porcile e il suo truogolo, puzzava il giusto, non di più, c’era mischiato anche l’odore del pastone. Non ne ero per niente infastidito, perché coglievo nel babbo e nella mamma una reverente attenzione a quel prodigio che cresceva a vista d’occhio. Qualche volta per conto mio sbirciai fra le assi, intravidi un po’ di schiena, anche la coda.
Venne infine il giorno in cui lo vidi tutto, il giorno in cui fu ucciso. Un mattino freddo, si era d’inverno, io e mia sorella eravamo stati portati dalla mamma, e altre mamme erano lì con i figli, per vedere ammazzare il maiale. Si faceva così perché si era sempre fatto così, punto e basta. Proprio un gran bel maiale, anche se non grandissimo.
Della uccisione ricordo solo la mossa del macellaio per tenergli piegata una delle zampe anteriori perché non scappasse col coltello infilzato. Poi, il lavorìo di ore ed ore per utilizzarlo tutto, e, coprolalicamente, l’abilità nel pulire le budella, utilizzate poi per insaccare salami e le altre delizie, che alla sera vidi appese ad una trave, in alto. Ci mettemmo alcuni mesi a finirlo tutto, il nostro maiale.
Nella testa ero ancora contadino, quindi non soffrii per niente, e rimasi stupito nel vedere la bambina con le trecce coprirsi gli occhi, non mi ricordo il nome, il cognome sì, ma non lo dico.

Durer: Il figliuol prodigo (1497-98) Disegno a penna
British Museum, Londra

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