martedì 17 giugno 2008

14. I due miti

Dire: "Io e la bestia" non è corretto, si tratta di un piccolo mito piuttosto utile, come tutti i miti che permettono di fare i conti con la realtà quando è ancora incomprensibile. Si deve pur vivere, nel frattempo, ed il mito aiuta. Aggiungo che l’utilità, nel caso della depressione, c’è anche perché un mito così rafforza la volizione, senza la quale dalla depressione non si esce.
Su questo tema aveva a suo tempo molto insistito lo psicoterapeuta, solo che la partita si può fare quando si risente la voglia di giocare, prima no. E’ proprio come per le partite di calcio, che quando giochi in casa sei avvantaggiato. Io venivo da una serie di partite giocate in trasferta, in cui ottenevo il pareggio, se andava bene.
Quindi, "io" e "la bestia" furono due viste logiche su quello che accadeva nel mio cervello, in cui le connessioni fra miliardi di neuroni erano mischiate in modo impenetrabile. Si fa così anche per i farmaci: alcuni funzionano, altri no, e se ne tiene conto, anche se non se ne sa bene il perché.
Smisi di prendere l’antidepressivo quasi per caso. Un giorno, dopo mangiato, semplicemente mi scordai di prenderlo. Accadde circa un mese dopo l’ultima crisi depressiva; decisi di continuare a non prenderlo, incrociando le dita. La depressione non consisteva soltanto di queste crisi, era qualcosa di più ampio, le crisi ne costituivano una saltuaria manifestazione più dolorosa, ma di sofferenza erano permeate tutte le mie giornate.
A questo punto, usai un altro mito: "Il senso della vita", un mito che impregna di sé la coscienza di quasi tutti noi, pensiamo difatti che la vita deve avere un senso, e che noi magari questo senso ancora non lo conosciamo. C’è un che di consolatorio, nel pensare così, difatti il geniale mito del peccato originale ha aiutato tanti a vivere, secolo dopo secolo, perché dà un senso alla vita, alla morte, alla sofferenza. Ma si può vivere, voler vivere, a prescindere dal fatto che la vita abbia un senso? Domanda importante a cui cercavo una mia risposta, che infine fu più di pratica che di pensiero.

Buster Keaton in "The Cameraman" (1928)

Nessun commento: