martedì 17 giugno 2008

13. L'ultima crisi

Mi capitava di uscire di casa per sbrigare una incombenza o l’altra e di essere soggetto a crisi di noia agitata senza avere la protezione -forse la prigione- delle mura domestiche. Toccava fingere, continuare a far fronte come se nulla fosse.
Sul metrò era semplice, ad occhi semichiusi mi estraniavo da tutto, specie se riuscivo a stare seduto. Meno in banca, mi scordavo il numero di conto, e al supermercato, guardavo di continuo la lista, e anche nel guidare la macchina, in cui non esisteva più il pilota automatico nei tratti usuali, e quindi mi toccava decidere e scegliere.
Non si perde il ben dell’intelletto, se depressi.
Si perde l’agevolezza di passare da un pensiero all’altro, o di ricorrere alla schiera delle abitudini, che costellano e semplificano la nostra vita quotidiana. Tutto perché c’è un pensiero, quel pensiero, che è dominante, e schiaccia gli altri. Nelle crisi si crea un circolo vizioso, è la consapevolezza di essere depressi che alimenta la depressione, non si può pensare ad altro.
Il medico di base sosteneva che erano crisi di panico. Penso avesse ragione solo riguardo l’innesco della crisi -si sente che può arrivare, per ciò stesso arriva- non per il decorso, che poteva durare ore, ma non c’era più la paura che la crisi arrivasse, già lì stava, si prendeva il comodaccio suo, si allargava più che poteva. Questo quando c’era, e cominciò a visitarmi meno di frequente, ogni tanto non veniva per quattro o cinque giorni filati. Il che ingenerò dei provvisori circoli virtuosi: non si presentava la crisi, quindi ero meno impaurito, così non le davo spago per presentarsi.
Facile da scrivere, meno da viverlo, perché quando poi arrivava, si ripresentava il circolo vizioso, e veniva per tre giorni di fila. Un notevole corpo a corpo, avevo voglia di guarire. Finalmente non ebbi crisi per diciassette giorni filati, già stavo riflettendo fino a quando continuare a prendere i farmaci, al diciottesimo giorno eccola di ritorno.
Tenevo però una mia contabilità, e riscontravo che da qualche mese il numero delle crisi si era ridotto, e questo appiglio mostrava solidità. Venne infine l’ultima crisi -ho imparato dopo, che era l’ultima- e decisi di continuare a prendere i farmaci sino almeno ad esaurimento della scorta di sicurezza che mi ero costruito.

Buster Keaton in "Seven Chanches" (1925)

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