martedì 17 giugno 2008

12. Becky

"Animale leggitore", così mi definì mia moglie, e mi ci riconobbi volentieri, perché esprimeva vorace curiosità. Su questo contavo, come arma per reggere alla depressione.
La musica, l’arte, il cinema li tralasciai, colla lettura ero quasi sicuro del fatto mio. Ma diversi tentativi di lettura non andarono a buon fine. I giornali li sfogliavo la mattina, sazio dopo dieci minuti. Il testo zen di Suzuki sul vuoto mentale mi sembrò zeppo di concetti astrusi e mi fece star peggio, altro che meglio. Lo mollai nel giro di una settimana. Provai con la Storia dell’Arte di Argan, durai un po’ di più ultimando qualche capitolo. poi tutte le scuse erano buone pur di non riprenderla.
Restava l’arma assoluta, il grande romanzo, e scegliendo "Mansfield Park" di Jane Austen mi sembrava di essere a posto, un libro amato di una scrittrice amatissima. Eppure anche la Austen fu sconfitta, era la storia piena di minuzie di Fanny Price, una Cenerentola avveduta, virtuosa e noiosa. A metà libro smisi.
Testardo, ci riprovai alzando il tiro, ed intrapresi le quasi mille pagine de "La Fiera della Vanità" di Thackeray, che avevo già letto tre volte. Stavolta vinsi, fu una vittoria strana e piena di rischi.
Le pagine morali, e il tono dell’autore, vittoriano sia pure a suo modo, mi scoraggiavano, fui lì lì per smettere diverse volte. Ma poi arrivava Rebecca Sharp -Becky- e rialzavo la testa. Compresi una cosa che mi aiutò molto: non mi occorreva recuperare il senso di una vita buona, il mio problema era a monte, era di recuperare la vita senza aggettivi, e tutte le volte che quell’eroina negativa di Becky compare porta con sé una vita piena di trucchi, di inganni, di ambizioni ciniche, ma intessute con perfetta maestria, colori variegati, sorprese continue, non di trama -che sono buoni tutti- ma di carattere.
Becky sguscia da tutte le parti, persino dalle mani dell’autore, che a volte pare essere un pupazzo nelle sue mani, perché Becky è tanto più libera di lui nell’afferrare la vita, in qualsiasi situazione si trovi. E quando giunsi alla fine, pagina 921, mi accorsi che Becky mi aveva procurato una vittoria, parziale ma autentica. Rincuorato, proseguii la mia strada, in cui si insinuavano novità nelle crisi di noia agitata.

P.S. Nelle due immagini, Miriam Hopkins nel film Becky Sharp (1935) di Rouben Mamoulian.



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