martedì 17 giugno 2008

11. La guerriglia

Se si è su una barca, forza di volontà può essere usare i remi, ma se si ha a disposizione una vela, meglio, ci si sposta di più facendo meno fatica.
Gli psicofarmaci, il viaggio nei ricordi, le e-mail affettuose mi avevano costruito la vela, dovevo solo usarla bene. Occorreva evitare l’accanimento; le sconfitte potevano portare al disalberamento, ed allora addio vela.
Un esempio, per chiarire.
La preparazione della rassegna stampa si svolge in tre fasi: cattura degli articoli, loro organizzazione in un documento Word, caricamento nel sito. Prima, quando la noia agitata mi prendeva nel corso della rassegna, cercavo di tenere botta, di resistere aggrappato alla tastiera del PC, venendo quasi sempre sconfitto e troncando la rassegna a metà. Adesso, appena sentivo l’arrivo della crisi, sospendevo la rassegna ed attendevo che giungesse lo spiraglio che mi consentisse di riprenderla. La ritirata -che non è una sconfitta- mi permetteva di rioccupare il terreno perso appena si ripresentava l’opportunità, e la rassegna stampa veniva completata: cosa è mai una mezz’ora di ritardo?
Mi feci quindi guerrigliero, in una guerra asimmetrica: la bestia aveva a sua disposizione la sua corazza brutale, ma potevo inserirmi negli spazi non suoi. Piccole vittorie mi diedero animo: forza-vela quindi, non forza-remo. Forza paziente e furba, da Ulisse, non da Aiace, si parva licet.
Un bel giorno fu quello in cui la crisi di noia agitata passò senza doverci dormire sopra, passò da sveglio, forse perché avevo accettato che ci fosse. Fu essenziale la crescita della autostima, che l’analisi dei ricordi mi aveva mostrata carente. Autostima non è attaccamento, men che meno un faso-tuto-mi destinato a sconfitta, è un volersi bene malgrado tutto.
Senza bandieroni, slogan, razzi o petardi, avevo deciso di fare il tifo per me stesso, cosa difficile, ma anche semplice, ad autostima crescente. Detta così, sembra che da un giorno all’altro uno trova la chiave ed apre il portone, no, è come le bambole matrioska, che tu ne apri una e c’è l’altra e via andare o come il carciofo in cui il meglio vien fuori dopo aver degustato le foglie spinose, una per una.
Una buona mano la diede una donna piccola, pelle bianca, capelli rossi, occhi verdi, assai cattiva, ma ancor più spiritosa che cattiva: la signora Rebecca Sharp. Racconterò il perché.

Buster Keaton in "The Navigator" (1924)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho divorato "la grande bua" ma non lasciarmi con il fiato in sospeso!

Solimano ha detto...

Hai ragione, Sabrina, ho già tutte le immagini e nel giro di una settimana completerò l'inserimento dei post. Attualmente ne mancano sei. Poi ne parliamo, perché è un argomento vero su cui è bene discutere: la depressione esiste, ed è meglio attrezzarsi, se non per sé, per qualcun altro che ci sta a cuore. E ti assicuro che mi è andata bene: spesso la depressione dura di più di un anno e mezzo.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Con me sfondi una porta aperta, io ho cambiato (in meglio) la mia vita trovando una terapeuta competente e affettuosa quando il bordo della depressione era superato da un pezzo, c'ero tutta dentro con l'acqua alla gola, per dirla tutta.
In farmacia poi, non sai quante persone ho visto, quante parole ascoltate e spese.
La depressione è una malattia che come un tumore colpisce in modi molto differenti, più o meno profondi, più o meno definitivi.
Devo dire che qui in Francia, patria di grandi depressi, non senti spesso minimizzarla, piuttosto confonderla con altro o evocarla a vanvera.

Solimano ha detto...

Sabrina, detta a posteriori (speriamo...) non è facile uscire da una depressione maggiore, soprattutto per due motivi: prima di tutto non c'è una terapia unica, ce ne sono diverse, tutte utili che però occorre saper personalizzare su di sé, poi c'è un altro motivo, che io ho avvertito spesso: lo scoraggiamento che ti prende quando ti sembra di esserne fuori e invece ritorna ancora e ti sembra di essere da capo. Occorre voler uscire dalla depressione, e questo è importante (secondo me c'è anche chi finge di volere, ma di fondo non vuole), ma è ancor più importante che questo volere non sia un forzare. Curiosamente, ma non tanto, è proprio l'errore che si commette quando si deve fare i conti con un amore infelice, che prima di rimuoverlo, di staccarlo da te, devi accettarlo, altrimenti si ribella e ti fa stare peggio. Quasi come si fa con lo judo: utilizzare la forza dell'avversario per vincere.

grazie Sabrina e saludos
Solimano