giovedì 13 maggio 2010

Roy Lichtenstein - L'originale dalla copia

Gauss

«A Milano c’è Roy Lichtenstein, dicono che è una gran bella mostra, con più di cento opere, abbiamo prenotato una visita guidata, vieni anche tu?». «Lichtenstein, quello dei fumetti?» «Sì, quello dei fumetti e dei puntini, divertente e di facile lettura». «Ma sì, aggiungi il mio nome».
E’ così che domenica pomeriggio alla Triennale ci siamo ritrovati in un gruppo di venticinque.
E s’è capito subito, fin dai primi quadri, che facile non lo è per niente! Quella di Lichtenstein è una pittura colta, allusiva, finemente ironica. Come se da una sequenza prelevasse un fotogramma e illuminasse solo quello, esaltandone gli elementi essenziali, le sue opere non narrano, illustrano, ma sono illustrazioni che rimandano a significati che vanno ben oltre la loro sfacciata evidenza.
Lichtenstein è un divoratore di immagini, per lui la raffigurazione è più importante e reale della realtà che ritrae. I suoi soggetti li attinge sempre dalla carta stampata, fumetti, pubblicità, riviste d’arte, e li ripropone in interpretazioni che sono insieme di omaggio e di parodia.




















sinistra, Still life with crystal ball, 1973, 132x106 cm
destra, Imperfect sculpture, 1995, 78x88 cm

Volendolo dire in maniera brutalmente riduttiva, è un copista di seconda istanza, non copia da un oggetto, ma dalle copie commerciali di quell’oggetto, copie tirate in migliaia, milioni di esemplari - ciò che lo fa passare per un pittore pop - ma le sue copie, trasfigurate nel suo inimitabile stile pseudofumettistico, diventano originali estratti da copie.
Caratteristica inconfondibile della pittura di Lichtenstein è di offrirsi come tale, nel suo autonomo e incontestato status di pittura, di mantenere le distanze, di non smemorarsi nel soggetto che dipinge, per realistiche che possano essere le sue sembianze. A osservare la sua Still life with crystal bowl si percepisce con certezza che il cristallo dell’alzata è solo una trasparenza tratteggiata, e la frutta non è di succosa polpa, è solo turgido consistente colore. Contribuisce a questo straniamento dal soggetto la rigorosa bidimensionalità della pittura di Lichtenstein, il suo dichiarato proposito di giacere su una superficie piana, senza sfumature, senza dissolvenze, senza prospettive. Non solo la pittura, anche le sue sculture rifuggono dalla tridimensionalità delle cose corporee per conservare il carattere appiattito delle rappresentazioni.
















sinistra, Femme d'Alger, 1963, 203x172 cm
destra, The red horseman, 1974, 213x284 cm


I grandi espressionisti astratti del tempo di Lichtenstein (Pollock, De Kooning, Rothko, Kline) sono artisti-creatori, le chiazze e le sgocciolature di colore sulle loro tele non hanno riferimento al mondo sensibile, esprimono una visione soggettiva della realtà, fatta di stati d’animo, di storie personali, di aspetti profondi della loro individuale personalità. Lichtenstein ne prende le distanze ed opera un ribaltamento totale. Copia quel che vede, non quel che sente, di suo ci mette il metodo, il processo rappresentativo, quel che basta per farlo diventare un’opera sua. Immagini ingrandite come nei cartelloni pubblicitari, contorni marcati, colori primari e, a ricordare ed esaltare il loro carattere di copia, le superfici di puntini che rievocano la sgranatura dei retini di stampa.

Reclining nude, 1977, 213x305 cm

Rivisita trasfigurandoli con l’alchimia dei suoi puntini i capolavori dei grandi pittori e dei movimenti artistici del secolo, da Picasso a Mondrian, da Balla a Léger, da Vedova a Munch, cubismo, futurismo, espressionismo, surrealismo, dadaismo, non per nulla la mostra alla Triennale ha per titolo “Meditations on art”. Convinto che il processo di ricostruzione di un’immagine sia sufficiente a farla rinascere a nuova vita, Lichtenstein si appropria di opere d’arte già note, le esula dal contesto in cui sono nate e le ripresenta all’attenzione del mondo. Del resto l’aveva già detto Picasso: “In fin dei conti che cos’è un pittore? E’ un collezionista che si crea una propria raccolta riproducendo dipinti che gli sono piaciuti in casa d’altri. E’ così che comincio, poi la cosa si trasforma in qualcos’altro”. Anche Lichtenstein comincia così, ma non dai dipinti, gli bastano le riproduzioni.

Gauss

5 commenti:

Roby ha detto...

Una mia amica ha in salotto una riproduzione di Lichtenstein: un autobus che percorre una strada di periferia, verso la linea dell'orizzonte, con un fumetto che dice qualcosa come: "A casa,finalmente!".

Ebbene, lo confesso, l'avevo anch'io classificato come un artista "facile", e invece...

La sua bidimensionalità, tuttavia, un po' mi attira e un po' mi agita. Non è certo una pittura "riposante", anzi: ho l'impressione che davanti ai suoi quadri si debba stare sempre all'erta, ben attenti a cogliere -appunto- allusioni e ironie. E la definizione di "divoratore di immagini" mi sembra azzeccata, benchè leggermente inquietante...

Grazie, Gauss, e a presto!!!

Roby

Anonimo ha detto...

c'ero anch'io con la mia sposa, domenica scorsa.
e possiamo testimoniare che si tratta
di una mostra di notevole livello,
non di quelle a fregatura
con poche opere dell'artista
in una gran marmellata di contemporanei o epigoni.
e Lichtenstein è proprio un personaggio speciale:
il travestimento è quello da americano ingenuo,
ma tolta la maschera c'è un artista coltissimo, raffinatissimo, capace di uno sguardo molto ironico, ma soprattutto auto-ironico sul mondo.
vale un viaggio.
ciao
a

mazapegul ha detto...

Di Lichtenstein credo di non ave mai visto nulla dal vero: solo riproduzioni fotografiche. Mi chiedo se una certa freddezza verso di lui, quindi, non mi venga dal fatto che la copia restituisce la sua pittura, appunto, al mondo della riproduzione seriale; quella a cui lui -seguendo Gauss- cercava di sottrarre la rappresentazione degli oggetti.
Insomma, c'è un paradossa nel riprodurre un'opera di Lichtenstein?

(Pollok l'ho visto riprodotto e dal vero, soprattutto dal vero. M'è sempre piaciuto, anche se, invecchiando, mi pare sempre più angusto il mondo delle sensazioni e delle idee, rispetto al gigantesco -e solo parzialmente percepito- mondo della natura).

Grazie e un saluto,
Maz

mazapegul ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Gauss ha detto...

Roby e Alberto e Maz, c'è molto di concettuale in Lichtenstein. Profondo conoscitore dei movimenti artistici del suo tempo, se ne tiene lontano e afferma un principio tutto suo, il primato dello stile sul soggetto, del significante sul significato.
In maniera provocatoria e beffarda, come un illusionista sul proscenio, prende un'opera cubista di Picasso, la passa nella griglia dei suoi puntini e, oplà, eccola trasformata in un'opera di Lichtenstein. Eppure non occulta il soggetto, la donna d'Algeri di Picasso o il cavaliere rosso di Carrà si riconoscono ancora benissimo, ma nessuno può dire di trovarsi davanti a una copia.
Questione di stile, chi oserebbe dire che l'Otello di Verdi è una copia dell'Otello di Shakespeare?
Che poi ci sia qualcosa di paradossale nella riproduzione delle riproduzioni è probabilmente vero. Su questo aspetto, sul rapporto originale/copia penso di dilungarmi in un prossimo post.
Grazie e un saluto a tutti.

Gauss