domenica 14 febbraio 2010

La trama del destino

Roby



Anselm Feuerbach, Paolo e Francesca

Vivono insieme da pochi mesi, ma si conoscono dai tempi del liceo.

Poco più di 50 anni splendidamente portati, occhi che si cercano, mani pronte a sfiorarsi, piccoli gesti appena accennati.

La vita, come si usa dire in questi casi, non è stata tenera con loro: tempo fa lui ha perso il fratello per un male incurabile, fulminante; a lei due anni or sono lo stesso male ha portato via il marito, spentosi lentamente, lucido sino in fondo. E proprio allora lui, il vecchio compagno di banco, è tornato. Ha avvicinato come una volta la sedia alla sua, mescolando al suo il proprio dolore. Parlando -o tacendo- insieme, per ore, hanno cercato di capire, di dare un senso a quello che sembrava soltanto un destino terribile, una tragedia senza scopo. A poco a poco, dalla condivisione di un'esperienza drammatica, dalla comprensione della sofferenza dell'altro -così simile alla propria!- è nato qualcosa di diverso e di più profondo: una nuova coppia si era formata.

I figli di lei, ormai ventenni, hanno capito e accettato. La madre di lui anche, e persino con entusiasmo. La sorpresa, tanto più amara quanto inaspettata, è arrivata da una parte degli amici comuni, quelli che entrambi avevano frequentato durante gli ultimi tre decenni. Per alcuni la notizia di questo amore è stata addirittura fonte di scandalo: troppo recente la morte del coniuge, ha sussurrato qualcuno, evidentemente favorevole al sacrificio indù della moglie sul rogo del marito... troppo esplicite le manifestazioni di affetto in pubblico fra i due, hanno sentenziato altri, chiaramente invidiosi di una vitalità dei sensi in loro irrimediabilmente sopita...


Lui e lei ci hanno sofferto, all'inizio. Ora sospirano, uno accanto all'altra. "Forse da qualcuno ci aspettavamo troppo" dicono, appena un fondo di tristezza nello sguardo "Il problema però è loro, non nostro". Adesso li attende una nuova stagione, nè troppo calda nè troppo fredda, lunga quanto basta. Un tempo di viaggi, di pensieri, di lavoro, di bisticci, di parole e di musica in sottofondo.

Si guardano, intrecciando strettamente le dita. E finalmente, insieme, sorridono.



Primaticcio, Ulisse e Penelope

N.d.R. : La coincidenza di questo post con la famigerata ricorrenza di S. Valentino è -lo giuro- puramente casuale, ma i protagonisti sono assolutamente reali, così come è vera l'intera vicenda. C'è bisogno di ripetere, ancora una volta, che la realtà supera spesso la fantasia? Io credo proprio di no.

10 commenti:

zena ha detto...

E' una storia di sentimenti delicati.
I dolori possono fare tabula rasa, a volte, ed essere talmente totalizzanti e onnicomprensivi da succhiare ogni energia o risorsa vitale.
Altre volte, ri-voltano terreni inariditi e rimettono al centro della vita sentimenti e affetti che parevano congelati.
Bello, quando accade, e portatore di speranza.

Grazie Roby e buona settimana alle Stanze.

Anonimo ha detto...

Il dolore della morte è davvero insondabile. Ognuno lo vive come può. A volte ci si allontana dal mondo, a volte invece ci si sente più vicini. Bisognerebbe avere rispetto di ogni scelta ed uscire da qualsiasi atteggiamento "giudicante". Ma questo bisognerebbe farlo sempre. Invece, siamo tutti bravi a sentenziare, molto meno ad affiancare e ad ascoltare facendo tacere dentro di noi quei pre-giudizi che purtroppo trovano dimora ancora troppo spesso nella nostra mente.
Un caro saluto

Solimano ha detto...

Penelope e Odisseo in due brani dell'Odissea, nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti:

Così essi queste parole tra loro dicevano:
intanto Eurinòme ed Euriclea preparavano il letto
con morbide coltri sotto le fiaccole accese.
E quando ebbero steso il morbido letto con cura,
la vecchia a dormire tornò alla sua stanza;
e a loro Eurinòme, l'ancella di camera, faceva strada
mentre andavano al talamo, con la fiaccola in mano.
E accompagnatili al talamo, tornò via. Allora,
bramosi, i diritti del letto antico riebbero.
XXIII 288-296

Ma i due, quand'ebbero goduto l'amore soave,
godettero di parlarsi, uno all'altra dicendo,
lei quanto in casa soffrì, la donna bellissima,
costretta a vedere la folla sfacciata dei pretendenti,
che a causa sua, numerose le vacche e le pecore grasse
sgozzavano, e molto vino si attingeva dai vasi;
e lui, il divino Odisseo, quante pene inflisse
ai nemici, e quante sventure dovette subire lui stesso,
tutto narrava: lei godeva a sentire, né il sonno
cadde sui loro occhi, finché tutto fu detto.
XXIII 300-309

Benvenuto questo brano di Roby, che condivido forse ancor più di quanto lei immagini.
Vorrei che la si smettesse con la plurisecolare frescaccia càtaro-trobadorica dell'amore spirituale che è tanto sublime che più sublime non si può. L'amore, più che dirlo, si fa.
E' bene non fidarsi di chi spregia la corporeità, avrà suoi motivi personali per spregiarla. Due sono le lodi più belle che si possono fare riguardo chi si ama: la seconda è "Mi fa ridere", la prima è "Mi desidera".
Il resto, eventualmente, dopo, molto dopo.

grazie Roby!
Solimano
P.S. Se a festeggiare Odisseo, in momenti diversi, ci sono anche Circe, Calipso e Nausicaa meglio ancora. Occhio però alle pericolose Sirene, sfigatissime cantautrici.

Solimano ha detto...

Ecco due immagini (se ci riesco) di Penelope (Irene Papas) e di Odisseo (Bekim Fehmiu) nel film di Franco Rossi:

qui

e

qui

Solimano

Silvia ha detto...

La morte sortisce in noi le cose più strane. Ogni giorno ci si scopre diversi, nati a vita diversa, perchè è così, dopo. Nulla è più come prima, tutto viene ricomposto in un mosaico completamente sconosciuto rispetto al precedente. A volte occorre molto, moltissimo tempo per il riconoscimento di questi pezzi perchè tanti sono finiti chissà dove. Molti altri non si trovano proprio più, però ne emergono di nuovi, di inaspettati. A volte si è troppo stanchi, delusi, disperati, per porvi attenzione, a volte nasce la curiosità di capire di cosa sono fatti e così, girandoci attorno, si comincia a mettere un piede dietro l'altro. Ancora.
La gente non può capire, non tutti per lo meno, meglio farsene una ragione subito. Inutile sprecare energie per cercare di spiegare cosa significa IL SILENZIO in un determinato momento del giorno o della notte. Ed è giusto così. Le energie, preziose, sono utili per ricominciare.
Se il dolore può unire, allora serve anche il dolore. Sono molto contenta per loro, e auguro loro tanta serenità e amore.

Roby ha detto...

Gli amici protagonisti di questa storia sarebbero senz'altro felici dei vostri commenti, se solo sapessero che ho raccontato qui la "trama" del loro destino...

...l'ho fatto senza dirglielo e senza chiedere il permesso, lo so, ma era troppa la voglia di rendere "pubblica" - benchè protetta dall'anonimato- una vicenda che mi ha colpito profondamente, anche perchè conoscevo di persona gli interpreti principali già da prima che tutto cominciasse...

Grazie a voi tutti delle riflessioni, delle immagini e dei buoni auspici!

Baciotti super da

Roby

Solimano ha detto...

Ho riflettuto, perché vale veramente la pena di riflettere, su un tema come questo.

Così scrive Henry Laborit nel capitolo intitolato "La morte" del suo "Elogio della fuga":

La nostra morte non è forse, indefinitiva, la morte degli altri?
Questa idea viene espressa perfettamente dal dolore che proviamo per la perdita di una persona cara. Abbiamo introdotto, nel corso degli anni, questa persona cara nel nostro sistema nervoso, essa fa parte della nostra nicchia. Le innumerevoli relazioni stabilitesi fra lei e noi, e da noi interiorizzate, la rendono parte integrante di noi stessi. Sentiamo il dolore per la sua pedita, come un'amputazione del nostro io, cioè come la soppressione brutale e definitiva dell'attività nervosa (di una parte, si può dire, del nostro sistema nervoso, dato che la sua attività è sostenuta dalla materia biologica) che avevamo ricevuto da lei. Non piangiamo lei, ma noi stessi. Piangiamo quella parte di lei che era in noi e che era necessaria al funzionamento armonico del nostro sistema nervoso. Il dolore "morale" è il dolore di una amputazione senza anestesia.


Se le cose stanno così (e mi riesce difficile pensare diversamente), gli esseri umani si sono attrezzati interiormente per reggere a questa "amputazione senza anestesia".

Un mio cugino è stato nove anni in India per lavoro. L'India è tutto ed il contrario di tutto. Li ha visti, i funerali. Arrivano i parenti e gli amici, ognuno con un ciocco di legno per il falò. A cose fatte, mangiano tutti insieme, e sono i parenti più stretti che offrono il pranzo. Non fanno finta di mangiare, mangiano proprio abbondantemente.

L'ostessa ladina che ci ospitava perse un figlio di tre anni. Dolore terribile. Eppure, senza saper niente dell'India e di mio cugino, preparò con estrema cura un pranzo abbondante per tutti i partecipanti.

E' la vita che non ci sta, ad essere amputata, che reagisce e fa bene a farlo, è giusto che sia così. Non sono considerazioni di opportunismo è che c'è bisogno di una risposta che sorge dal profondo di noi stessi. Credo che agli amici di Roby sia successa una cosa del genere e che sia sorta con assoluta naturalezza. La vita chiede di essere accettata ed è giusto risponderle di sì.

grazie e saluti
Solimano

Barbara Cerquetti ha detto...

Secondo me si può giudicare (e neanche sempre) solo qualcosa che si conosce, e che si conosce bene.
Forse l'unico vero giudizio che possiamo dare è quello su noi stessi. Ma ci vuole un pochino di coraggio per farlo.
Un augurio a queste due persone per un futuro sereno.

Anonimo ha detto...

sulle agapi funerarie:
a distanze siderali dalle Indie, a Monza,
la famiglia, con una vasta scelta di amici
rende ogni anno omaggio alla memoria di U.
mangiando e bevendo
seduti a una lunghissima tavolata,
proprio come lui avrebbe voluto e apprezzato.

su quelli che non capiscono e prendono le distanze
e' bello che almeno i figlioli abbiano capito,
spesso e' proprio da loro,
a volte per interesse,
a volte per ottusita',
che vengono le incomprensioni peggiori.

alla nuova coppia auguri di cuore
e tanta fortuna
a

Roby ha detto...

Solimano, il brano di Laborit -che avevi già citato altrove- non cessa di affascinarmi e di consolarmi...

Barbara, verissimo: io di solito sono indulgentissima con gli altri e inflessibile con me stessa, cui atribuisco spesso le colpe dell'intera umanità!

Alberto, bella l'immagine della tavolata in memoria di un amico!

Zena, Giulia, Silvia... di nuovo un saluto e un abbraccio corale da

R.