mercoledì 17 febbraio 2010

La moglie di Putifarre (9)

Solimano

E' indubbio che il grande secolo per la rappresentazione della storia biblica della moglie di Putifarre (la nostra amica Zuleykha) sia stato il Seicento, difatti fatico ad uscirne, anche se ho già inserito due opere del Settecento, quelle di Nattier (1711) e di Falciatore (c.1760). Così inserisco in apertura ancora due quadri del Seicento. Sul primo, che è al Fogg Art Museum della Harvard University (c.1630 230 x 197 cm) ci sono state discussioni, perché si tendeva ad attribuirlo ad Artemisia Gentileschi per quell'aria di vendicatività sessuale e di robusto erotismo che esprime questa Zuleykha. I due personaggi hanno le mani vicine, ma non si toccano. Praticano il tiro alla fune usando il manto, cosa che abbiamo già visto. Oggi, l'attribuzione prevalente è a Paolo Domenico Finoglio, un pittore meno noto di Artemisia. Sul gruppo dei due (amanti? contendenti?), incombe un grande tendaggio rossastro e opaco. che dà il tono alla situazione.

Il secondo quadro è successivo, attorno al 1660 (118,5 x 136 cm). E' a Rovigo, alla Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi. L'autore è Girolamo Forabosco, che non lascia spazio a tappeti, tendaggi, cagnetti, gattoni, vasellame, nature morte. Sta felicemente sul tema: la bruna Zuleykha che si mangia letteralmente con gli occhi il biondo Giuseppe, un ricciolone ben vestito, ma pudicissimo. Una Zuleykha fra le più belle, di un erotismo non malizioso ma diretto, concreto. La nudità non totale per paradosso ne esplicita ancor meglio la beltà: alla possibile liaison è pronubo lo strano ma ben trovato incrocio di braccia e di mani.
Avrei più di una decina di quadri da inserire, soprattutto del Seicento, ma anche del Cinquecento. Opere non trascurabili, reperibili soprattutto nella Fototeca di Federico Zeri. Forse fra un po' di tempo farò una piccola appendice. Ero ansioso di passare al Settecento, chissà il Settecento libertino, pensavo. E invece ho scoperto quello che non mi sarei mai aspettato: praticamente il Settecento non c'è, a parte le due opere che ho già inserito. Che strano... ma forse no: la forza di questo mito è l'essere biblico, nascere religioso. Quando il senso religioso si attenua, tanto vale utilizzare un altro mito antico o le pastorellerie arcadiche. Varrà la pena di tornarci. Per contraddizione, vediamo cosa scriveva verso il 1830 Giuseppe Gioacchino Belli, romano, in un sonetto allegramente erotico:

Tra ll’antre tu’ cosette che un cristiano
Ce se farebbe scribba e ffariseo,
Tienghi, Nina, du’ bbocce e un culiseo,
Propio da guarní er letto ar Gran Zurtano.

A cchiappe e zzinne, manco in ner moseo
Sc’è rrobba che tte pò arrubbà la mano;
Ché ttu, ssenz’agguantajje er palandrano,
Sce fascevi appizzà Ggiuseppebbreo.

Su questo sonetto e sul perché è stato scritto, sciverò un commento. Quello che voglio dire è che dal romano Belli il mito biblico era ancora ben conosciuto.
E nell'Ottocento, come è andata?

Philipp Veit: 1816-17 Affresco in casa Bartholdy, Roma (ora a Berlino, Alte Nationalgalerie)

Sparisce - o quasi - l'erotismo, tutto qui. Non è una perdita da poco. Il pittore tedesco Philipp Veit (1793-1877), fa parte del gruppo cosiddetto dei Nazareni: pittori romantici tedeschi attivi a Roma all'inizio dell'Ottocento. Un atteggiamento religioso arcaicizzante: si ispiravano al Beato Angelico, al Perugino, al primo Raffaello. Questo famoso affresco, distaccato e portato a Berlino nel 1887, fu eseguito per Bartholdy, Console generale della Prussia a Roma.

Antonio Maria Esquivel: 1854 Museo delle Belle Arti, Siviglia

Il quadro dello spagnolo Esquivel è uno strano miscuglio di pietismo e malizia. Giuseppe è un profeta che non vuole perdere tempo con donnette. Un San Giovanni Battista incattivito. Ha ben altro da fare che dar retta ad una bellissima donna, come no, ma evidentemente questa Zuleykha è triste, afflitta, dispiaciuta di avere a che fare con un Giuseppe così. La malizia bigotta di Esquivel si vede dal drappo che copre le vergogne. Sta su, ma come fa a stare su, contro la legge di gravità?

Domenico Morelli: 1861 (60 x 74 cm) Museo di San Martino, Napoli

Il napoletano Domenico Morelli, trova una brillante soluzione per uscire dall'impasse. Si butta sull'esotismo ( e sull'erotismo...) egizio. Sembra che come pitture, vasi e persino come tavolino si sia documentato sulla raccolta di arte egizia del Real Museo Borbonico di Napoli. Però è apprezzabile questa Zuleykha ingioiellata e nuda (per il caldo egizio...) che è rimasta sola col manto scuro del fuggiasco Giuseppe e che sta meditando sul da farsi con gli occhioni sbarrati.


E l'arte moderna? Ho trovato, a fatica, due immagini piccole di opere di Gauguin e di Chagall. Il quadro di Gauguin può essere stato eseguito poco prima di partire per Tahiti. O dopo? Non lo so, per il momento. L'opera di Chagall è un print etching del 1955 (298 x 249 mm).

Ma con Zuleykha non finisce qui...

5 commenti:

Solimano ha detto...

Il romano Giuseppe Gioacchino Belli, nato nel 1791, a venticinque anni sposò per interesse la ricca vedova Maria Conti. Così, raggiunta l'agiatezza, potè cominciare a viaggiare. A Milano andò per tre anni successivi: 1827, 1828, 1829.
Lì gli venne l'idea di mettersi a fare poesie come aveva fatto il milanese Carlo Porta, più vecchio di lui, perché era nato nel 1775. Ma il Porta non c'era più, era scomparso prematuramente nel 1821. Quindi l'incontro (felicissimo!) avvenne solo nella poesia, non nella vita concreta.

Ecco la Sura Caterinin di Carlo Porta:

Sura Caterinin, tra i bej cossett
che la gh’ha intorna e che ghe fan onor,
gh’è quell para de ciapp e quij dò tett
ch’hin degn de guarnì on lett de imperator.

Oh che tett! Oh che ciapp plusquam perfett!
collogaa a voeuna a voeuna de per lor,
sald al post senza zent, senza farsett,
comor, che paren faa da on tornidor.

Per mì sont chì a giugagh el mè salari
che la moeuv pussee usij lee col vardà
che i olter donn cont el voltalla in ari.

Basta dì che mì istess di voeult arrivi
a cercall di mezz’or s’hoo de pissà,
e ghe l’hoo drizz e dur adess che scrivi.

Ad ecco la Nnina di Giuseppe Gioacchino Belli

Tra ll’antre tu’ cosette che un cristiano
Ce se farebbe scribba e ffariseo,
Tienghi, Nina, du’ bbocce e un culiseo,
Propio da guarní er letto ar Gran Zurtano.

A cchiappe e zzinne, manco in ner moseo
Sc’è rrobba che tte pò arrubbà la mano;
Ché ttu, ssenz’agguantajje er palandrano,
Sce fascevi appizzà Ggiuseppebbreo.

Io sce vorrebbe franca ‘na scinquina
Che nn’addrizzi ppiù ttu ccor fà l’occhietto,
Che ll’antre cor mostrà la passerina.

Lo so ppe mmé, cche ppe ttrovà l’uscello,
S’ho da pisscià, cciaccènno er moccoletto:
E lo vedessi mó, ppare un pistello!

Chi meglio dei due, il Porta o il Belli? Non so, io li amo alla follia entrambi. Una cosa è certa: al liceo queste due sonetti non ce li hanno fatti leggere!

saluti
Solimano

Roby ha detto...

La Zuleykha di Domenico Morelli -forse perchè così simile ad una Cleopatra un po' depressa- è la mia preferita in assoluto. D'altra parte, cos'altro aspettarsi da una ex-aspirante-egittologa????

Saluti di profilo

Roby

Solimano ha detto...

Roby, sono d'accordo con te.
Quella di Veit sembra un simbolo di castità (per non parlare di Giuseppe!), quella di Esquivel è una bellacciona - stavo per dire bonazza - pagata per andar dietro ad un Giuseppe antipaticissimo.
Quella del Morelli - a parte l'esatta analogia con Cleopatra - è ben ambientata in un Egitto credibile... vien voglia di andare a trovarla per fare due... chiacchiere.
Eh, l'Ottocento mezzo romantico mezzo clericale... meno male che poi è arrivata l'Olympia di Manet. Però, se vai a vedere l'immagine purtroppo piccoletta della Zuleykha del Forabosco, vedi che nel secolo sudicio e sfarzoso (Manzoni) le idee le avevano meno offuscate dall'amore comandato (Manzoni, a ridaje!).

grazie e saluti Roby, gemellina egizia!
Solimano

Roby ha detto...

Ed invece, fra tutti i Giuseppi che hai presentato nella tua serie putifarresca, non ce n'è uno che mi garbi davvero. Mi sembrano tutti o bambini paffutelli, o insipidi imbolsiti, o giovini effeminati... Mah! Sono una dai gusti difficili!

R.

Solimano ha detto...

No, Roby, non è perché tu sei una dai gusti difficili (chi lo sa?) è che molto semplicemente hai ragione!

La parte del casto Giuseppe non può piacere a nessuno, sano di mente e di corpo. Eppure, nella Bibbia c'è un mito del genere, segno chiarissimo di una cultura patriarcale in cui la donna e la roba sono equiparate (vedi i due comandamenti del tutto identici, salvo donna/roba). Quindi avevano bisogno di costruire un mito del genere, e l'hanno fatto.
Ma la storia di Zuleykha continua ancor oggi... vedrai!

Una delle chiavi di interpretazione è il complesso sessuale dell'uomo verso la donna (altro che invidia del pene!)
Poi c'è la vendicatività, che forse è caratteristica più femminile che maschile, difatti uomo/pugnale, donna/veleno. Sulla vendicatività ne ho viste sul lavoro alcune formidabili, tipo andare a frugare nei cestini della carta sotto le scrivanie per trovare qulcosa contro un'altra donna. Un comportamento non raro nella vita reale, che è quasi peggio del frugare nelle email altrui che succede in rete: occhio alle password, ma la Polizia postale mi ha spiegato come fa per identificare.

Eppoi, l'uomo che fa finta di scappare vabbè, è una mossa, ma l'uomo che scappa davvero... suvvia! Contro la biologia, l'antropologia, l'etologia, contro tutte le gìe.

good night, Roby
Solimano