martedì 26 gennaio 2010

Edward Hopper - La luce sulla parete

Gauss

Ancora per pochi giorni, fino al 31 di gennaio, a Milano spopola Edward Hopper. L'altra domenica, una coda in doppia fila si allungava per almeno cento metri, quando ci siamo presentati per una visita prenotata, e quando ne siamo usciti di nuovo sul cortile di Palazzo Reale, si era allungata del doppio.



Second story sunlight (Secondo piano al sole), 1960
Una luce intensa batte sulla parete di una casa solitaria al margine di un bosco. Una donna anziana è attenta alla lettura di un giornale. Una ragazza in costume volge lo sguardo verso un punto imprecisato.

Il fascino di Hopper sta nella sua minimale semplicità, la sua pittura si propone all’osservatore con soggetti e scene di lettura apparentemente agevole, scorci urbani, ambienti interni, paesaggi rurali e marini, personaggi in assorta immobilità. Luoghi, situazioni e figure di ordinaria quotidianità, che è facile riconoscere e in cui è facile riconoscersi. Ma a guardarli provi una strana sensazione, una curiosità, un turbamento, quasi che quelle immagini alludano a un segreto, senza svelarlo. Più le osservi, più ti sembra che siano loro a osservare te, a interrogarti, a chiederti di decifrarle - perché quella parete è così luminosa, da dove viene la luce che le batte contro, e chi occhieggia dietro quella finestra, a chi o a cosa è rivolto quello sguardo, qual è il motivo che ha portato quell’uomo e quella donna a ignorarsi allo stesso tavolo di un bar – e se tenti una risposta, e magari riesci anche a dartela, sai che è soltanto la tua risposta, e che altre sarebbero altrettanto plausibili.


Morning Sun (Sole di mattina), 1952
Una donna di mezza età (la modella è sempre la moglie Jo), seduta sul letto di una stanza sterile e disadorna, guarda verso il nulla. La luce proietta su una parete nuda il profilo di un'ampia finestra aperta sulla città.


Dopo un’ora e più di pellegrinaggio attento e stupito fra qualcosa come 150 disegni, oli e acquarelli, lasci la mostra con le uniche certezze della solitudine, del silenzio, dell’attesa, dell’incombenza di una drammatica sospensione che li accomuna.

Dell’enigmaticità della sua arte era sicuramente consapevole anche Hopper. Diceva di dipingere “quello che sento, non quello che vedo” ed è memorabile per icasticità la risposta che diede alla richiesta di qualche parola di spiegazione delle sue opere: “Se si potesse dire a voce non occorrerebbe dipingere”. Una risposta che fa a gara con quella del famoso compositore (o forse esecutore, di cui peraltro non ricordo il nome) che, sollecitato dopo un concerto a illustrare che cosa avesse voluto esprimere con la sua musica, non si fece pregare e la eseguì di nuovo al pianoforte.


House by the railroad (Casa sulla ferrovia), 1925
Il Bates Motel del film Psycho di Alfred Hitchcock, 1960

Un edificio solitario e misterioso tagliato alla base dalle rotaie in primo piano. Chiaroscuri taglienti sulle pareti esterne e una parvenza di vita interna segnalata dalla tenda rialzata di qualche finestra.

Hopper non è un improvvisatore, le sue opere seguono una sceneggiatura studiata negli innumerevoli schizzi, disegni di dettaglio, annotazioni di cui ha riempito i suoi taccuini. Come un regista sul set, atteggia il soggetto nella posa in cui lo vuole ritrarre, predispone l’ambientazione nei minimi dettagli, posiziona le sorgenti di luce – è uno straordinario manipolatore dello spazio e della luce - e fissa la scena in un metafisico fermo immagine (inevitabile l’accostamento alle piazze di De Chirico). Il cinema affascinò Hopper e reciprocamente la congenialità della sua arte al cinema fu colta da grandi registi americani, fra i quali il suo amico ed estimatore Alfred Hitchcock che volle letteralmente copiare dalla sua House by the Railroad la terrificante casa di Psycho. Un capolavoro per un capolavoro.


Pennsylvania coal town (Cittadina mineraria in Pennsylvania), 1947
Un uomo calvo rastrella il prato di casa. La sua figura si staglia su una parete illuminata da una sorgente ignota, verso la quale protende lo sguardo.
L'unica opera di Hopper con il lavoro manuale come soggetto.

L’universo hopperiano è profondamente ma non convenzionalmente americano, la sua è un’America lontana dall’affollamento delle metropoli, modeste case vittoriane non l’Empire State Building, deserte stazioni di rifornimento al posto delle highways intasate di automobili, anonime stanze di motel, torri del faro, fattorie, un’America individualista, solitaria, silenziosa, riflessiva, laicamente protestante. Si potrebbe dire che Hopper vede lo straordinario nell’ordinario, un’aspirazione minimalista sinteticamente espressa dalla sua confessione: “Quello che vorrei dipingere è la luce del sole sulla parete di una casa”.

Gauss

22 commenti:

Solimano ha detto...

Gauss, noi pretendiamo di far passare attraverso alle parole tutto: pittura, musica, cinema etc.
Le parole servono, come no. Ma il pianista che riesegue la musica per rispiegarla fa un'operazione corretta, non uno sfottò.
Le parole debbono essere al servizio, di cose da dire e da sapere ce ne sono tante, ma non sostitutive. L'olio lubtificante non va confuso con la benzina e il menu con il cibo. Aveva ragione il freddo e furbo Moravia, che quando gli chiedevano di fare un film da un suo libro, cercava di ottenere più soldi che poteva e non metteva bocca nella sceneggiatura né dava consigli al regista. Difatti, dai suoi libri uscirono degli ottimi film, mentre quelli fatti con l'occhiuta collaborazione degli scrittori dei libri, se va bene, sanno di... libresco, non di film.
La pulsione a mettersi davanti all'opera è fortissima. Basta guardare i testi della Divina Commedia su cui abbiamo studiato al liceo: due terzine per pagina, tutto il resto note.
Non riuscirò a vedere la mostra di Hopper (che è fra i miei prediletti), peccato. Ne faranno un'altra fra cinquanr'anni e sicuramente ci andrò.

grazie Gauss e saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Allora ci andremo insieme Solimano perchè anch'io purtroppo non riuscirò questo giro. E poi mi assale l'angoscia, ammirare delle opere con 500 pensone dentro e 500 persone fuori che aspettano. E' difficile cogliere, attorniati dal caos, anche fosse silente, che silente non è mai. Per certe cose ho bisogno di raccoglimento, perchè per me è religione:)
Questi post sono per me ossigeno puro. Mi mettono di buon umore, perciò ringrazio. Hopper mi piace molto. Mi piace lo studio della luce, sempre forte, sempre presente, sempre cruda anche quando è un tramonto. Hopper il suo disagio lo trasmette così, con questa luce sfacciata, che sbatte sulle superfici liscie e grandi, prive di ogni riferimento vitale, perchè tutto il niente che illumina, in realtà cova dentro, sta dietro, è nascosto. Ognuno che guarda, percepisce il tutto che vuole. Hopper dai coni illuminati sulla solitudine rassegnata, azzera ciò che è intorno, la vita brulicante e apre al silenzio. Hopper è il pittore della luce sul silenzio. Un binomio potente e utile per comprendere il mondo che ci attraversa e che noi attraversiamo come possiamo.
Buona giornata

Anonimo ha detto...

Amo molto Hopper. Mi dispiace non poter vedere la sua mostra. Trovo che Hopper sembra porre i suoi personaggi al centro di una vicenda che sembra senza esito, in una realtà cristallizzata, in un contesto irreale di un non-luogo regno dell'incomunicabilità.
Ma la luce è incredibile.
Grazie per questo post

Gauss ha detto...

Solimano, a proposito di Divina Commedia, la sai quella del professore che, all'esame di maturità, prima legge allo studente che sta esaminando questi due versi:
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse
quel giorno più non vi leggemmo avante
,
per poi chiedergli: "ecco, me li dica con parole con sue", e riceve questa risposta: "ringrazio della stima ma tutto sommato mi pare che vadano bene quelle di Dante"?

Silvia, proprio così, luce e silenzio e, aggiungo, solitudine. Felice di aver contribuito al tuo buon umore, ti ringrazio del bel commento.

Giulia, è vero quello che dici, i soggetti delle opere di Hopper, anche di quelle senza personaggi, sono rinchiusi in se stessi, come se l'atmofera che li avvolge fosse isolante, e l'incomunicabilità si taglia col coltello.

A tutti e tre, non è il caso che aspettiate cinquant'anni, la mostra si sposta da Milano a Roma, il 14 di febbraio riapre in via del Corso. Adesso che c'è la (o il) TAV!

Gauss

Silvia ha detto...

Porca paletta! Vuoi vedere che è la volta buona che vado a Roma? Grazie:)

Anonimo ha detto...

nella mia qualità di vicepresidente
del comitato internazionale
per la valorizzazione della paletta,
protesto VIBRATAMENTE

Silvia ha detto...

Chiedo perdono, VP del C.I.V.P.
Non era mia intenzione vibrare un colpo così offensivo alla Paletta.
Le chiedo la cortesia di leggerlo più come modo di dire, del tutto privo di significato intrinseco ed estrinseco, per nulla riferito alla Sua Paletta preferita, che sono certa, sia espressione di vibrante bellezza.
I miei ossequi.

Roby ha detto...

Oltre a quello della paletta esiste per caso anche un CIVR (=Comitato Internazionale per la Valorizzazione del Rastrello)?

In ogni caso, le immagini di Hopper sono da ammutolire, e la notizia che sarà a Roma per S.Valentino (scusate... inguaribile romantica!) è addirittura da svenire.

Rastrellate e palettate affettuose a tutti

Roby

Anonimo ha detto...

falce & martello,
paletta e SECCHIELLO
il rastrello che ci azzecca?

Roby ha detto...

O Alberto, mi meraviglio: sulla spiaggia non giocavi anche te con paletta, secchiello e RASTRELLO???? Per tacer delle formine...

[;->>>]


R.

zena ha detto...

E' proprio la luce sulle pareti a colpirmi.
Eppure non ne sento il calore, quasi ci fosse sopra una vernice vetrificante, che mi tiene al di qua, per non sciupare la perfezione della solitudine: superficie specchiante, levigata e scivolosa.
E questo accresce il senso di mistero.

E' bellissimo questo pezzo.
Grazie.

p.s.
Silvia, ci andiamo per davvero, a Roma?

Solimano ha detto...

Al di là del fatto di andare o non andare a vedere la mostra di Hopper a Roma, per me - parere del tutto personale - sarebbe utile e gradevole che ci trovassimo da qualche parte, noi, persone di questo piccolo giro di Stanze all'aria.
Non in ottica di che bello che bello vedersi in faccia, ma una cosetta un po' organizzata come argomenti. Poi si ride si scherza se magna, come no, però... però... da bieco opportunista dico che l'opportunità primaverile la vedo.
Quindi mi sto guardando in giro per comprare un kit completp per ogni partecipante: falce-martello, secchietto-paletta, rastrello-formine. Serve qualcosa d'altro?
Ah, un'altra possibilità sarebbe che ogni parteipante avrebbe il diritto a portare un'altra persona a sua scelta esclusiva, proprio chi vuole lui... e ne vedremo delle belle, eh sì!
Il posto si trova, ma la conditio sine qua non è che bisogna dormire fuori casa una notte: si arriva la mattina del primo giorno, si riparte il pomeriggio del secondo giorno.
Pian piano, è un chiodo che batterò.

saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Sarebbe bellissimo Zena:)* Guarderò permanenza e orari.

Roby ha detto...

Solimano carissimo, sarebbe una bella idea ma...lo sai, sono timida come una viola mammola... il contatto faccia-a-faccia mi spaventa...

R.

Solimano ha detto...

Furbissima Roby, ho capito il movimento... Stai mettendo le cose in modo tale che a noi nordisti tocchi passare la Linea Gotica e riunirci a Firenze, così ci ospiti tutti e ci presenti al Conte Della Gherardesca e alla Marchesa Tornabuoni. Guarda che potremmo persino accettare. Se ti legge Barbara, che sta laggiù a Civitanova... laggiù così per dire, sappiamo tutti che i marchigiani sono parenti stretti degli svedesi.
A quel punto facciamo un pulmino con partenza a Monza, aspettiamo Giulia prendendo su Silvia, Zena e Màz lungo la strada. Vedremo.

cari saluti, Roby
Solimano
P.S. Per Barbara mando un mio amico, pilota di piccoli aerei. Si dovrà buttare col paracadute, ma non si tirerà certo indietro.

Roby ha detto...

Perfidissimo atque vigliaccherrimo Solimano, ti diverti da matti a mettermi in difficoltà!!!!

Vorrei odiarti, ma non mi riesce...


[;-@] [:-X] [:->>>]

R.

Gauss ha detto...

Roby, [;-@] e [:-X] li ho tradotti al volo, ma di fronte a [:->>>] mi sono arenato. Non è che per caso significa bischero chi legge?

Gauss

Roby ha detto...

Caro Gauss,
l'idea che la sottoscritta vorrebbe rendere tramite il geroglifico in questione sarebbe più o meno qualcosa di simile ad un grande, ripetuto, larghissimo SORRISO!!!!!

[:->>>]

PS: più >>> metti, più allarghi il sorriso!

PS2: piuttosto, da che accipispole deriva "Gauss"? Abbreviazione? Dialetto? Lingua estera?

[:->>>>>>]

R.

Gauss ha detto...

Acqua! Roby, Carl Friedrich Gauss, (Braunschweig 1777 - Gottingen 1855), princeps mathematicorum.

Gauss

Roby ha detto...

Oh mamma, Gausssss.... Addirittura princeps!!! M'inchino con deferenza...

[;-P]

R.

mazapegul ha detto...

Hopper: non è un caso che Hopper passò del tempo in Francia, e vi tornò, ma non fu mai interessato a fare dei viaggi in Italia. La sua arte è totalmente (e divinamente, direi) anti-italiana. Manca della simmetria; o della ricercata anti-simmetria, dell'artificio, o del rifiuto dell'artificio; del tono alto, come di quello basso. Di tutte i nostri dogmi, e delle conseguenti antinomie, Hopper si disinteressò sempre. Forse per questo ci pare così enigmaticamente naturale.
(Hopper è visivamente citato nell'ultimo film di Kubrick, ahimè: con final cut di Spielberg, che per esser rispettosamente filologico ne ha fatto un film freddo; o così mi parve).

Vederci a Firenze! Gradioso. A quando la lieta rimpatriata?

Maz

Solimano ha detto...

Màz, condivido in gran parte la tua osservazione su Hopper felicemente estraneo alla cultura italiana. Ti dico la piccola parte che non condivido.
Della cultura italiana fa parte Piero della Francesca, con l'impersonalità rappresentativa e la sezione aurea, Paolo Veronese, col tranquillo Paradiso Celeste e Terrestre della villa di Maser e la grandezza di Giambattista Tiepolo l'ha ben raccontata Roberto Calasso nel suo libro Rosa Tiepolo. Un'altra Italia, molto minoritaria, questo sì.

Kubrick? Ho qualche dubbio, sullo sguardo di Stanley Kubrick. Nell'ultimo film, compaiono i quadri della moglie pittrice e persino il Settecento mirabile di Barry Lindon a volte lo sento gelido (non è un bell'aggettivo, specie se riferito al Settecento). Sono più vicino al Tom Jones di Tony Richardson.

Firenze? Ti dico la mia: credo che non si farà, e ho imparato a non insistere per fare le cose che non hanno probabilità di farsi. Dirlo una volta va bene, sirlo due volte può essere anche troppo. Sarebbe bello e utile, sì, ma non è aria. Non per come andiamo qui, ma in generale, per un motivo che conosco da anni, e che in fondo conosci anche tu, ti ricordi il "Siamo pochi e irrilevanti" sventolato come fosse una bandiera?
Meno male che non gli ho dato retta (al di là della simpatia per le persone). Fare, far bene, far serio e allegro dà fastidio e quindi mi muovo secondo le mie personali scelte di priorità e di fattibilità. Centripeto, se possibile generoso. Il che non vuol dire che fra noi non ci vedremo, spero proprio di sì!

grazie Màz e saluti
Solimano
P.S. Hai notato certamente qual è il biglietto da visita usuale in rete e nei blog: "Non prendiamoci troppo sul serio". Ebbene no, io mi prendo sul serio, quindi anche sull'allegro: serio-allegro è un ossimoro che funziona, come popolare-colto.