martedì 8 dicembre 2009

L'italiano esemplare

Solimano

- E' proprio un omino: a sette anni
si vergogna già di essere italiano.
Molino, "Candido", 1946

Così scriveva Giovanni Guareschi in "Italia provvisoria" Rizzoli, Milano 1947:

"Il signor X - comincia la nostra storiella - doveva andare a Torino. Perciò disse alla moglie che andava a Bologna ed uscì". Cammina in fretta, attraversa il giardino pubblico, ma presto si ferma di fronte ad un cartello che dice "Proibito calpestare le aiuole". Allora attraversa brontolando l'aiuola inzaccherandosi fino al ginocchio, poi attraversa la strada col semaforo rosso, sale sul tram dalla parte riservata alla discesa, litiga col controllore urlando Lei non sa chi sono io!. Ed ecco il signor X alla stazione, di fronte ad un altro cartello con il divieto di attraversare i binari che lo costringe a fare un lungo giro per potere attaversare il binario e arrivare al treno dalla parte dove è vietato salire. E' capitato in uno scompartimento dove c'è qualche posto libero e si siede. Ma presto ha un orribile sospetto. "Che classe è?" "Seconda". Si alza sbuffando: ha il biglietto di seconda! Gira tutto il convoglio per trovare la prima classe, ma quello è un treno che non porta la prima, "e allora il signor X non potendo, per ragioni morali occupare il posto di seconda a cui gli dava diritto il biglietto di seconda, viaggiò in terza". Durante il viaggio guarda con tristezza lo scompartimento malridotto. "Prima almeno era proibito mettere i piedi sui sedili - sospira - adesso ognuno può fare il comodo suo e non c'è più gusto a viaggiare." Esce sul corridoio, sputa sul pavimento, cerca un pezzetto ancora pulito di parete del treno da imbrattare con lapis e temperino, si serve della ritirata quando il treno è fermo, finché - aggirandosi stancamente - ha un sussulto di gioia. Ha letto su un cartello: "Lavori in corso sul ponte di Piacenza. Proibito sporgersi". "Attese ansiosamente di arrivare al Po, e appena il treno imboccò il ponte, si cacciò fuori dal finestrino fino alla cintola, batté con la zucca contro una putrella e vi rimase secco."
La storiella non finisce qui. Ritroviamo il signor X davanti alla porta del Padreterno dove c'è un marmo su cui sono incise queste parole: Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori che me". "Viva Maometto!" grida allora l'anima del dignor X piombando nell'inferno, e mentre le fiamme lo avvolgono grida soddisfatto: "Li ho fregati tutti! Anche il Padreterno!"

Giovanni Guareschi, l'8 settembre del 1943, era ufficiale ad Alessandria e con vari altri ufficiali rifiutò di prendere posizione a favore del Reich o della Repubblica di Salò. L'esperienza nei lager (Czestochowa e Beniaminovo in Polonia, Sandbostel e Wietzendorf in Germania) fu traumatica. Così scrisse nel suo "Diario clandestino" Rizzoli, Milano, 1949:

"I miei trentacinque anni mi guardano stupiti, mi sembra di veder piangere un bambino. Mi sento abbandonato da tutti, anche da me stesso, anche dalla mia carne, perché pure la mia carne sembra appartenere ad un passato lontano. E invano attendo che qualcuno appaia nel rettangolo della porta".

A Beniaminovo, con Roberto Rebora, Giuseppe Novello, Giuseppe Lazzati, Enzo Paci, Silvio Golzio ed altri, dà vita ad un teatrino nella baracca 18: "Bertoldo parlato e sonorizzato". In Italia nasce la figlia Carlotta (la Pasionaria). Guareschi si trasforma in squinternato paroliere, e immagina la figlia sul balcone, intenta a cantare una roba come questa:

Chi sa chi sa come sarà
questo famosissimo marito di mammà
forse avrà i baffon, la pipa ed il baston
e gli occhiali col cordon
chi sa chi sa che scassatissimo papà.

Guareschi aggiunge: "Una cosa da far rabbrividire tanto più che, rivestita di musica, la patetica scemenza diventò il successo canzonettistico dell'estate 1944 e la si sentiva cantare un po' dappertutto per il campo".

Guareschi riesce a tornare in Italia solo nell'autunno del 1945. Pesa poco più di quaranta chili, quarantasei in meno di quanto era partito.
La sorpresa dolorosa è sul treno di ritorno in cui sono stipati come lo erano stati all'andata. Nelle stazioni, la gente li guarda con indifferenza se non con sospetto. Ai richiami degli ex prigionieri molti voltano le spalle.

(Informazioni tratte dal libro di Adolfo Chiesa "La satira politica in Italia" Editori Laterza 1990).

Disegno di Tullio Pericoli (1990)
Acquerello e china su carta

5 commenti:

zena ha detto...

Riflessione sottovoce e anche un poco fuori tiro.
Confesso, e so che è un limite tutto mio, di non riuscire ad appassionarmi a Guareschi.
Parlo della sua scrittura, ovviamente: ci trovo una puntina di generalizzante cinismo che mi allontana...
Gramsci distingueva fra l'ammirare e l'amare: il primo verbo presuppone stima, il secondo segnala un'adesione anche affettiva...
Ecco, io ammiro la capacità narrativa di Guareschi,rispetto la sua storia e il suo spessore umano,.... ma amare (letterariamente) uno scrittore è altro ancora.

Anonimo ha detto...

"I miei trentacinque anni mi guardano stupiti", credo di comprendere molto bene quello che vuole dire in questa frase. L'ho sentita dire in modi diversi da chi si è visto rubare la giovinezza.
Come ho letto e sentito dell'indifferenza della gente al loro ritorno. C'è un libro della Duras: "il dolore" che ho trovato di una sincerità disarmante.
Ma come stupirsi che potesse succedere allora, quando l'indifferenza e non solo quasi la "ripugnanza" per chi soffre à sempre accanto a noi?

Anche io, come Zena, non amo molto questo scrittore anche se ne riconosco i meriti

Barbara Cerquetti ha detto...

Io conosco solo i film di Don Camillo, che mi piacciono tantissimo... ma ammetto l'ignoranza di non aver mai letto una riga dei libri.


Tristissimo definire un padre come "il famosissimo marito di mammà". Però rende bene l'idea della separazione, con tre parole.

Solimano ha detto...

1.Il brano di Guareschi da cui sono partito, è un brano a suo modo acuto, perché l'osservazione che l'anomia del carattere italiano ha un fondo di autolesionismo è esatta, mentre generalmente si dice che gli italiani sono anomici perché fanno i furbi. No, sono anomici perché non si stimano e non si vogliono bene. Da cui il collegamento con la vignetta soprastante di Walter Molino, col ragazzino che si vergogna di essere italiano.

2. Vedo una grande differenza di livello fra questo brano di Guareschi ed i due che ho già messo di Giovanni Mosca (Paolino che non ferma i cavalli imbizzariti e Come sono le bellezze del Gargano? Ignote).La differenza è tutta a favore di Mosca: più sottilmente ironico, più spiritoso, lieto, non cinico, vitale, non a rischio di qualunquismo.

3. Dei film su Don Camillo e Peppone mi divertì molto il primo, ma il merito lo vedo soprattutto in Fernandel e in Gino Cervi.

4. Scrivendo il post, sono venuto a conoscenza della storia di Guareschi nel lager e del ritorno (la guerra finisce in primavera e lui riesce a tornare in Italia solo in autunno). E qui, oltre ad un dramma personale c'è un dramma del paese, perché non fu tenuta nel debito conto la situazione di chi si era rifiutato di servire il Reich o Salò finendo nei lager tedeschi (come ciò che accadde a Cefalonia fu rimosso per anni, e fece bene, Ciampi, a riparlarne). La vergogna per l'8 settembre (perché fu una vergogna) travolse ogni altra considerazione. Sull'uomo Guareschi in quel frangente, provo la stessa pietà addolorata -perché è così- di Barbara e di Giulia.

Infine, condivido la distinzione di Zena, fra amore e ammirazione, e l'ho ben presente in pittura: amo Rubens e Hals, ammiro Rembrandt e Vermeer, amo Crivelli, ammiro Mantegna. Lo zoccolo duro è l'ammirazione, che ha un che di oggettivo, l'amore è un dippiù che sorge nella nostra soggettività. Posso dire che ammiro Petrarca ed amo Dante (che dovrei ricominciare a leggere...)?

grazie e saluti
Solimano
P.S. Però, come vignettista Guareschi a volte era strepitoso, e forse riuscirò a farne qualche esempio.

mazapegul ha detto...

Un libro di Guareschi ce lo lesse mio padre quell'anno in cui aveva deciso di fare le letture serali. (Ci lesse anche un paio di canti dell'Orlando Furioso, poema che m'è rimasto caro sino a oggi; e Tre Uomini in Barca).
Don Camillo ci faceva sbellicare dalle risate. Più tardi, alle medie, me lo lessi da solo, avendolo trovato in uno scaffale e avendone un buon ricordo.
Non ho più letto niente di Guareschi in seguito. M'è rimasto inmente come una presenza affettuosa. Magari un giorno lo rileggerò per le figlie.

Non conoscevo la storia della prigionia. Non mi stupisce che Guareschi abbia avuto anche una sua grandezza personale, come l'ebbe Montanelli, un altro individualista (non troppo) disincantato. Gesti di coerenza borghese, quelli che in Italia non sono mai riusciti a diventare fenomeno borghese di massa (s'è molto dannunzieggiato, piuttosto; chissà se anche Montanelli e Guareschi lo hanno fatto, da giovani).

Ciao e grazie,
Maz