lunedì 21 dicembre 2009

285 quadri, cornici escluse

Solimano


"Turner e gli impressionisti" a Brescia
di Primo Casalini

La neve azzurra
Una felice combinazione mi ha consentito di andare con alcuni amici in pullman - corriera, per capirsi - a Brescia, per la mostra "Turner e gli impressionisti". Se si vuole che una mostra abbia successo, gli impressionisti ci debbono entrare - a torto o a ragione - e qui ci sono 150 quadri loro, sui 285 totali. Mostra oceanica, eccessiva, è stato detto con ragione. Ma basterebbe la neve azzurra di Sisley, il più grande dei piccoli maestri, a giustificare tutto: viaggio, spesa, mal di piedi, guida giovane però dottissima, auricolari, catalogo di dieci chili, scritte altosonanti sui muri, con arrampicate verticali per asserire che Turner è lo zio di Monet e Constable è il nonno di Pissarro. Nella mostra l'effetto è strano, a volte: opere maggiori di artisti minori mischiate con opere minori di artisti maggiori. Non solo: quattro metri quadri di olio su tela con a due passi un acquerello su carta di dieci centimetri per venti, però con cornice grande. Claudio ascolta con fermezza solerte la giovane guida femmina, Vitalina pure, però ha bisogno di muoversi all'interno del gruppo, Giorgio si aggira e si ferma dieci metri prima o dieci metri dopo, tutti sono dotati di auricolare, io, che mi aggiro come Giorgio, l'auricolare non l'ho preso, bastian contrario in aeternum, però vedo che le labbra - pregevoli - della guida non stanno ferme, continua a parlare seria seria. C'è pure Millet, solo due/tre opere, una più commovente dell'altra, con quella sua atmosferica religione. Anche Courbet è presente, la sua la dice forte e dura come sempre, ma opere di quelle scure e nessuna delle sue grandi marine. Compatta e felice la scelta di quelli che attorno agli impressionisti si aggiravano prima, durante, dopo: Caillebotte, Daubigny, Boudin, Gillaumin, ognuno con la sua voce a volte piccola, mai timida. C'è uno, fra i corrieranti, forse un po' sordo, che interloquisce a voce alta, sssttthh! dicono le signore brianzole, la voce si abbassa immediatamente. Qualche Van Gogh, qua e là, di quelli con rigoni di colore verdi, bianchi, rossastri, marroni, a simulare rami, tetti, fiori, tronchi, persino nuvole. Un Bernard, uno solo, però bellissimo, persino meglio dei due o tre Gauguin che gli stanno vicini. Le corrieranti - tutte - hanno dovuto lasciare borse e borsette al guardaroba, alcune hanno cercato di sottrarsi - la borsetta è sostanza non accidente - ma la vigilanza bresciana è feroce, hai visto mai che sparisse un acquerello piccino appena giunto dal Tennessee, coperto sì da polputissima assicurazione, ma sai il dispiacere dei farmers. Il luogo della mostra non è fatto di saloni, bensì da corridoi lunghi lunghi con i quadri appesi sui due lati, che non capisci se fare il di qui e di là o l'avanti/indietro. Cinquanta metri dietro di noi c'è l'altra metà della corriera, ci hanno divisi in due gruppi, un happy end finale ci ricongiungerà. Nel corridoio adiacente si intravede il gruppo precedente, una scolaresca - maschi e femmine mischiati - vivacissima però attenta, salvo qualche risatona che scoppia ogni tanto, sono ragazzi.

Le nuvole vive
Alla mostra non mancano i quadri di chi continuava a dipingere come si era sempre fatto. Ci sono le ultime ninfe, ci sono Ade e Persefone, dopo non ci saranno più, e l'isola dei Feaci, Nausicaa e Ulisse, come se fosse ancora il tempo di Poussin, ma le architetture sono quasi moderne, da fine Settecento. Ci sono le greggi, ogni pecora bruca a modo suo l'erba coi fiori, al margine del prato in salita comincia il bosco, le piante sono ricche di fronde, le foglie non si confondono l'una con l'altra, ognuna con la sua vita individua. Più giù, vicino al campo di frumento, è accosciato ma tranquillamente vigila il cane pastore, col pelo da barbone ben ripulito. In fondo, dove finisce il frumento, altro bosco, ancora più in là sbucano case, chiesa e campanile. Neoclassici? Accademici? Non credo, vincitori di Salon forse, attorno al 1848 ma anche dopo, se non vinceva la Venere più Anadiomene. Artisti tranquillamente operosi, lieti di metterci mesi e mesi per i loro capi d'opera, ci sto bene col loro mestiere splendido e onesto. C'è Corot, che sa a chi deve piacere, inserisce figure a cui la sua luce aggiunge il dono di una grazia ammanierata, ma nei boschi e nei prati si sente la particolare giornata in cui li dipinse; ogni tanto, nei piccoli paesaggi della campagna romana, è bello senza bellurie: pochi colori di costruzioni antiche e nuove accostate fra loro, per un altro tipo di clienti, forse. La spiega della guida non è prolissa, ma i quadri sono tanti, ancor più i nessi fra un pittore e l'altro. Qualcuno profitta della sosta davanti al quadro-guida di quel corridoio per sedere su comode panche imbottite ma senza schienale, nessun dorma, il rischio ci sarebbe. Cade qualche auricolare, disincagliandosi fra i lobi delle orecchie, all'interno della mostra nessun telefonino squilla, bella cosa. Degas fa capolino con due quadri, non più, uno coi cavalli di Longchamp che amava. All'inizio della mostra ha avuto luogo il confronto fra Constable, più tranquillo, e Turner più moderno, che osa molto, ogni tanto cade, se succede ai romanzieri perché non ai pittori? Turner prova, sperimenta, guarda avanti, anche molto addietro, cambia anno per anno (gli anni sono riportati nei cartellini, com'è giusto), Constable cresce come un olandese del Seicento, senza cercare la facilità del pittoresco né il drammatico degli alberi fra le rocce, consegue la felicità del vedere sempre meglio quello che ha sempre veduto, salendo però con gli occhi dallo stagno al cielo. Fa anche piccoli quadri di sole nuvole, nuvole vive, che cangiano momento per momento. Nessuno di noi prende appunti, ma nessuno si distrae, che ascolti o non ascolti la guida. La fatica c'è, perché cambiare quadro due/tre volte al minuto non va bene, ma che farci? Non eravamo qui ieri, qui non saremo domani, tocca gustarseli tutti i 285, a non parlare del fatto che ci attende Mondrian, che crediamo di conoscere invece no, ci accorgeremo del tempo che ci ha messo per arrivare ai suoi rettangoli e del perché l'ha fatto. Rimpiango le mie ultime visite a Brera o alla Palatina di Parma: con due ore a disposizione di quadri ne guardavo solo venti. Non più accademici e non ancora impressionisti, molti andarono avanti anni ed anni a dipingere nella foresta di Fontainebleau, a Barbizon, Marlotte e Chailly, alcuni presero casa là in mezzo, ognuno aveva il suo albero-motivo, magari un vecchio tronco morto che però cambiava aspetto da una stagione all'altra, e ci stavano attenti a questi cambiamenti. Erano assai differenti uno dall'altro - c'è un abisso fra Courbet e Millet - di comune avevano la curiosità degli occhi e la disponibilità a cambiare, per restare meglio se stessi.

Il glicine bianco
Nel viaggio da Monza mi hanno raccontato alcune cose riguardo Marco Goldin, il deus ex machina di questa mostra e di diverse altre degli ultimi anni. Mi hanno detto anche delle discussioni che sono in corso, chi è pro e chi è contro. Mi sono incuriosito, cercherò di farmi una opinione mia. Una cosa però l'ho già capita: credo che senza uno come lui la mostra di oggi non sarebbe stata possibile. Io ho le mie idee ed il mio mondo, ma se centinaia di migliaia vengono qui, male non gli fa. Gli altri, quelli che lo criticano, hanno fatto crescere la consapevolezza per le arti? No, e in Italia ce ne sarebbe gran bisogno. La giovane guida continua senza mostrare segni di stanchezza, non è che si regga su una lunga spiega a memoria, che già sarebbe una impresa, ha dentro di sé un data base da cui estrae quel che serve a seconda delle comitive. Un'aria non di entusiasmo comandato né di affaticata pedanteria, piuttosto di professionalità impeccabile, potrebbe spendersi ugualmente per qualsivoglia prodotto ad alta tecnologia. Mi pento di non aver preso gli auricolari, tecnicamente il suo modo di fare mi incuriosisce. Ora è alle prese con le stanze - non più corridoi - dove gli impressionisti sono raggruppati per materie: l'acqua, le città, le case, i giardini. Scelta un po' anomala, ma tutte lo sono, anche quella cronologica lo sarebbe. Impressionisti poi per modo di dire: che ci fa qui Signac? Però sono tre quadri belli, i suoi. Intendo dire che ci sono anche quadri brutti, come c'è a volte bruttezza in romanzi, poesie, musiche di grandi autori. Gli impressionisti erano esposti alla bruttezza, si giocavano un quadro in poco tempo, magari in un giorno solo, in poche ore. Monet, ad esempio, tutti a parlare delle ninfee, ma qui ci sono anche dei tentativi di ninfee mal riusciti, in cui si vede che voleva arrivare a certe cose, ma in quel momento non ci riusciva. Mi guardo bene dal questo sì questo no, ma certe cose i corrieranti le notano, perché dovrebbero farsi piacere ciò che non gli piace - discorso ovvio, non banale però. Aggiungo che abbiamo ormai raggiunto la consapevolezza riguardo i valori ed i disvalori negli impressionisti, di tempo ne è passato da allora, mentre per chi è venuto dopo può essere ancora presto. Ma il grande glicine finale di Monet sbalordisce, così disegnato alla brava, di colore bianco, così apparentemente rozzo, così vivo. Anche Manet - da me amatissimo - ha qui un grande quadro, quasi l'ultima cosa sua: “Un angolo di giardino a Rueil”. Persino Manet ha fatto cose brutte, quando cercava di farsi impressionista pure lui, che era altra cosa: gli uscirono tele confuse, luci e colori che andavano ognuno per conto suo. E Cézanne? Lo si vede qui. Ci sono qui capolavori in cui la cosa è cercata, presa, sentita sulle dita, negli occhi, è tanto più perfettamente rappresentata quanto più le linee vanno alla brava, e i colori cercano una studiata sgradevolezza. Altre volte ci prova ma non riesce, la cosa si sfarina, è un castello di carte che finge la pietra, la luce diviene le luci, ognuna per conto suo, i colori sanno di apposizione posticcia. I ragazzacci che in quei giorni gli tiravano sassi avevano una loro gaglioffa ragione. Ci sarà pure un motivo per cui la gran parte di queste opere non sono mai state viste in Italia, il motivo è che sono pittori con cataloghi sterminati, in cui è saggezza cominciare a distinguere opera da opera. C'è anche, fra gli ultimi, un Pissarro magnifico: “Alberi in fiore. La casa dell'artista a Eragny”, con la sua donna - che la guida chiama convivente, chissà perché - e la figlia sull'uscio di casa, poi altre persone che camminano verso l'interno del quadro e la vegetazione fiorita e verdissima nella via ed attorno alle case.

Gli occhioni di Mondrian
Tiriamo il fiato, i 285 quadri ce li siamo spazzolati tutti, uno per uno, i più studiosi si sono guardati anche le cornici di tanti tipi diversi, a seconda degli sfizi dei privati e dei musei. Ammiro tanta dedizione, io le cornici le ho guardate solo agli acquerelli, sono spesso più vaste del quadro, che se ne sta lì intalpito nella corniciona, ciò malgrado meraviglioso di suo - Turner e Constable al loro meglio. Ma il dovere ci chiama, non è finita, resta Mondrian, che tutti sanno essere quello dei rettangoli e poco altro, io niente addirittura. Invece Mondrian si rivela essere un notevole soggetto, che le cerca tutte per anni e anni per non arrivare ai rettangoli, infine ci piomba dentro (o ci sale sopra?). Parte figurativo, ma lo vedi che da un quadro all'altro cambia modo, è andata bene che non abbia buttato via il quadro fatto il giorno prima, si vede che non era un pericoloso entusiasta, gente iconoclasta quant'altri mai. Credo fosse uno sperimentatore alla ricerca di sé, ricerca però lucida, non affannosa/affannata. Si fa anche beccare dalla teosofia di Steiner, senza portare il cervello all'ammasso, rappresentando i tre gradi della ascesi semplicemente con tre geometriche donne nude: la prima con i capezzoli triangolari con la punta in giù, la seconda romboidali, la terza, fra le altre due, capezzoli triangolari con la punta in su, che è il massimo della vita. A raccontarla così, sembra l'ossessione di un adolescente minus habens, a vederlo, 'sto quadro delle tre donne, è convincente, anche perché la donna al centro, quella finalmente estatica ci sbarra lo sguardo di due occhioni che levati, una supervista da fumetto intellettuale. Ho letto anche un po' della sua biografia, appena faceva un quadro lo assoggettava a critiche dure, ma non lo distruggeva, mica era scemo. C'è anche un suo autoritratto - non avevamo ancora visto nessun ritratto, oggi! - lo si vede uomo forte e concentrato su di sé, per niente triste, orgoglioso - ecco! - di essere immerso nella sua strana ricerca che deve passare attraverso un laico rosario intessuto di che vallo a sapere (giaculatorie? benedizioni? assoluzioni?). Disperato e fiducioso, riservato eppure affetto di una sua tromboneria giovanile non so se furba o ingenua, certamente da giovinastro intelligente; di suo ha un genio da far scappare la gente, anche i più coraggiosi con uno così non sanno che farci. L'unica è dargli un biglietto di piroscafo perché vada nel Nuovo Mondo. Ci andò in effetti nei suoi ultimi anni, quando era vicina la seconda guerra mondiale. Era già arrivato ai rettangoli, passando attraverso alberi fronzutissimi e disposti coi rami come se fossero teoremi di matematica. Ci starò attento, a Mondrian, per il momento ne ho capito poco, vedremo in futuro, con i quasi contemporanei occorre andarci piano, prima di spacciare giudizi. Usciamo dalla mostra infine, le corrieranti recuperano borse e borsette, piccola sosta per tutti tra caffetteria e toilette, poi ci si incammina verso il pullman, parcheggiato in piazza a dieci minuti di strada. Solo che piove di gusto, ci sono anche pozzangherone ciaf-ciaf, dalle borse delle signore brianzole sbucano ombrelli mignon che però crescono su di se stessi che è una bellezza, molti dei corrieranti - compreso Claudio - hanno cappelli o berretti, quindi se la cavano, io un po' meno, privo di cappello, berretto, ombrello struscio lungo i muri delle case cercando di bagnarmi poco. Durante il viaggio di ritorno a Monza ci vengono illustrate le prossime meraviglie dell'organizzazione: gita al Cilento, completa di Eurostar, albergo a quattro stelle una in fila all'altra, Agropoli, Paestum, Certosa di Padula e i paesi-scrigno che li apri e traboccano di gioielli, collane, cammei. Ancora più in là nel tempo, Zurigo e le sue innumeri mostre (oddio, altre centinaia di quadri!), ma ci si ricorda felici di una gita già fatta: l'itinerario fra Saint Tropez e Nizza, mare, tanto mare. Ecco, siamo a Monza. Non piove più, meno male, arrivederci a tutti, è stata proprio una bella giornata.

Pubblicato su Arengario il 17 febbraio 2007

7 commenti:

Solimano ha detto...

Mi autocommento per dire il vero motivo per cui sono affezionato a questo brano, che circa tre anni fa scrissi di getto. Difatti, avrebbe bisogno di editing, ma me ne guardo bene.
E' successo che in modo non voluto, ma inconscio, ho utilizzato tre chiavi di lettura di quella mostra, mischiandole insieme:

1. Le opere d'arte di per sé.
2. L'organizzazione della mostra.
3. I visitatori.

Sono convinto che se l'avessi fatto volutamente sarebbe uscito qualcosa di più faticoso per me e più pedante e noioso per i lettori.

Conclusione. Chi scrive spesso ha certamente questo tipo di esperienza, purtoppo succede di rado; io la chiamo essere scritti più che scrivere. Sta a noi non cercare di fare così, perché più lo cerchiamo meno ci riusciamo, ma eliminare alcuni ostacoli che impediscono a questa facoltà (presente in tutti) di manifestarsi.
La vie c'est compliqué... et simple.

grazie e saluti
Solimano

Anonimo ha detto...

1- ho molto apprezzato,
malgrado la sterminata lunghezza;

2- non sono un grande estimatore di Goldin,
preferisco di gran lunga programmazioni
meno rutilanti e meno di rapina,
magari con una continuità
e con percorsi più interessanti
che non la spremitura degli impressionisti;

3- un pensiero reverente al divino Courbet
e alle divine origines

4- sui 285 quadri, ti dirò che
apprezzo molto quel che si vede spesso
nei musei all'estero:
una classe di ragazzini o ragazzotti
accompagnati da un insegnante,
che arrivano dall'esterno,
passano un quarto d'ora davanti a un quadro,
un quarto d'ora davanti a un altro,
e via che se ne vanno.

5- siete poi stati a Padula?
io ci sono passato accanto
tre o quattro volte,
rifiutandomi di interrompere
gli interminabili viaggi per la Sicilia.
poi, dopo averla visitata,
ho cercato di tornarci la volta successiva,
ma naturalmente era giorno di chiusura

ciao
a

zena ha detto...

Anch'io apprezzo.
Leggo e rileggo.
Ammiro la neve azzurra,ripasso le nuvole vive, confronto il glicine bianco con quello di una vecchia casina di mia conoscenza (il glicine sa travestirsi da branco di pecore in primavera)e penso che vorrei avere gli occhioni di Mondrian per vedere le bellezze che l'arte non ci fa mai mancare.

Faccio gli auguri a tutti: io sono la cuoca ufficile di queste festività e c'è da laurààà. Scusatemi se non riesco a trovare il tempo per leggere tutto e subito. Prima O poi arrivo:)))

Solimano ha detto...

Alberto, beh... sterminata lunghezza... hai ragione, ma forse ci stiamo abituando troppo ai brodini. A volte, si può essere prolissi anche in due righe.

Posso essere d'accordo riguardo Goldin, difatti c'era un po' da ridere leggendo certe frasi tiramentosissime e in fondo naif sui tazebao della mostra. Però esiste il problema degli addetti ai lavori che non fanno quello che potrebbero a livello di una seria divulgazione. Sembra che giochino alla meno siamo meglio stiamo.

Courbet. Eh... "L'origine du monde" l'ho visto a Parigi. Quadro meraviglioso, malgrado la guardonerìa di decine di pagine di Google immagini.

D'accordo in pieno sulle classi di ragazzi nei musei all'estero. Le ho viste ad Hannover e a Copenhagen. Ogni ragazzo ha un cuscino portatile su cui sedersi, e ascoltano comodi la spiega della maestra.

Certosa di Padula? Vai qui e ti divertirai.

grazie Alberto e saluti
Solimano

Solimano ha detto...

Zena, sei tu che mi hai dato l'innesco per la pubblicazione di questo post effettivamente un po' sterminato (detto fra noi, che non ci senta nessuno, Alberto ha un po' ragione...).

Che la neve azzurra, le nuvole vive, il glicine bianco, gli occhioni siano nei tuoi occhi come sono nei miei mi fa piacere non per complicità ma perché se si hanno questi pensieri-visioni un certo grado di felicità quotidiana è possibile.

Mi diverte, pensarti nei panni dell'arzdora, anche perché so che Prima o Poi torni, leggi, scrivi.

grazie Zena e saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Grazie.

Per più motivi.

Il primo perchè di quella giornata ho ricordi meravigliosi.
Io non andai il 17, ma poco lontano, aveva a che fare con S.Valentino o giù di lì.
Il secondo perchè l'ho ripercorsa con la mente.
Terzo perchè concordo su molte tue osservazioni.
Una ressa pazzesca e per fortuna che avevamo preso i biglietti da casa.
L'unico neo per me è che le opere esposte erano troppe e c'era troppa gente. Ci vuole calma per guardare e assaporare certi dipinti. Stessa cosa quando andai a Brescia per VVGogh. Ebbi la fortuna molti anni fa ad Amsterdam, di essere l'unica visitatrice del suo museo. Fu uno dei momenti più belli della mia vita perchè lo sentii vicino per tutto il tempo. Rimasi dentro molte ore.
A Brescia non ho potuto gustarmi le opere come avrei voluto, però mi ha fatto così piacere vedere tante persone interessate e ragazzi entusiasti che uscii sì frastornata, ma molto contenta.
Se avessi potuto, sarei ritornata di notte però e mi ricordo che discutemmo a lungo su questa cosa:)

Ora mi è passata la voglia di leggere però, per cui vi saluto amici di stanze e vi lascio al Natale, da buoni o da cattivi:)
Vi rinnovo gli auguri, tanto sarete già ai festeggiamenti. Ci rivedremo presto.

Solimano ha detto...

Eppoi... Alberto... sterminato... dipende, si può essere anche brevissimi.
Guarda qui.
E' forse il post più corto di Stanze all'aria, eppure di cose ne dice...

saluti
Solimano