Solimano
EDIT: "Rielaborazione redazionale, prima della composizione e della stampa, di un testo consegnato dall'autore".
Questa è la definizione che ho trovato in rete (Dizionario Hoepli). Non sarà granchè, ma dice quello che succede.
Io dell'editing ignoravo addirittura l'esistenza, quando ricominciai a scrivere, dopo trent'anni dal tema della maturità. Avevo letto molto, sì, ma è diverso leggere da scrivere.
Cominciai a preoccuparmi quando un'amica scrittrice, dopo una mia mail molto sentita, mi rispose: "PRIMOOO!!! I tre puntini sono importanti. Non debbono essere né due né quattro, ma tre. Sennò non ti prendono sul serio". Fu allora che cominciai a berciare in casa, mentre scrivevo sul PC: "NERIAAA!!! Dimmi il passato remoto del verbo nascere." E' laureata in Lettere con un voto strano: 110. Però non gliene parlo mai, perché la volta che le ho detto: "Ti sei laureata con 110 senza lode" a momenti mi menava, avendo ragione. Ci patisce ancora.
Poiché la necessità interiore mi spingeva a scrivere sempre di più, ho smesso di berciare per casa, continuando a scrivere alla sperindio, finché sono incocciato in Golem l'Indispensabile. Lascio perdere i dettagli. Una gentile redattrice mi scrisse per chiedermi se volevo dire la mia sulla comunicazione in rete. "Pronti! Son qui". E in un'ora scrissi un articolo e lo spedii via mail. Non l'avessi mai fatto, dopo mezz'ora vedo di ritorno la mia mail diventata per metà rossa dalla vergogna. Sembrava un tema senza nessun errore blu ma da 6=. Rossana Di Fazio mi aveva fatto l'editing. Continuò così anche per i pochi articoli successivi: scrivevo, mandavo la mail, mi ritornava arrossita, rispedivo e dopo altri due rossori andava bene.
Finché mi arriva una mail in cui mi chiede di scrivere qualcosa sul tema del mese successivo: le scarpe. Mi aspettavo di tutto, ma le scarpe no.
Chiesi per telefono ad un amico: "Se tu dovessi scrivere qualcosa sulle scarpe, da cosa cominceresti?"
Rispose: "Io mi rifiuterei di scrivere qualcosa sulle scarpe".
Mi aveva steso, ero completamente demoralizzato. Ma successe che, mettendo giù la cornetta, cominciarono a venirmi delle idee, una in fila all'altra.
Nel giro di poco più di mezz'ora avevo finito tutto.
Per l'editing, eravamo in ritardo e con Rossana ci mettemmo d'accordo di farlo per telefono. Furono venti minuti fra i più belli della mia vita. Teoricamente, avrebbe dovuto essere un po' imbarazzante, perché Rossana ha trent'anni meno di me, ci diamo tuttora del lei, inoltre allora non c'eravamo mai visti in faccia. Ma quei venti minuti furono una lotta strana, una lotta in cui si vinse tutti e due. Perché? Perché Rossana era esigente, non me ne perdonava una. Altro che tre puntini: aggettivi, verbi, struttura delle frasi. Però avvertivo che amava quel che avevo scritto, che lo faceva con quello spirito, senza nessuna complimentosità. Ma anche per un altro motivo: sono orgoglioso ancor più che permaloso. E allora praticavo lo spariglio: Rossana aveva trovato un inciso? Io mi ci buttavo a pesce e lavoravo sull'inciso che aveva trovato lei, per trovarne uno migliore. Editavo la mia editrice. Secondo me Rossana se n'è accorta benissimo, ne ha sorriso, pensando (con rispetto, neh) ai miei trent'anni in più. Ma uno scontro ci fu, uno scontro non di forma ma di sostanza. Avevo deciso di chiudere l'articolo con questa frase:
"La naturalezza dei piedi nudi e l'artificiosità delle calzature erano ben presenti a mia mamma bambina. Andava a scuola a Ganzanigo, frazione di Medicina. Frequentò due volte la quarta elementare - non c'era la quinta - perché la maestra convinse mio nonno a mandarla ancora rinviando di un anno l'aiuto nella cascina e nei campi. Doveva percorrere qualche chilometro per andare e tornare, usciva di casa con le scarpe non ai piedi, ma in mano e camminava a piedi nudi fra fossati e straducce. Prima di entrare in classe, si metteva le scarpe per poi togliersele al ritorno. Lo stesso accadeva in chiesa: andare a scuola nei giorni feriali era come andare a messa la domenica".
Rossana mi disse che la frase andava bene nel corpo dell'articolo, ma che sarebbe stato meglio se avessi chiuso con un'altra frase che avevo scritto:
"E invece, alle duchesse di Goya ed alle ladies di Gainsborough le punte delle scarpe fuoriescono dalle gonne come pugnali, colpo di grazia per gli innamorati".
Il motivo del contendere è chiaro, per me era più un fatto personale che di scrittura, ma lo spariglio mi soccorse: quando si è scritto, bisogna sapersi disattaccare anche da se stessi, e l'articolo si chiuse con la frase breve e secca. Sono convinto che Rossana avesse ragione.
P.S. Armi pari (divagazioni su due piedi) è pubblicato anche sul Nonblog di Habanera, qui.
Nelle immagini, due ladies di Gainsborough.
sabato 7 novembre 2009
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25 commenti:
Sai Primo, devo confessarti che quello è proprio il lavoro che avrei voluto fare io.
Adesso quando ho tempo scrivo per una specie di terapia antistress che mi sono ritagliata, ma quando andavo a scuola avrei proprio voluto lavorare in una casa editrice e fare l'editor.
L'ho sempre considerato un lavoro indispensabile perchè spesso mi è capitato di leggere cose di talento che inciampavano però in sassolini dovuti ad una rilettura superficiale e distratta. Togliere quei sassolini, passare anche meazz'ora per decidere se sia più pertinente la parola "almanaccare" piuttosto che "lambiccare" era come poter mettere la ciliegina sulla torta della genialità.
Avrei voluto andare all'estero per vedere come lavorano nei paesi in cui l'editoria è una cosa seria, in cui i corsi di scrittura creativa si fanno nelle università e non nei salottini minimal chic o sopra l'oratorio.
Avrei voluto diventare brava.
Non è stato possibile, pazienza.
Trovare un bravo editor è la fortuna più grande che possa capitare a chi scrive.
Post bellissimo perchè di una chiarezza funzionale e pure spiritoso. Anche io credo che Rossana avesse ragione. Come credo che disattaccato da te, tu possa scrivere grandi cose. Anche quelle attaccatissime a te sono molto belle, ma è ovvio che hanno un respiro diverso.
Più intimo.
p.s. sui tre puntini ne ho sentite di ogni. Una su tutte: vanno bene anche 4, così faceva il Manzoni.
Scuole di pensiero.
p.p.s. Le scarpe. Un argomento così affascinante e vasto da perderci la testa. La tua frase in chiusura è strepitosa.
Di cinema ne so poco, ma so che anche nel cinema è all’editor (montaggio) che si deve lo stile narrativo di un film. I parallelismi con l’editoria libresca sono molteplici. La scelta fra due inquadrature prese da angolazioni diverse della stessa scena corrisponde a quella fra due vocaboli in uno scritto, che del tutto sinonimi non sono mai, e decidere la durata delle inquadrature equivale a determinare la lunghezza dei periodi, ovvero il ritmo del racconto. C'è differenza fra rileggere la prima stesura di un testo e rivedere un filmato alla moviola? Fra eliminare un aggettivo in un testo e sfumare un’immagine in un filmato? Immagino che ci debba essere una straordinaria, quasi simbiotica sintonia fra il regista e il suo montatore, come in realtà si è stabilita fra Solimano e la sua redattrice. Sai che risse altrimenti.
E’ solo nel football, di cui invece sono un sommo esperto, che la moviola non serve, se non a mangiarsi le mani per un movimento che se fosse stato più veloce, una marcatura più stretta, un’entrata più decisa, eh, le cose sarebbero andate diversamente, e allora sì che avremmo vinto.
Gauss
Barbara, a me già il nome corsi di scrittura creativa fa ridere, ma il mio punto di vista non fa testo. Comunque preferirei quelli sopra l'oratorio che i salottini minimal chic.
Non ti ci vedo, a fare l'editor. Non per mancanza di capacità, ma perché, se non svolto in un certo modo, ha in sé una forte componente di routine (del tutto assente in Rossana Di Fazio su Golem dei bei tempi). E tu sei una persona che prova raramente la noia, scapperesti a gambe levate, se arrivasse la noia (e faresti bene, a scappare).
Non va sopravvalutato, il mondo editoriale: ha in sé forti caratteristiche di invidie e di frustrazioni di ogni tipo. E di superbie del tutto ingiustificate.
Tu non devi diventare brava, tu sei brava a scrivere, lo penso e lo dico. Il punto vero è a quali argomenti applicare la propria bravitù (o bravitudine? editare, prego). Un altro punto vero è che anche nei bravi un certo tipo di insicurezza, legato alla volontà di piacere agli altri, porta a quello che Letizia chiama effetto cligne l'oeil. A proposito, Letizia è un bel po' che non la sento. Le scriverò, anche perché su questo tipo di argomenti, come traduttrice peritissima sa il fatto suo.
grazie Barbara e saluti
Solimano
P.S. Un cligne l'oeil di tipo ingenuo (però che si crede furbo) è più la regola che l'eccezione nel mondo blogghiere.
Silvia, hai ragione, le scarpe sono un argomento affascinante e spero che tu abbia profittato del link che ho messo alla fine del post e che conduce all'edizione dell'articolo sul Nonblog di Habanera. Un po' lunghetto, ma credo valga la pena, se non altro perché Rossana ci ha messo le mani editrici.
Ormai da anni sono diventato editore di me stesso. Nel senso che non posso leggere un mio post già pubblicato senza evitare di modificarlo, non solo per i lapsus, ma sostantivi, aggettivi, frasi, aggiunte, modifiche di ogni tipo. E cambiamento di immagini. E' per questo che ho finito solo l'altro giorno di caricare le Novellette degli Odori in Stanze all'aria. Una per una me le sono rilette e modificate. La mia psicologia non è quella dello scrittore che sta fermo come torre che non crolla, ma di uno che scrive e che cambia idea su quello che ha scritto. Lo faccio anche su Abbracci e pop corn. Per come sono fatto, è una delle più gradevoli e utili caratteristiche dello strumento software che chiamiamo blog. Mi piace essere letto? Sì, ma soprattutto mi piace rileggermi e modificarmi. Potrei mettere a destra in alto, nella Home page di Abbracci e pop corn i link alle Novellette degli Odori, a L'Amore intelligente, a La Grande Bua (su Stanze all'aria), a Le confesioni di un poeta finto, a Livre mon ami (sul Nonblog di Habanera). Richiamerebbero un bel po' di visite, l'ho verificato mettendo le viste logiche sui film in apertura del blog. Ma non credo che lo farò. Mi sta bene che stiano dove sono, chi vuole ci arriva. Non credo alla pubblicazione cartacea, tanto meno che ne conseguano soldi. Se fosse per i soldi, in Abbracci e pop corn potrei lasciare che Google mettesse la pubblicità (cosa che tanti giornalisti noti fanno). Ma, poiché sono più un epicureo che un moralista, mi sta bene così. Scrivere per necessità interiore è molto gratificante: non pensi a lotte, zuffe, dominanze o che, pensi solo a scivere meno peggio che puoi.
Per me, gli aspiranti alla scrittura cartacea vivono assai male: la rete ne è piena, trabocca. Oltretutto, se si scrive in funzione di questo, si finisce per scrivere male e per condire il tutto con un grottesco umilismo di facciata. Come diceva Ferrini (te lo ricordi? quello con Arbore): "L'amore istruisce e diverte al tempo stesso". Tale e quale la scrittura, specie se ci puoi mettere le mani sopra in qualsiasi momento e modificarla come ti pare e piace.
Anche gli e-book non mi convincono: meglio la duttilità della struttura blog.
grazie Silvia e saluti
Solimano
P.S. Sai una cosa? Mi piacerebbe proprio vederle, le tue scarpe, sono diventato peggio di uno psicanalista. Uno scarparo detective, occhio.
Gauss, ci sono tante leve su cui si regge il cinema, una fondamentale è quella del rapporto fra regia e montaggio. Difatti i registi usano quasi sempre la stessa squadra, in cui il montatore ha un posto di rilievo. La modalità più intrigante l'ha usata frequentemente Erich Rohmer, un regista del tutto particolare, che ha cominciato a fare film a cinquant'anni, dopo una vita di critico cinematografico e di professore coltissimo di materie umanistiche. Ebbene, Rohmer non usava lo strumento sceneggiatura, ma lo strumento situazione: diceva agli attori cosa voleva che accadesse in quella scena. La cosa curiosa è che quasi sempre il ciak migliore era il primo, però lui aveva dedicato molto tempo prima del ciak a sviluppare la situazione, senza però condizionare con parole da sceneggiatura. Il montaggio, in quei casi, è molto più determinante delle parole.
Un altro aspetto di certi film è la strana arte del tutto casuale del fermo-immagine: mi è capitato di frequente in questi due anni e mezzo di blog filmico di accorgermi che certi fermo-immagine contengono in sé l'intera scena come significato, e lo si avverte un momento prima nel dito della mano che fa la pausa sul DVD. Un'arte involontaria ma vera. Picasso diceva: "Io non cerco, trovo". Ma tu che dipingi di queste cose te ne sei certo accorto: a volte è il voler fare così invece di cosà che frega: l'ansia di voler controllare tutto ad ogni costo.
grazie Gauss e saluti
Solimano
Sto pensando non tanto alla figura dell'editor (massimo rispetto per la professione)quanto alle scarpe.
Scarpe letterarie.
Mi è venuto in mente un racconto molto bello di Natalia Ginzburg sulle scarpe. Scarpe rotte, per altro. Dice di un momento di sofferenza della scrittrice, condiviso con un'amica che avrebbe voglia di gettare la vita ai cani.
Natalia si guarda spesso le scarpe, slabbrate e ormai mal ridotte. In quelle scarpe non vede la sua sconfitta, ma la sua scelta di dare valore solo a quello che è necessario: la sua indifferenza rispetto alle cose accessorie.
Pensa magari alle scarpe che avrà da anziana, che saranno di camoscio verde, con tanto di fibbia, comode e confortevoli, ma intanto si tiene le sue, così lontane dalle regole della sua famiglia, così diverse da quelle che calzava da bambina, solide e robuste.
Forse, riflette," per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini".
Ecco, credo sia profondamente vero.
Ciao, eh.
Eh, Zena, trovo molto istruttive la mia prima reazione e quella del mio amico al tema delle scarpe, quando mi fu richiesto di scriverne da Rossanna Di Fazio.
E' un atteggiamento di rimozione, come se un tema del genere non fosse degno di scriverne.
Difatti, nel giro di pochi minuti le idee mi vennero e non per fantasia o che, ma perché è un tema reale, ben presente nella nostra vita. Un frutto di acculturazione con tutti i problemi che ne conseguono, comprese le scarpe rotte (e gli zoccoli de l'Albero degli Zoccoli).
Condivido quello che scrivi e l'atteggiamento di Natalia Ginzburg, di cui non so dire se fosse maggiore la lucidità o la sensibilità (non sensiblerie, tutt'altro).
Un'ottima scrittrice forse oggi non più letta come meriterebbe.
Di lei mi è piaciuto anche il libro sulla famiglia di Alessandro Manzoni, non solo come scrittura, ma perché permette di capire meglio il grande scrittore e le radici dei Promessi Sposi, frutto non di moderatismo, ma di difficile conciliazione di pulsioni contrastanti dello scrittore.
grazie Zena e saluti
Solimano
Parlate ancora di scarpe vi prego...Proprio così, tra serio e faceto, letteratura e vita.
Io adoro le scarpe, anche se non sono state sempre l'amore della mia vita, anzi! La cosa importante era che fossero comode, che il mio piede stretto da loro non soffrisse, (andavo scalza appena possibile) che potessi muovermi con scioltezza su ogni terreno e che mi tenessero caldo; non sopporto il freddo ai piedi, starnutisco immediatamente.
C'è chi mette le sciarpe,io devo avere scarpe calde.
Tacchi preferibilmente bassi, anche se non sono alta, scarpe da ginnastica sì, ma con parsimonia, per me sono scarpe maschili.
Poi, un giorno qualsiasi non ricordo quale, ho stranamente posato l'occhio su un paio di polacchine col tacco a rocchetto, nere, scamosciate, con un filo sottilissimo sul bordo superiore di color bordeaux che terminava con un fiocchetto piccolo (adoro i fiocchi) dietro al centro, dove inzizia la caviglia. Sono rimasta affascinata dall'eleganza di quella scarpa, così sinuosa nelle forme, casta e provocatoria al tempo stesso, civettuola e pudica.
Da quel giorno ogni scarpa è passata ai raggi x. Ogni vetrina, esposizione, mostra, banco in piazza è osservato dalla sottoscritta con molta attenzione. Da quel giorno il numero di scarpe in casa mia è decisamente aumentato, per cui Solimano sarebbe difficile per me descriverti le mie scarpe, ne ho di tutti i tipi e colori e sto molto attenta agli abbinamenti adesso che sono diventata grande:) Ci sarebbe da scrivere un mare di cose sulle scarpe, feticcio per eccellenza. Lo champagne bevuto da un décolletè tacco dodici rientra nell'immaginario collettivo.
Non risulterebbe altrettanto stuzzicante bere del lambrusco da ciabatte birkenstock, bisogna ammetterlo.
So che esiste da qualche parte, credo dalle parti di Barbara se non erro, il museo della scarpa. Andrò prima o poi. Il problema è che mi verrebbe voglia di provarle tutte. Come coi cappelli, che porto da sempre e che adoro.
...che mi verrà voglia di provarle tutte, volevo scrivere. Portate pazienza.
Io che non rileggo mai.
Avevo promesso che lo avrei fatto.
Giurin giuretto, lo farò.
(e il naso diventò così lungo che arrivò a Sant'Ilario)
Silvia ci esorta a parlare ancora di scarpe, "tra letteratura e vita". Ecco, credo che se Solimano l'avesse chiesto a me da dove cominciare a parlar di scarpe, avrei pensato a Mordi Nahum, il greco di Salonicco con cui Primo Levi percorre un lungo tratto del suo ritorno a casa. «Sei uno sciocco - mi disse il greco - chi non ha scarpe è uno sciocco (...) A due cose bisogna pensare: in primo luogo alle scarpe, il secondo alla roba da mangiare, e non viceversa. Chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l' inverso».
Silvia, vado per argomenti:
Birkenstock. Non denigrare meraviliose ciabatte provenienti da Crande Cermania. Anche i sandali. Però d'accordo, io sono un maschietto dai piè crandi.
Champagne. A suo tempo mi sono assai divertito nello scrivere dei post sul film Totò a colori. Ho solo un rimpianto, ma grande: non sono riuscito a catturare l'immagine della ricca esistenzialista Franca Valeri che a Capri beve lo champagne nella scarpa col tacco. Da morire.
Scarpe di donne. Mi hai dato un'idea, col tuo descrivere dettagliatamente fiocchi, fili, scamosciamenti, rocchetti. Troverò una serie di immagini di scarpe di donne nei film peplum e nei quadri di sante, quei sandali in particolare che risalgono la gamba con incroci e nodi di ogni genere... però la superficie gambesca rimane visibilissima (punto per noi maschietti essenziale, nelle scarpe femminili).
Tacchi e ginnastica. Concordo con te. I tacchi, meglio quelli medi, più coinvolgenti. Quelli troppo alti mi sembrano eccessi esibizionistici come l'uso eccessivo della matita per gli occhi. Le scarpe da ginnastica... beh, ispirano magari sentimenti di tenera amicizia, ma... ma... non invogliano ad altro, ecco.
grazie Silvia e saluti
Solimano
Grazie, Gauss, citazione perfetta da un grande libro (terribile e al tempo stesso picaresco, connubio incredibilmente riuscito).
E il personaggio del Greco di Salonicco è centrale ne "La tregua". Quanda parla ed agisce il Greco non ce n'è per nessuno.
Quello che dice sulle scarpe è esattissimo: l'hanno sempre saputo in montagna e in campagna, io, escursionista da passeggiate e fungaiolo indomenicato (ahimè) l'ho dovuto imparare dall'esperienza e dai guai grandi e piccoli che ci sono a non avere le scarpe adatte.
saluti Gauss
Solimano
Hai ragione Gauss. Quando focalizzo l'infanzia poverissima di mio padre, l'iquadratura cade sui suoi piedi e sulle sue ginocchia, ma soprattutto i piedi nudi o coperti da scarpe di fortuna ricavate dalle cose più disparate.
Solimano io di Birkenstock ne posseggo due paia, uno blu e uno turchese. Comodissime ma orribili, bisogna ammetterlo, e poi io ho pieti piccoli no granti come i tuoi, calzo bene anche scarpe più civettuole:)P
Ricordo il film di Totò, almeno credo, è quello in cui veste da marinaretto e sputa in un occhio ad uno che lo aveva offeso?
Parli dei sandali alla schiava? Sono una tortura, capiamoci. Perchè i lacci non cadano devi stringere al polpaccio, ed è sofferenza vera. Comprendo però che esercitino un certo fascino. Ho un paio di sandali così, col tacco alto, credo che li regalerò, non li metto mai. Le scarpe da ginnastica ci vogliono, per fare ginnastica, per correre all'aria aperta, per fare attività sportiva. Portarle in ogni luogo, sempre e comunque, mi pare davvero esagerato. La gonna lunga o corta, con la scarpa da ginnastica, non mi piace. Da passeggio, in alternativa, vanno benissimo gli scarponcini, rigorosamente coi lacci.
Un uomo con le espadrilles non lo vorrei nemmeno all'uscio.
Silvia, perché tu chiamare oribili meraviliosi santali Birkenstock prototti in Crande Cermania? Tu essere invidiosa di miei cranti piedi misura 44-45, ti piacerebbe averli e invece no, tu avere piedini 36-37!
Però... i Birkenstock color blu o turchese sono al di là di ogni umana immaginazione!
No-no-no, niente sandali alla schiava, storture moderne, vorrei vedere i sandali dei quadri delle santa Agata, Apollonia, Lucia etc quando sono condotte al martirio. Come ultimo colpo di vita si mettevano dei sandali pieni di nastri, alla faccia di quei buzzurri di carnefici. Oppure, hai presente Venere, Giunone e Minerva mentre sono in attesa del Giudizio di Paride per la Mela d'Oro? Sull'Olimpo c'erano ottimi calzolai.
Concordo riguardo le scarpe da ginnastica: basta basta basta, tutta roba proveniente da lontana Cina, non da Crante Cermania.
saluti Silvia
Solimano
Ehi!
Ma io qui ho sentito nominare le Birkenstock!
Adesso vi rivelo un segreto di famiglia (che conosce tutta Civitanova): Franti, che in qualche vita precedente deve essere stato un frate francescano di quelli convinti, le porta TUTTO l'anno, anche d'inverno! Salta solo i giorni di pioggia e quelli in cui la temperatura scende sotto lo zero.
Ha una sua personalissima teoria per cui la salute deriva dall'asciuttezza dei piedi, i quali intrappolati da calzini e imbracature varie alla lunga sudano e creano una specie di umidità stagnante che fa ammalare. Ecco allora il piede nudo, ovunque e sempre. In più lui dice che il freddo attiva la circolazione e dopo un po' il piede diventa caldo da solo.
Boh, io non sono convinta per niente, e mi tengo le mie scarpe, ma ad onor del vero devo dargli atto che sono anni che non si ammala, fatta eccezione per un virus intestinale che gli ha passato Sofia Luna. Ma per quello che riguarda influenze e raffreddori...sembra che scarpa di Cermania funzioni, per chi ne ha il coraggio....
Io invece devo lanciare un grido di rotesta contro il mio paese!
Le Marche patria della scarpa? Pfui!
Tutto fumo e niente arrosto.
Ogni sabato il mercato calzaturiero più grande del centro Italia? Mpf, sarà così per quelle che portano un banalissimo 37, ma per quelle signore che sono alte alte alte e il cui piedino, per motivi biologici, è di un numero appena appena un pochetto inconsueto.... voglio dire... mica si può essere alte 1.75 e avere il 38, che3 si pretende?, si cadrebbe a faccia in avanti dopo due passetti, è ovvio che una abbia un numeretto un po' più grande...
Uffaaaa! Va bene, lo confesso: io porto il 41, ok? E allora?
E allora, pur vivendo a due minuti dalle più importanti fabbriche italiane (Tods, Paciotti ecc), io le scarpe me le devo comprare su internet , altrimenti sono costretta a seguire la strada segnata da Franti! Gulp!
Silvia, mi sono scordato una cosa: il film con Totò. Si tratta di "Totò a colori", il primo film a colori realizzato in Italia. Ho scritto tre post nel blog del cinema, ma l'immagine dello sputo nell'occhio non l'ho messa perché c'è Totò che denigra un pittore astrattista che dipinge alla Picasso e che quindi gli sputa in un occhio. L'ho trovato un po' corrivo, stile, per capirsi, il Bagaglino di questi anni. Ma per il resto è un film da favola, con gli episodi del viaggio in vagone letto, di Totò burattino, di Totò direttore d'orchestra. Uno dei tre post lo trovi qui.
saluti Silvia
Solimano
Barbara, da tempo il Signor Franti è un mio eroe di riferimento, ora lo diviene ancor di più, vista la considerazione verso le Birkenstock in tutte le stagioni, compreso l'inverno inclemente. Io non giungo a tanto, ma ci rifletterò (non per l'inverno che si avvicina, ma per il prossimo...).
Noto il tuo ammirevole coraggio nel fare un outing delicato: il numero 41.
Ammirevole sì, visto che la persona con cui convivo da alcuni decenni portava il 37, ma io, sospettosissimo, ho scoperto che da qualche anno porta il 38. Sottoposta ad interrogatorio, lo ha ammesso, spero solo che non torni a comprare il 37, poiché avere le scarpe strette predispone ai litigi familiari, bisogna pur sfogarsi, se ti fanno male i piedi.
Una delle bellezze di Milano è che ci sono negozi introvabili da altre parti. Ne cito due: uno specializzato in articoli per mancini e l'altro specializzato proprio in taglie extra di scarpe, sia maschili che femminili. Tutti i giocatori di basket vanno lì, sta di fianco alla pregevole chiesa di Santa Maria della Passione.
Non parlarmi degli scarpari marchigiani: ce l'ho su con loro. A me piace aggirarmi nei paesoni delle Marche dell'interno (fra poco ci scriverò un post). Posti tutti simili, ma ognuno con una caratteristica particolare, unica. Capitai in due di questi paesoni completamente sfigurati proprio dal successo scarparo. Non depreco la modernità, ma in quei casi è sbagliato lasciare tutto al libero arbitrio individuale: fai un bel quartiere industriale e lascia stare il resto (come fanno da sempre a Reggio Emilia, ad esempio). E invece no, ed il fastidio ne è stato tale che ho rimosso i nomi di quei posti, che tu certamente conosci.
grazie Barbara e saluti
Solimano
P.S. Saluti a Claudio...
Solimano: alludi forse al famosissimo Pirellone di Montegranaro?
Comunque io e Franti ci ridiamo spesso di questa cosa: diciamo sempre che la valle del Chienti è stata cementificata negli anni sessanta/settanta da un geometra che teneva il busto di Le Corbusier sul letto.
Siiiii!!! Montegranaro era uno di quei posti, ma ce ne sono almeno altri due.
E' un un limite dei marchigiani, un po' troppo individualisti nel piccolo e che si creano dei complessi inutili rispetto ad altre ragioni, tipo Umbria e Toscana. Le Marche hanno questa caratteristica unica, della disseminazione di centri robusti, che non si sa se chiamare città o paesi. Una persona saggia, se va una volta nelle Marche, ci torna ancora volentieri.
Però nella valle del Chienti dei posti belli ci sono, eccome se ci sono, malgrado i busti di Le Corbusier.
E ti ricordi, Barbara, quando per qualche motivo di agevolazioni o che, tutte le Marche erano piene di campi di girasole? Chissà che cosa se ne sono fatti, di tutti quei semi di girasole...
saluti
Solimano
Solimano se io avessi i tuoi granti pieti sarei un caso umano, con la mia bassa statura. Però non mi sposterebbe nemmeno la bora di Trieste ai 140 orari. Io mi accontento dei miei pieti numero 37. Da racazza portavo n.36. E' vero, crescendo di età, aumentano i pieti, o diventano diversi, l'importante è accorgersene altrimenti si passa una vita di inferno. Il male ai pieti è ttteribile. Allora bene le Birkenstock che essendo navi da crociera accolgono bene, calli, alluce valgo, unghie incarnite, e il famoso numero in più che non vogliamo ammettere. Ma dire che sono belle no, vi prego no anche se arrivano da crante germania.
Franti nel suo specifico ha ragione. Però io sono strutturata al contrario di lui per esempio, e lo dice una che ha viaggiato scalza a più non posso per anni, appena poteva. Adesso però, se per disgrazia dovesse arrivarmi un freddolino al piede, leggero leggero, potrei anche essere vestita come un'eschimese che comincerei a starnutire immediatamente. Dev'essere la punizione per essermi tolta le scarpe per tutta la vita. Per cui potrei anche girare nuda per casa, anche in gennaio, ma con le scarpe chiuse ai piedi e magari anche i calzettoni di lana.
Da racazza giravo come Franti, non coi sandali alla francescana perchè non mi sono mai piaciuti, ma con gli zoccoli sì, anche se c'era la neve.
Aspetto il Franti quando avrà la mia età:) Non voglio che suoni come una minaccia capiamoci.
Tu ragazza mia sei un granatiere. Per forza porti il 41. Altezza mezza bellezza ed è vero, siine felice. E poi come fai tu nel paradiso della scarpa a non trovare cose decenti per te? E' davvero un mistero. Quando sono in giro con una mia amica, granatiere come te, mi capita di guardare scarpe dai granti numeri. Non c'è tutto l'assortimento che c'è nei numeri 37/38 però ci sono molte cose, alcune davvero belle.
Le scarpe dai granti numeri hanno un fascino particolare per me. In mano, così lunghe, possono risultare sgraziate, ma come vengono indossate acquistano tutto il loro fascino e il loro perchè d'esistere.
Due cose.
La prima è che concordo con Solimano quando dice che le Marche sono una spendida regione. Che per fortuna non se la tira come la Toscana e non ha particolari pretese. Il turista così si sente a casa, non ha ansie da prestazioni (culturali, modaiole, vipparole) e nemmeno da portafoglio, gusta un'ottima cucina servita su un panorama collinare magnifico, un mare discreto,(sono abituata alla Sardegna e alla Puglia), graziosi centri abitati, semplicità e cortesia. E poi vaste distese di girasoli. Il mio fiore/frutto preferito. Ci sono bei colori nelle Marche, tanto che volevo comprarci una casa su in collina, un po' di tempo fa.
Totò a colori: lo so che la scena dello sputo può risultare comicità da Bagaglino Solimano, ma quando lo fa sedere, gli mette il tovagliolo e gli fa tenere aperto l'occhio con l'indice io sono totalmente rapita in attesa dell'evento finale. In verità in questa scenetta c'è tanta grazia, misura, leggerezza, mestiere, tenuta scenica che quelli del Bagaglino se la sognano. La Valeri è insuperabile come sempre.
Dici bene, Silvia, sulle Marche. Per qualche anno sono andato in una bella casa sulle colline di Pesaro, vicino a Novilara, uno dei tanti posti belli (paesino, non paesone).
Tornavo su dalla spiaggia alle 4 del pomeriggio (il bagno in mare lo facevo alla mattina presto) e mi mettevo nel prato davanti a casa per chiacchierare e leggere, con la vista del mare.
Sul carattere dei marchigiani, bisognerebbe distinguere, perché Ascoli è ben diversa da Ancona e così via, proprio come da noi in Emilia. Hanno una forte tendenza a passare dal lei al tu (come a Reggio, a Parma no) e bisogna andar cauti con le battute si spirito (ma a Monza è peggio, bisogna avvertirli prima).
Ma ne dirò fra breve, in un post che non riguarda noi, ma una coppia di amici...
Totò a colori. E' vero la scena dello sputo nell'occhio è preparata benissimo, ma io mi distraevo perché c'erano attorno due attrici oggi sconosciute: Fulvia Franco e Lilli Ceresoli.
grazie Silvia e saluti
Solimano
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