- Ma papà! Ma cosa dici? Qui siamo nel trecento, non nel seicento.
Novello, 1964
Eh, Giuseppe Novello (1897-1988)! Così scrive Adolfo Chiesa nel libro La satira politica in Italia (Edizioni Laterza, 1990):
Mordace, caustico, spietato, capace di esprimersi e ferire con uno stile asciutto che ricorda i grandissimi Grosz e Daumier, Novello per circa quarant'anni si esercita a mettere in luce egoismi, difetti, opportunismi, meschinità della borghesia piccola e grande, scrivendo a suo modo un grande romanzo sul mondo borghese italiano degli anni Venti agli anni del miracolo economico.
Novello era amico di Paolo Monelli e insieme fecero un viaggio gastronomico attraverso l'Italia che, dopo essere stato publicato a puntate, uscì come libro nel 1935, col titolo Il ghiottone errante. Il ghiottone era solo Monelli, mentre Novello non amava i ristoranti ed era astemio. Un giorno, nelle langhe, dopo una bella mangiata, Novello chiese un bicchiere di latte. E Monelli scrisse: "Si velò il cielo. Alba laggiù, fra il verde spento dei fieni, parve invermigliarsi di sdegno nelle sue torri".
Un "colpo" che non sarà mai tentato
Novello, 1965
Novello venne deportato in un campo di concentramento perché rifiutò di prestare giuramento alla Repubblica di Salò. Nella guerra aveva combattuto da alpino, e di lui scrisse Mario Rigoni Stern: "Il 26 gennaio 1943 venne con noi all'assalto senza gesti retorici e parole inutili".
Nel 1983, Novello dice così in un'intervista:
"Oggi c'è soprattutto una spasmodica attenzione al mondo della politica. La società e il costume, invece, pare non ispirino più nessuno o ispirino una satira tutta di testa, a freddo, prefabbricata. Ne viene fuori un umorismo che è angoscia, rabbia, senso di disfacimento, tutto tranne che ironia. Si dice che è un segno dei tempi. Il mio tempo ha avuto certamente vicende drammatiche e disperate. Eppure io non ho mai perso un margine di illusione e, senza illusione, non c'è ironia, non c'è sorriso".
Le immagini non sono belle come vorrei, la colpa è un po' del libro, un po' dello scanner, un po' mia. Ma si capiscono, soprattutto se ampliate.
Novello, 1938
si accinge a rispondere ai biglietti di augurio
si accinge a rispondere ai biglietti di augurio
3 commenti:
L'ultima vignetta, non so perchè, mi fa pensare ad un vecchio film di totò, che si intitola Il Comandante.
"Eppure io non ho mai perso un margine di illusione e, senza illusione, non c'è ironia, non c'è sorriso". Trovo estremamente vera questa affermazione con quello che lo precede. L'ironia è costruttiva, sorridere anche in situazioni gravi ti aiuta ad uscirne rima con la testa poi con l'azione. Altrimenti rimani "inchiodato". Critichi, ma non fai nulla.
Molto bello questo post
grazie
Giulia
Il babbo e la mamma fra loro parlavano in dialetto, ma con noi parlavano in italiano. Lo ammetto: fra i dodici e quindici anni mi vergognavo un po' che i miei non sapessero cose che io sapevo. Un giorno, mio padre, col giaccone di pelle nera, andò a parlare con i professori del Liceo Classico, ed una madre della Parma benissimo, gli disse tranquilla e curiosa: "Come mai, lei che è un ferroviere, ha mandato suo figlio al Liceo Classico?" "Perché è bravo a scuola", rispose mio padre "E suo figlio, signora come va?". A casa ce lo raccontò, e cominciai a capire qualcosa.
Le vignette dei Sinceri Auguri si verificavano crudelmente nella realtà. Quando usciva il tazebao delle nomine, con le salite e le discese, quello che il giorno prima aveva il codazzo di seguaci andando in mensa, rischiava di mangiare da solo.
grazie, Barbara e Giulia e saluti
Solimano
Posta un commento