mazapegul
Il comitato organizzatore, di cui facevo parte, aveva alloggiato i conferenzieri esterni, di cui pure facevo parte, nei dormitori degli studenti, rimasti vuoti dopo la fine delle lezioni. Ci venne data una tessera magnetica come chiave per entrare nell'edificio e nelle stanze, che avrebbe cessato di funzionare il giorno che avevamo indicato per la partenza. Molto efficiente, molto americano.
D'abitudine, la sera uscivo verso mezzanotte a fumare l'ultima sigaretta in cortile, per poi tornare in stanza, leggere qualche pagina e mettermi a letto. Qualche giorno prima, in occasione di un temporale, era rientrato dalla fumata notturna in tutta fretta, dopo che un fulmine aveva colpito la rete metallica del campo da pallacanestro, a poche decine di metri da me. 'Fumare -avevo pensato- può farti morire in maniere anche imprevedibili.' E avevo pensato alla povera signora che, quando facevo il dottorato, tampinava tutti gli studenti maschi italiani per poter meglio praticare il suo italiano, di cui non spiccicava una parola. Era morta nel suo letto -m'avevano detto anni dopo-, addormantatasi con la sigaretta accesa.
La mattina era finita la conferenza e nei due giorni successivi mi sarei fermato per lavorare con i miei collaboratori d'oltreoceano, lì riuniti per l'occasione. Uscii qualche minuto prima di mezzanotte col retropensiero dei pericoli del fumo, ma anche contento che fosse giunto il momento in cui passare qualche giornata alla lavagna coi miei soci.
Finita la sigaretta, inserii la tessera nell'apposita fenditura e si accese la lucina rossa del "non ti faccio entrare" al posto del famigliare lampeggiante verde. Provai con la tessera girata dalla parte opposta e non si accese nessuna lucina. Provate le quattro combinazioni diverse volte e con crescente nervosimo, dovetti arrendermi alla conclusione che la mia chiave aveva cessato di funzionare.
Era successo, capii subito, che la chiave aveva finito di funzionare a mezzanotte esatta dell'ultimo giorno di conferenza; nonostante avessi fatto un check-in per ulteriori tre notti. La sigaretta era finita dopo i dodici rintocchi e io mi trovavo, come Cenerentola, con i miei aiutanti magici smagnetizzati.
Il palazzo non aveva un custode e, essendo gran parte dei conferenzieri partiti, la probabilità di intercettarne uno al rientro dai bagordi era minima. Dopo aver meditato il da farsi, mi misi in cammino verso la zona del campus dove, ricordavo, c'era l'ufficio delle guardie universitarie.
I campus, anche quelli piccoli, sono piuttosto estesi. Camminai a lungo, scoprendo che nei dieci anni da che m'ero addottorato l'ufficio era stato spostato. Percorsi diversi chilometri, trovai l'ufficio, che era però chiuso. Non sorprendentemente, poiché la filosofia americana della sicurezza impone ai vigilanti armati, pubblici o privati che siano, di stare sempre sulla strada a rassicurare il cittadino e a intimorire i malfattori.
Mi misi così a camminare a caso per i prati e le palazzine universitarie, cercando di intercettare la ronda. Erano passate le due, non ne potevo più di camminare, ma di quella ronda che incontravo sempre quand'ero studente tiratardi non si vedeva l'ombra. Mi sedetti su un gradino a riposare e a valutare le mie possibilità.
Dopo un pò arrivò un gruppo di inservienti neri, addetti alle pulizie. M'alzai e andai a chiedere dove potevo trovare le guardie. Diedi loro una spiegazione che a me sembrò ineccepibile, quella vera, che a loro parve invece alquanto improbabile: sedicente professore chiaramente straniero in shorts, che nel mezzo della notte passeggia per un campus vuoto perché homeless. La polizia del campus la chiamarono non per aiutarmi, ma perché potevo essere pericoloso ("C'è qui uno che dice...").
I poliziotti arrivarono subito, mi chiesero documenti che non avevo ("li ho nella stanza"), spiegazioni che non li convincevano ("la mia tessera per entrare in stanza ha smesso di funzionare"), ragioni per essere lì di cui loro non erano al corrente ("mathematical conference"). Dopo lungo interrogatorio, forse perché un matto straniero era più improbabile del mio racconto, forse per timore d'essere rimproverati d'aver lasciato fuori di notte un ospite dell'università, forse per semplice bontà d'animo, m'accompagnarono alla stanza ("non potremmo aprire, ma...") e non vollero nemmeno vedere i miei documenti dopo che fui entrato.
Se un errore burocratico (come scoprii il giorno dopo) può lasciare uno a dormire fuori; cosa potrà succedere il giorno in cui ti ritrovi in Malesia con un passaporto elettronico avariato? O andando dal dottore con un tesserino sanitario elettronico scaduto? In dei sistemi amministrativi in cui è sempre più difficile trovare degli esseri umani con cui parlare e trattare?
In un romanzo, la persona che non può rientrare nel suo appartamento potrebbe essere l'incipit di una avventura notturna alla fine del quale il protagonista galleggia cadavere nel Mississippi, o finisce a capo di una banda di spacciatori di East St Louis, o si costruisce una vita del tutto nuova, senza più tornare a casa.
Più modestamente, dormii fino alle nove. Uscendo, incontrai un collega polacco che tornava dalla colazione, doveva prendere i bagagli per andare all'aereoporto, e da mezz'ora stava smanettando con la sua carta magnetica che aveva smesso di funzionare e non lo lasciava rientrare.
domenica 27 settembre 2009
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8 commenti:
Le persone più disponibili ad aiutarti quando sei all'estero, le ho sempre trovate in Germania, specie ad Hannover. Bastava che tirassi fuori la cartina topografica che c'era qualcuno -qualcuna soprattutto - che si fermava sua sponte a darmi indicazioni utilissime.
Anche in Spagna le cose vanno bene, però devi essere tu a chiedere. In Francia no, sia a Parigi che fuori. Occorre evitare le generalizzazioni, ma in questo campo esistono habitus locali molto forti: chiedere a Jesi è diverso (in meglio) che chiedere a Monza. Però sto cercando di alzare la media: ogni mattina, andando a prendere il giornale, c'è almeno una macchina che si ferma per chiedermi come andare a Brugherio o a Saronno.
Con le chiavi magnetiche, essendo un po' amish, mi imbrano spesso, specie con l'auto, di cui riesco a far scattare l'allarme quasi regolarmente quando apro il bagagliaio per portare in casa la spesa del GS.
Ti è andata bene, Màz, ricercatore in short! Però se superi l'attrito di primo contatto gli americani sono disponibili.
grazie e saluti
Solimano
Quando mi consegnano quella "maledetta" carta magnetica è quasi sempre un'avventura, non tanto perchè non funzioni nel mio caso, quanto perchè io sono imbranata. A volte non riesco inserirla, poi rimango al buio, poi si accendono le luci e non riesco a spegnerle... Ma perchè non possono darti la solita chiave?
Avventure quando si va "in trasferta" ce n'è sempre da raccontare...
Però io riesco a far pasticci anche in comunissime situazioni.
Vi racconterò un'altra volta cosa mi è successo a Bolzano... o a lecce... o...
E' per questo che qualche volte mi accompagnano e non mi lasciano sola...
Certo che era carino questo ricercatore in short...
La tecnologia è bella finchè non t'abbandona, sentenzia un 'vecchio' saggio, da queste parti...
Io navigo sempre fra timori assortiti con quelle chiavette a cartoncino: sbaglio, mi innervosisco, cerco 'ingressi' creativi, mi spazientisco, mi confondo.
A Firenze, nella penombra del corridoio, cercavo di entrare introducendo la tesserina sanitaria.
Non è stato bello.
Solimano: gli americani possono essere di grande o di nessun aiuto; ho esperienze di diverso tipo. Una loro particolarita' e' che, quando ti conoscono, ti dicono: "e facci sapere se hai bisogno di qualcosa"; dando per scontato che tu, essendo adulto, non avrai mai bisogno di nulla (e stupendosi se tu un giorno chiedi loro una mano a fare qualcosa).
Giulia: please do. Gli incidenti di viaggio (Tre Uomini in Barca insegna) sono uno dei miei argomenti di lettura favoriti.
Zena, ieri ho visto l'indicazione per il paese di Zena; sui colli bolognesi, vicino a Monterenzio. (Il tuo e' un bellissimo nome, aggiungo in ritardo su altra discussione).
A me capita così col bancomat, giro e rigiro, sbuffo e non ho pazienza e ho sempre timore che quella fessura fagocitante non mi ridia la mia tesserina. Che potrei arrabbiarmi un po'.
A me piacciono le vecchie serrature, quelle con la chiave molto chiave. Poi la chiave si può perdere, è vero, ma questo è un altro discorso.
Concordo la teconologia è portentosa, quando è a nostro servizio e non quando ci si rivolta contro e poi questa progressiva mancanza di "umanita" mi piace poco. Proprio poco.
E' un post che mi ha fatto venire in mente quel bellissimo film di Sordi " Detenuto in attesa di giudizio", anche se a te, professore, è andata decisamente meglio.
Mi piace sempre una mucchia ciò che scrivi Maz:)
In effetti come soggetto per un raccontino è fantastico. Ma perchè dovrebbe avere quei finali tristi (morto nel fiume, spacciatore, ulp!)?
Il nostro povero professore potrebbe anche scoprire una piramide sepolta sotto il campus, adottare un cane-extraterrestre oppure diventare dopiattore di commedie dialettali. Non sarebbe più divertente? ;-)
Barbara: il finale triste era quello del cadavere nel fiume (rubato a Mystic River). Capo di una banda di spacciatori: potrebbe anche convertire la gang in un movimento pauperista nello stile di Pietro Valdo, dando così l'estro per una riproposizione in chiave americana e contemporanea di vicende italiane e medioevali. Riiniziare una vita del tutto nuova sotto altro nome, abbandonando famiglia e lavoro: uno spunto gia' utilizzato da Dashiel Hammett.
Tra quelle che proponi tu, quella del cane extraterrestre mi pare la piu' facile da sviluppare. Magari ci provo su mazapegul!
Grazie Silvia. Volevo con questa storiella aprire un sottoargomento: piccole sventure di viaggio. Sono sicuro che ne hai (ne avete) da raccontare anche tu. (O un altro sottoargomento: noi e le macchine, anche questo un campo d'esperienza abbastanza universale).
Maz ne avrei da scrivere, sulla tecnologia poi...
Di viaggi potrei scrivere quelli che ho immaginato, perchè purtroppo ho viaggiato poco nella mia vita.
Attendo i tuoi che sono così belli!
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