lunedì 3 agosto 2009

Una giornata particolare

Letizia

Incontro non troppo mattiniero - poi scoprirò il perché - al Super Grand Hotel. I due direttori generali mi aspettano sul marciapiedi, uno fuma, l'altro è la copia di Tremonti.
Sembrano tranquilli, parlottano scherzando.
Saliamo in macchina, quella di Tremonti (è il direttore tecnico), l'altro è uno degli Amministratori Delegati, lo chiameremo AD.
I loro cellulari squillano, l'appuntamento con gli altri è nel parcheggio di un grande supermercato (circa 15 km dalla fabbrica dove siamo attesi).
Giornata di sole, tanto sole tiepido e bellissimo.

Arriviamo nel centro commerciale, al parcheggio ci aspetta un donna giovanile, elegante, segaligna, tutta nervi e sorrisi stampati, lei è la capa del personale, la chiameremo CP.
Poi arriva un bel giovanottone e altri due di cui non riesco a capire la funzione societaria.
Il giovanottone è il portaborse locale di AD.
Decidono di lasciare tutte le macchine lì e prenderne una che il giovanottone ha preso a noleggio, gli altri due ci accompagneranno giusto per vedere e poi torneranno via.

In macchina i cellulari squillano, CP chiama la polizia per sapere se sono appostati, poi chiama altri per sapere la strada da fare perché le è stato comunicato che la strada nazionale di accesso è stata bloccata dai manifestanti.
Dopo giri tortuosi che ci riportano sul dosso della montagna, riscendiamo a valle per una stradina inerpicata e scoscesa, una macchina della polizia appostata, ma l'ingresso al capannone degli uffici è momentaneamente libero, quindi si va.
Il capannone degli uffici è dentro al bosco che fa da giardino aziendale, abeti e castagni che cominciano appena a perdere qualche foglia, e comunque le foglie in autunno frusciano diversamente, sfarfallano agonizzanti, ma non meno leggiadre.

La fabbrica è separata dal boschetto da una strada, si scorge in lontananza un folto gruppo di persone, la sbarra è abbassata al casotto dei sorveglianti.
La macchina viene lasciata sul ciglio della strada, si va a piedi fino al capannone.
Ci sono diversi tipi che non riesco ad inquadrare, facce strane, penso che lavorino lì.

Il capannone degli uffici della direzione è un rettangolo lungo, stanze a destra e a sinistra. CP e tutto il codazzo si avviano direttamente alla sala riunioni per sistemare i tavoli.
Non capisco perché si debba cambiarne la collocazione, sono disposti ad U, del tutto normalmente. Vado per aprire persiane e finestre, CP mi blocca con un urlo. Non si deve aprire nulla, perché potrebbe entrare gente o curiosi.
Sto a guardare mentre dispongono i tavoli su due file che si fronteggiano, senza toccarsi e ben distanti. La fila lontana dalla porta è destinata ai rappresentanti del personale e ai sindacalisti, è incastrata. Quella della direzione è più corta, vicina alla porta, e ci si muove agevolmente dietro.

Guardo, e comincia a non piacermi.
Mi avevano solo detto che sarebbe stata una riunione un po' particolare, di non preoccuparmi ma di essere preparata.
Ma preparata a che?
I tipi che non so, due grossi ragazzoni, uno tarchiato con l'espressione da orientale zingaro, un nero che pare un baobab, tutti vestiti di nero, fanno avanti e indietro e guardano porte e finestre.
La riunione era indetta per le 8.30, CP mi dirà più tardi che hanno ritardato apposta per non concedere più di tanto tempo ...
Il personale arriva, da dietro le persiane chiuse si sente il vociare di tante persone, tutte le porte sono chiuse a chiave, è aperta solo quella laterale, da cui entrano, tranquillamente.
Gli unici appariscenti sono tre che portano un enorme striscione con su scritto "la fabbrica vivrà".
Si siedono compostamente, ammiccando sulla disposizione del tavolo, mi pare che conoscano il sistema.
La direzione di fronte; nel corridoio CP, Tremonti e AD si erano concertati: "si legge il comunicato e poi bocche cucite, non si risponde a nulla, su nulla, di nulla".
Muro di gomma.
Un rappresentante del personale installa il microfono per registrare, è permesso e dà molto fastidio alla dirigenza.

Poi AD prende la parola, legge un foglio di 10 righe in cui si dice che stamattina la fabbrica è stata chiusa per ragioni di sicurezza, che stanno pensando a provvedimenti seri, tra cui anche la chiusura definitiva e che nessuno deve preoccuparsi perché nel frattempo verranno pagati gli stipendi a tutti.
Fine.
Non un dettaglio, niente.

Nell'incalzare che segue di domande, interventi e quant'altro scopro che:
- la fabbrica stamattina l'hanno chiusa senza comunicarlo al personale, a nessuno (lo so, sembra folle, ma è così), e gli operai si sono trovati davanti alla sbarra chiusa col badge disattivato.
- la società da due anni chiude in attivo e quest'anno ha deliberato un dividendo significativo agli azionisti, che poi sono i membri del Consiglio di Amministrazione. Vengono esibiti i bilanci pubblicati, certificati dai revisori dei conti e verificati da altri revisori su richiesta dei sindacati.
- nel corso del primo semestre di quest'anno si è chiesto tuttavia agli operai di fare uno sforzo per l'azienda, facendo ore straordinarie recuperate con giorni off per non gravare sul bilancio, in nome di un picco di produzione.
- gli aumenti salariali da contratto sono stati congelati da due anni per permettere all'azienda di rimanere competitiva.
- da dieci anni, ossia da quando l'Unione Europea ha emesso la direttiva di dismissione degli impianti di cloro, personale e sindacati presentano proposte e richieste di ammodernamento e riconversione degli impianti, e perché alcuni avevano superato da 10 anni il tempo massimo di vita e dovevano essere sostituiti per ragioni di sicurezza vitale (parliamo di cloro, eh), altri riconvertiti per continuare la produzione con altri processi.
- la torre con 30 anni di vita (e 10 di troppo) ha avuto un grave incidente 5 mesi fa, causando nube tossica, grande allarme e chiusura della produzione per 3 settimane. Ma nonostante ciò nulla è stato fatto.
- i sindacalisti ricordano che gli operai della fabbrica sono tutti operai specializzati cui però è stata negata la formazione per eventuale riconversione. Che hanno sempre lavorato al top (i bilanci parlano chiaro). Che dal management ci si aspettava che facesse il suo mestiere con pari professionalità e dedizione: piani di riconversione, studi e ricerche.
- la sola soluzione "trovata" è invece quella di chiudere, senza spiegazioni, mettendo per strada 400 persone nell'immediato (e relative famiglie) la cui età non consentirà la reimmissione nel mercato del lavoro.
- un sindacalista urla che non hanno nessuna voglia di andare in cassa integrazione a spese dello Stato (ossia anche le loro!), ma che vogliono semplicemente lavorare e guadagnarsi lo stipendio.
- un altro sindacalista dice che hanno comprato la fabbrica per spremerla come un limone, impianti e persone, fino all'ultimo cent, e poi buttarla via.

Ascolto disquisizioni documentate, piene di proposte e buon senso, non vola manco uno slogan.
Il tavolo corto è un muro di gomma, ascoltano con la faccia di pietra e lo sguardo che guarda e non vede.
Mi vergogno moltissimo, io, come essere umano mi vergogno, eppure devo stare lì.
Di fronte al silenzio impossibile - ma come si fa a non rispondere, come cazzo si fa? - qualcuno dal tavolo lungo li chiama per nome e cognome e dà loro del ladro, del vile, dell'incapace, dell'indegno del posto che ricopre ... Tutto molto compostamente, ma con tanto disprezzo che mi pare comunque poco per quello che meritano.

Infine il tavolo lungo si alza, dicono che non se ne andranno finché non avranno alcune risposte minime:
- cosa vogliono fare
- quando riaprono i cancelli
- come intendono agire nei confronti delle persone e degli impianti.

Escono indignati mentre la dirigenza si incolla al muro immobile.
Ma hanno aperto le finestre e le persiane e fuori ci saranno almeno 1000 persone, la televisione, i giornalisti.
Quando escono la porta viene chiusa a chiave.
Sembra tutto finito.

CP ricomincia a ricevere e fare telefonate, dice "non so quando riuscirò a rientrare".
AD fuma, è la mia fortuna perché tutte le sigarette che abbiamo fumato nell'unica stanza adibita all'uso (da lui, seduta stante) mi hanno permesso di intervistarlo a sua insaputa, fumando e sfogliando la bellissima e ricchissima rivista aziendale con tutti gli acquarelli e gli slogan del successo, i numeri, la gloria di qualche autorevole firma, il lusso della carta di riso patinata. La tecnica dell'imbecille che non sa niente ed è folgorata da tanto potere funziona davvero, non mi era mai capitato di sperimentarla. Ma la vanità degli uomini supera la loro intelligenza. E AD, se non altro per limitare la figura di merda che stava facendo, ha preferito rimettersi i panni del deus ex machina dell'industria. E ha parlato, complice la sigaretta, con la sincerità che si regala allo sconosciuto che mai più ti rivedrà.

Hanno ragione su tutto, mi ha detto in soldoni. Perché gli chiedevo della ricerca che fanno - perché sulla rivista patinata se ne parla tanto, loro, industria all'avanguardia - ma che poi non fanno; ma è vero che sapevate da dieci anni che gli impianti di questo tipo dovevano essere smantellati? Sì, ma costa troppo, e costa troppo riconvertirli, e costa troppo revisionarli ...
Ma l'incidente, allora, vi ha provocato guai? Ma allora gli azionisti hanno guadagnato tanto bei soldini ... (e nella gola avevo le 400 famiglie che non pagheranno più le rate della lavatrice).
E i cancelli, davvero non gli avete detto niente?
E AD aggiunge che il casino è dovuto al fatto che la loro industria fa parte di un polo di industrie dello stesso settore che operano in stretta relazione e che la strada è stata bloccata dalle maestranze delle altre aziende che sanno che questo è il primo tassello e che poi chiuderanno pure le fabbriche loro, e qui i numeri si fanno più grandi, molto più grandi.

E che lui ha parlato con i politici locali, ma che non ci può fare nulla, del resto le multinazionali sono pesci scivolosi, e che i politici non dovevano rompere troppo i santissimi, perché sennò loro chiudevano pure le altre due fabbriche nelle altre due regioni.
Domanda scema: ma delocalizzate, andate pure voi in Cina? No, no, non ci interessa più questo mercato.
Domanda: e perché allora non avete chiuso prima, anzi perché ve la siete comprata 15 anni fa questa fabbrica? Ehhh, decisioni del momento.
Cerco goffamente di imparare l'alta finanza e l'alto management: sono proprio negata.

Siamo in 6 nell'ufficio di Tremonti, asserragliati, finestre chiuse, non so cosa aspettiamo, domando se è finita e possiamo andarcene. Mi rispondono con un sorrisetto: "ora vediamo".
Poi improvvisamente nel corridoio comincia ad affluire gente, un fiume di persone, ci ritroviamo improvvisamente in 150 in una stanza di meno di 30 mq, aprono le finestre, fuori c'è una montagna di persone, gridano, sparano insulti "ladri, vigliacchi", mi rendo conto che può succedere di tutto, AD durante una sigaretta mi dirà che è normale che ci scappi qualche cazzotto, lui lo sa, ha già dovuto fare queste cosette altre tre volte ...

Mi sembra tutto surreale, ma non ho paura, sono completamente paralizzata. Siamo incollati come busta e francobollo, uno contro l'altro, i lavoratori non se ne vanno finché non hanno almeno la data di una riunione con un ordine del giorno preciso, facce di pietra riescono e perseverare nel silenzio. CP viene apostrofata in tutti modi (senza parolacce però): traditrice, doppiogiochista, mentitrice, lei che sembrava voler fare gli interessi della fabbrica ... Uno le strilla: "dovrai cambiare per la terza volta il biglietto da visita, è la terza fabbrica che chiudi, un curriculum di cui andare fiera, vero?".

A lei vengono gli sbrillucciconi, ma è dura ed impenetrabile, la pagano per quello, pare.
In questa calca in cui non ci si può muovere mi trovo davanti alla bocca un microfono di una giornalista che fa le stesse domande che ho fatto io ad AD, ma come si fanno quando uno è incazzato. E lui schiva, ammicca, risponde a mezze parole. E poi non si sente nulla.

Uno dei tipi neri vedo che scazzotta con un lavoratore, ma gli altri lavoratori lo buttano fuori.
Non capisco ... ancora non capisco (ma capirò, tra poco).
Tremonti è incollato ad un muro come un'ombra, scoppiano due petardi fuori, in realtà non succede niente, c'è solo la massa umana che preme, ma nessuna violenza.
Passano due ore così. CP mi fa cenno di andare in bagno, non so come riusciamo ad uscire dalla stanza e mi dice che se ne ho bisogno, lei è attrezzata con i pannolini salvapipì "sai, a volte la paura gioca brutti scherzi ...". Sono allibita. Era tutto previsto, pronto, predisposto.
Mi pare di stare in un film, invece è proprio tutto vero.

Passa un'altra ora o forse due, poi lo sciame umano esce, sfiancato forse, tornano ai cancelli, dicono, a presidiare la loro fabbrica.
Stavolta le porte e le finestre vengono tutte sbarrate e sigillate.
I tipi neri parlano nel corridoio: sono body guards, polizia privata e anche due della polizia politica. Discutono di piani per farci uscire da lì, perché cercano di evitare la nostra permanenza (prevista!!!) di minimo 48 ore là dentro.
Telefonano, hanno lasciato alcune macchine infrattate nel parco, altre fuori, altre ancora altrove, studiano le strade da fare, sentono la copertura della polizia "ufficiale".
Ho preso molti caffè, anche con loro, ma sono meno loquaci di AD, non ne ho cavato molto, ma quanto basta.

L'ufficio di Tremonti, con le copie del suo comunicato stracciate (l'unica cosa che è stata stracciata), è strano. Scopro in un armadietto chiuso a chiave le vettovaglie che CP aveva portato la mattina: biscotti, bevande, pastiglie, tutta roba super nutriente, e soprattutto tanta.
Già, per 48 ore minimo ...
Ho scoperto degli ottimi biscotti al miele e sesamo, ma non dirò la marca per par condicio.

Telefono ai figli, avverto che farò tardi. Spero. Solo tardi.
Eppure non voglio andare via. Voglio sapere, voglio vedere, voglio capire. Ma soprattutto vorrei stare dall'altra parte. Ossia dalla mia.
Il tipo gitano mongolo ci chiama, ci spiega il piano. Pare che siano tutti ai cancelli, abbiamo pochi istanti per raggiungere le loro macchine, ci divide e ci assegna al tipo nero di appartenenza. Ognuno sa dove dovrà portare ognuno di noi, alcuni al supermercato a riprendersi la loro macchina, CP ha il suo body guard per 48 a casa, anche AD e Tremonti.
Me, mi portano dove voglio (davvero? ... non ci avevo mai pensato, di colpo mi pare una bellissima opzione).

Dobbiamo fare il corridoio a carponi, fino alla porta sul retro, già presidiata. Ci arriviamo tutti, sembra roba da 007, poi alla porta il nero baobab apre un filino, gesticola con quelli nascosti nel parco, poi ci fa cenno, uno alla volta di uscire, e correre, correre, correre ...

Una scena straziante talmente era ridicola, patetica e vergognosa.
Tra le foglie agonizzanti del parco.
I grandi dirigenti che scappano nel parco a testa china, i tipi neri fanno cordone, gli operai non sono scemi, hanno anche loro le loro vedette, ci vedono, urlano "eccoli, i vigliacchi, scappanoooooo", e cominciano ad arrivare da ogni dove persone colorate e bellissime, e noi (sob, anch'io!!!) che scappiamo, poi non so, io ero vicina al baobab, mi ha preso di peso e scaraventata al di là della siepe, c'era una macchina col motore acceso, mi ci ha infilato dentro come fanno i poliziotti coi delinquenti, la mano sulla testa, il conducente parte e il nero gli dice "forse lei la fanno passare, non c'entra niente, non è della ditta", e quello sgomma, ci fermano a un posto di blocco, gli dice chi sono e quelli ci lasciano andare.

Non mi sono mai vergognata tanto. Del genere umano.
Gli altri sono stati bloccati. Rimarranno lì fino alle 6 del mattino seguente. Concederanno una riunione per la settimana prossima.
All'autista dico che troverò la multa sulla macchina perché avevo pagato il parcheggio per mezza giornata.
"Non si preoccupi, gliela togliamo subito".

8 commenti:

Solimano ha detto...

Letizia, hai ragione tu: questo scritto non si poteva dividere in tre post. C'è una continuità che non deve essere spezzata. Ogni regola ha la sua eccezione.

Tutta la menata di cui siamo ancora il balìa è cominciata verso la fine degli anni Ottanta, quando c'era ancora qualcuno che diceva: "E la nave va". Oggi non si sono ancora accorti, di quello che è successo: senso di appartenenza aziendale zero e motivazione personale zero. Non poteva essere altrimenti, con quelle premesse.

A Milano, i cacciatori di teste si trasformarono in tagliatori di teste, ed avevano il tic alla mano, che faceva continuamente il gesto della forbice.

E' capitato di tutto, faccio qualche esempio pratico.
1. Capivo l'andamento e decisi di giocare d'anticipo: andai dal mio capo per dire che a certe condizioni me ne sarei andato. Lui stava cominciando a dire non sei nella lista ma vidi che si morse la lingua: il messaggio era che c'erano le liste, ma non si doveva trattenere nessuno, se no lo si pagava sulla propria pelle.

2. Avevo fatto bene i miei conti, perché avevo delle buone fiches di lavori precedenti. Vado all'uffici personale per firmare le carte e quello mi fa: "E' impossibile. Più di quello che pensavo!" "Controlli, controlli pure". Beh, mi guardò con odio invido. Nota bene, la società era asettica, il budget c'era a livello mondiale, ma a questo, per il puro gusto di far star male qualcuno, non stava bene che le cose stessero in quel modo. Così diventano.

3. Ai capi dettero un target, ad esempio: devi scendere di cinque persone entro due mesi. Questo si affannava e tornava dopo due mesi contento perché ne aveva convinto cinque. Gli dicevano: "Bene, adesso parliamo di te: quando te ne vai?"

4. Sai cosa si misero a fare i più spietati e disumani, appena in pensione anticipata? Del volontariato, facendo le verginelle. Indulgenza plenaria...

Come deve essere, un direttore del personale, si cominciò a dire a Milano: "L'ha detto il Manzoni: vile e feroce".

Il pegio del peggio dell'uomo si vede proprio lì: godono del male altrui, senza aver nessun motivo personale per avercela. Una goduria iuxta propria principia.

Naturalmente, in famiglia sono dei sentimentali che non si scordano né di un anniversario né di un compleanno.

Ma del lavoro e del lavorismo parleremo ancora, ce n'è da dire.
Si fa baruffa sui diritti degli embrioni, ma i diritti all'esistenza degli essere umani, eh? La sinistra è spiazzata, quindi assente: fa la guardia al bidone vuoto del lavoro che non c'è più. Vadano a vedere American Beauty se vogliono cominciare a capire cos'è diventato il lavoro.

saludos y besos
Solimano

zena ha detto...

Ho letto, stando di un male...
Ho vissuto in prima persona, da giovanissima capogruppo d'opposizione nel consiglio comunale di un piccolo paese, la chiusura dello zuccherificio locale, che era il perno dell'economia, croce e delizia, perchè in realtà aveva dato l'imprinting ad una sorta di aristocrazia operaia. Chi lavorava lì, ed era riuscito a sfuggire ad un destino d'emigrazione, si sentiva privilegiato, non si schierava mai contro il padrone. Qualcuno l'aveva fatto, molto tempo prima, mi diceva mio padre, negli anni '60 e lo aveva pagato con licenziamenti inesorabili: bastava avere una tessera di un partito di sinistra per essere in bilico e cadere al primo colpo di vento.

Durante estenuanti trattative, naturalmente fallite, anzi lasciate morire per dissanguamento, ricordo quel muro di gomma, quelle non voci, quelle non risposte: decisioni precostituite e irremovibili.

Ci è rimasto uno spettro pieno di topi e di materiali malsani.

(un saluto)

mazapegul ha detto...

Letizia, ho appena letto e mi ripropongo di rileggere non appena mi sarà possibile. Quello che si vede in genere in TV, o che si legge sui giornali, ha due punti di vista ben distinti: c'è un lato "razionale", quello dell'azienda (assunto come punto di vista oggettivo); e c'è un lato "emotivo" (quello dei lavoratori) per cui c'è una comprensione, ma di tipo verghiano ["le cose stanno così, non c'è nulla da fare"]. Su questa ripartizione della mente (il razionale ai padroni e l'emotivo ai dipendenti) ci sarebbe da scrivere molto: è il segno di un'egemonia culturale (quella dei padroni, intendo).
Non avevo mai letto invece il lato emotivo della parte aziendale. Che, dal tuo racconto, è assai poco emotivo; e per nulla empatico.

Scrivo queste cose perché non so come esprimere, sulla mia tastiera, lo sgomento, pensando a quelli che hanno perso il lavoro. Gente che, proprio in virtù della propria preziosa specializzazione, non è più impiegabile. Spero di tornarci nei prossimi giorni.
Grazie del post: è forse il contributo più prezioso mai portato a questo nostro blog,
Maz

Amfortas ha detto...

Cronaca di rara efficacia drammatica, davvero.
Potrei anch'io portare la mia testimonianza diretta, sono stato rappresentante di categoria per vent'anni, ma non mi pare il caso.
Aggiungo un ulteriore motivo di riflessione.
Queste tragedie non accadono solo qui, ma le "esportiamo" pure.
Il Lloyd Triestino (compagnia di navigazione, credo la conosciate)mandò un mio amico dirigente a chiudere, dalla mattina alla sera, un' agenzia in Africa, ora non ricordo in che paese. Dovette licenziare un centinaio di persone e scappò (letteralmente) di notte, prima che lo linciassero. Voglio dire, non è il caso di fare a gara su chi sta peggio, però figuriamoci se è gravissimo perdere il lavoro qui, in questo modo, pensate cosa dev'essere in Africa.
Grazie per questo tuo contributo, davvero.
Ciao.

Silvia ha detto...

Concordo con Maz.

Un contributo prezioso di cui ti ringrazio molto.

Letto d'un fiato, parola dopo parola ho sentito la vita, ho toccato il mondo che gira e gira male, col suo rumore e il suo silenzio. Ho sentito le voci degli uomini che mi piacciono e quelli che non mi piacciono e ho ricostruito un pezzetto di anima che mi appartiene e dalla quale a volte sono distante.
Anche questo fa, questo mondo: ti confonde o ti fa dimenticare, purtroppo.
Grazie.

sabrinamanca ha detto...

E se pensiamo che di queste cose ne accadono tutti i giorni, ma quando si assiste a una tale insensata prova di cinismo, quando si incontrano persone che vivono di questo, di spremere cose e persone sino all'osso e poi buttarle via per ricominciare altrove, allora si capisce ancora di più, ancora meglio, come gira il mondo che non ci piace.
Grazie davvero d'aver voluto condividere con noi questa giornata cosi' dura per te (e di conseguenza per noi!).

Habanera ha detto...

No, questo scritto non si poteva spezzare nè dividere. Va letto così, tutto di un fiato, e poi riletto ancora.
Io l'ho già fatto quattro volte, sempre con la stessa emozione, lo stesso disgustato stupore, la stessa ammirazione per chi ha saputo farci vivere con tanta intensità una giornata così particolare.

Benvenuta, Letizia
H.

annarita ha detto...

È stata una lettura lunga e dura, incisiva e dolorosa. Un mondo che non conosco abbastanza e che merità tutta la visibilità. Sono momenti duri, il faccia a faccia è inevitabile in molti settori del lavoro, sia pubblico che privato, e il cinismo e la demagogia imperano. È triste rendersi conto che qualcuno non li riconosca. Grazie per questa pagina di vita. Annarita