Taccuino di viaggio: Bourbon Street a New Orleans

mazapegul

Andavamo a finire tutte le sere in un bar in fondo a Bourbon Street, l'angolo meno affollato della strada più famosa di New Orleans, alla fine di uno stuolo di strip bar e di birrerie con ragazze seminude che ballavano sul bancone. L'attrattiva di quel bar, in sé una vecchia baracca in muratura, era invece il duo che lì s'esibiva tutte le sere. Un vecchio pianista jazz con la barba bianca e il cappello da capitano di battello e una ragazza slanciata e bellissima, con una voce piena di carattere, ma anche di melodia. Ci sedevamo a un tavolino con le nostre caraffe di birraccia americana e rimanevamo incantati ad ascoltare le canzoni, blues e jazz, di quella coppia di afromaericani.
Il resto delle nostre giornate a New Orleans, o in giro per i dintorni, erano solo la pausa necessaria prima di prendere il nostro posto vicino al piano, verso le undici di sera, e riascoltare le stesse canzoni della serata precedente.
La nostra fedele presenza doveva esser stata notata, perché l'ultima notte che passammo a New Orleans, verso l'una di notte, pianista e cantante vennero a fare due chiacchere al tavolo dove Cristobal, Luis e io sedevamo incantati. Ci invitarono, dopo la chisura del bar, a un ritrovo che diversi musicisti di bar davano quella sera.
La festa si teneva in un minuscolo appartamento del Quartiere Francese: una stanza da letto e una sala di dimensioni piuttosto modeste. Quando arrivammo, la sala e il giardinetto da cui vi s'accedeva erano già piene di gente.
A un certo punto, alcuni musicisti presero i loro strumenti e iniziarono a suonare. C'erano soprattutto strumenti a fiato, qualche percussione, forse una chitarra. Mano a mano che i locali in città chiudevano, arrivavano sempre più artisti coi loro strumenti, unendosi all'orchestra improvvisata, che però riusciva -come quasi solo nel jazz succede- a produrre un risultato musicale coerente.
La jam session andò allargandosi sino all'alba, avendo da tempo il numero degli orchestrali superato quello degli ascoltatori. O meglio, a parte noi pochi non musicisti, non c'era alcuna divisione tra suonatori e ascoltatori. Ciò che mi parve, nei volti di quelli che suonavano, un acconto della beatitudine a venire.